Il racconto vincente della seconda gara di racconti indetta nel mondo incantato dei libri
Kathy passeggiava avanti e indietro davanti ad una vecchia struttura che in teoria sarebbe dovuta essere una clinica. Pareva, infatti, un luogo lasciato alla deriva per via dei muri scrostati, dell’erba incolta attorno e dell’edera rampicante che si propagava lungo le facciate, in particolare sotto alle finestre attraverso cui si intravedevano delle stanze illuminate. A far da sfondo la nebbia – tipica della città di Swan – che conferiva al tutto un’atmosfera tetra e triste. Proprio come l’animo di Kathy. Quest’ultima reggeva in mano un borsello di pelle pregiata che continuava ad aprire di tanto in tanto, in modo quasi maniacale, per assicurarsi di avere ciò che sarebbe servito a breve.
Chiunque passasse di lì avrebbe di certo intuito che aveva qualcosa che non andava, ma gli abitanti della città tendevano ad evitarla non appena la individuavano da lontano. Kathy all’apparenza sembrava una donna appartenente ad uno status sociale alquanto agiato, sia per i tessuti costosissimi che indossava sia per il suo aspetto sempre ben curato ed impeccabile. Ma ciò che si vociferava, anzi era ormai più che certo, era che Kathy facesse la prostituta. Tutto quello che mostrava in modo ostentato, quindi, non era dovuto ad una ricca eredità o ad un’alta e soddisfacente occupazione, ma per via “del peccato più sporco”, come la gente definiva. Kathy aveva iniziato a prostituirsi da qualche anno, lasciando il suo lavoro di segretaria per buttarsi in quel mondo dove la dignità non contava più nulla. Contavano invece i soldi, che erano diventati una sorta di ossessione per lei. Era persino andata a letto con persone di una certa importanza, molto potenti, oltre ai mariti insoddisfatti delle proprie mogli. Veniva additata, umiliata e isolata, essendo la causa di divorzi e famiglie distrutte, anche dal punto di vista economico. Nessuno però sapeva il reale motivo che la spingeva a farlo. Nessuno conosceva il dolore e il disgusto che provava nell’essere toccata da quegli individui perversi, spesso violentata. Ogni tanto portava i segni di quelle notti ma a lei non importava più. Il suo era un corpo che camminava senz’anima, venduta insieme alla dignità come sommo sacrificio. Ed il motivo era quella piccola ed innocente creatura che vanzava in carrozzina verso di lei, con un berretto che copriva la testa priva di capelli ed un debole sorriso felice.
《Mammina, mammina! Guarda cosa ti ho portato!》, esclamò festoso il piccolo David, porgendole un mazzetto di fiorellini appena colti. Kathy si inginocchiò e, dopo aver preso quel piccolo regalo, abbracciò delicatamente il corpo fragile del figlio. Ogni volta che lo faceva, sperava di trasferire la vitalità rimastale dentro di lui, affinché potesse sconfiggere il male che da un paio di anni lo costringeva a stare lontano da casa. Ogni volta che lo vedeva sorridere, seppur stanco, lei reprimeva a forza le lacrime, chiedendosi il motivo per cui fosse toccato proprio a lui soffrire in quel modo, e non a chi secondo lei meritava di essere al suo posto. O forse proprio perché era un’anima buona, l’innocenza non poteva avere posto in un mondo così crudele, corrotto e dominato dai soldi. Lo stesso di cui lei faceva parte e ciò non la rendeva una madre degna di suo figlio, una donna di cui David sarebbe potuto andare fiero un giorno.
《Come sta? Ha avuto altre crisi?》, domandò preoccupata all’infermiera che lo trasportava.
《Oggi va meglio, le sue condizioni sono state stabili per tutto il tempo ma è molto stanco. Ha quello che le abbiamo chiesto?》chiese di rimando, scrutandola freddamente.
《Sì…》confermò l’altra con voce flebile, porgendole una busta estratta dalla sua borsetta. Tentennò in un primo momento, in quanto sapeva che quelli erano soldi sporchi, suo figlio non l’avrebbe mai perdonata se lo avesse saputo. Lo guardò, e nel vedere il suo sorriso spensierato, gli occhi si fecero acquosi. Con sguardo basso porse quella busta. Doveva curarlo, David doveva vivere. Avrebbe capito un giorno, forse.
《Ci sono tutti…》
《Molto bene. Ora, se non le dispiace, dovrebbe salutarlo perché necessita di riposo》 .
《Lo curerete, vero?》domandò con un pizzico di disperazione nella voce.
《Le assicuro che stiamo facendo il possibile e che qui avrà le cure più efficaci della zona》cercò di rassicurarla.
《Mamma perché piangi?》, chiese David preoccupato ma sua madre si sciolse in un sorriso nonostante le lacrime. 《Vieni qui, piccolino. Tua mamma ti vuole tanto bene, lo sai?》
《Anche io te ne voglio》
《E ora vai a riposarti, passerò a trovarti presto》. Un ultimo abbraccio prima di staccarsi e David fu scortato dentro. Kathy rimase in ginocchio, mentre qualche goccia di pioggia cominciava a cadere dal cielo, per mischiarsi alle lacrime e lasciare due solchi perfetti sul suo volto.
D’un tratto il telefono squillò. Non rispose. Suonò nuovamente con più insistenza. Kathy non ritenne opportuno guardare sul display perché già sapeva di cosa si trattava. Trasse un sospiro e rispose.
《Pronto….Sì, sono io. D’accordo tesoro. Solita ora, solito posto》
– Alycia Berger (mio pseudonimo)