Alda Merini, poeta dell’amore di Cristiana Pietracci
“Il poeta ci tende la mano per condurci oltre l’ultimo orizzonte, oltre la cima della piramide, in quella terra che si estende oltre il vero e il falso, oltre la vita e la morte, oltre lo spazio e il tempo, oltre la ragione e la fantasia, oltre lo spirito e la materia.”
Alejandro Jodorowsky
Siamo arrivati nel terzo millennio. Tutto è veloce, fulmineo, inarrestabile. Eppure, esiste ancora qualcosa che ci fa rallentare, ci sprona a riflettere, ci induce a fare una inversione ad U, dove “U” sta per Umanità, per Unicità, per Umiltà. E mi riferisco ai versi dei poeti, che da tempo immemore hanno lasciato traccia delle loro emozioni, dei loro stati d’animo, del loro modo, talvolta visionario, di guardare e “sentire” il mondo, intingendo la penna nel cuore, descrivendo curve a gomito che portano o partono direttamente dai meandri più reconditi della propria mente, disegnando quasi concretamente i pensieri e le sensazioni di coloro che si approcciano a quelle parole in grado di esprimere alla perfezione gli stessi turbamenti, le identiche trepidazioni, i medesimi brividi.
Una grande donna, all’anagrafe Alda Giuseppina Angela Merini, a tutti nota semplicemente con il primo nome, si affaccia e irrompe nel panorama poetico del Novecento. Quella donna che amava definirsi poeta e non poetessa, che ha saputo fare delle sue vicissitudini personali, spesso infauste e dolorose, un inno alla vita, seppur a volte infelice e tormentosa.
E Cristiana Petriacci, docente di materie letterarie negli Istituti d’Istruzione Superiore di secondo grado, nonché collega fantastica e amica straordinaria, fa un’analisi dettagliata della vita, degli interessi, delle opere meravigliose del poeta dei Navigli, soffermando l’attenzione su un denominatore comune: l’amore. Amore per le donne, per gli uomini importanti nell’esistenza di Alda, per la sua città, Milano, per la poesia, per la religione.
“…perché non è importante chi si ama, vitale è amare.”
Un concetto semplice ma non scontato, che rappresenta l’essenza della Merini, intesa ad ampio spettro.
Un percorso letterario che mette in mostra egregiamente alcuni momenti salienti della vita del poeta, sempre scanditi da alcune sue opere, a cominciare dall’infanzia, dal rapporto conflittuale con la mamma, donna bellissima e carismatica, e a quello con il papà, suo primo amore, primo maestro ed elemento formativo di tutta la sua esistenza, al quale era solita fare quelle che lei stessa ha definito “rapine di cultura.”
“Col papà, quindi, Alda ebbe un rapporto speciale: severo nell’educazione, come la mamma Emilia, tuttavia tenero, amorevolissimo e attento alle inclinazioni della figlia, che si sentiva, non solo amata, ma anche compresa, sostenuta e coadiuvata nella sua sete di sapere; quella quiete e quella serenità che si respiravano in casa la sera, quando il papà si concedeva allo studio, sembrano essere proprie anche dell’animo di Alda bambina in quei frangenti.”
La poesia, passione immensa e incontenibile, si è spesso intrecciata al sentimento di viva affezione nei confronti di diversi uomini, che le sono stati accanto, e sono stati fonte di ispirazione, di gioia, di leggerezza, ma anche di dolore, di rinunce, di criticità.
“La poesia fu la compagna di tutta una vita per Alda Merini, compagna senza la quale, la sua, non sarebbe stata vita.”
E poi ci fu il calvario del manicomio, durato oltre dieci anni, tra ricoveri e dimissioni.
“Ovviamente l’internamento segnò il matrimonio di Alda, oltre che tutta la sua vita, ma si rendeva conto di come non fosse in grado in quel periodo di gestire il marito, le figlie, la casa; il manicomio fu vissuto anche come una seconda madre, per l’ala protettiva che stese su Alda e fu, come lei stessa ha più volte detto, in qualche modo anche amato. Tuttavia furono anni di violenze, di metodi terapeutici ormai desueti, di elettroshock, di farmaci pesanti, come il Pentothal e il Dobren: un inferno, come lei stessa più volte ha detto, e come ha descritto nei suoi componimenti.”
Quando ci mettevano il cappio al collo
E ci buttavano sulle brandine nude
Insieme a cocci immondi di bottiglie
Per favorire l’autoannientamento,
Allora sulle fronti madide
Compariva il sudore degli orti sacri,
Degli orti maledetti degli ulivi.
Quando gli infermieri bastardi
Ci sollevavano le gonne putride
E ghignavano, ghignavano verde,
Era in quel momento preciso
Che volevamo la lapidazione.
E poi c’è Milano, austera, impenetrabile, ma a lei tanto cara. L’ha vista nascere, crescere, fiorire e appassire, e ancora risorgere, come il mito dell’Araba Fenice.
“Dentro la fredda, efficiente Milano, il Naviglio rappresentava un microcosmo riconducibile a un paese. Aveva l’umanità del paesino, un paese un po’ d’altri tempi dove ognuno sapeva tutto degli altri, e Alda Merini stava bene in questo ambiente a misura d’uomo…”
Non da meno è l’amore verso la religione cattolica, in special modo per la figura del Salvatore, nella quale, a tratti, si identifica e ci si riconosce.
“Cristo, per Alda, è l’uomo perfetto, l’uomo che ha rincorso per tutta la vita: colui che ama, senza chiedere nulla in cambio, che si dona, che comprende e non giudica; il loro amore è unico, esclusivo, non condivisibile con altri. (…) Le parole che descrivono il trasporto d’amore per Cristo sono così vicine a quelle che Alda ha scritto a proposito dei suoi amori terreni: il pervadere e scuotere il suo corpo fin dentro le viscere, l’attesa prima e la solitudine poi, l’alternanza di odio e amore, la sofferenza, il contrasto amore-morte, la follia d’amore…”
Dunque, un profondo, intenso excursus, nel quale l’autrice, scevra da qualsiasi tipo di critica, pone l’attenzione su una donna caleidoscopica, che nonostante le fragilità, i dolori, la disperazione, l’inferno del manicomio, ha trovato un modo per riscattarsi, per osannare la vita e per realizzare sé stessa, divenendo un vero e proprio esempio di resilienza.
Un libro che dona emozioni forti, inedite, alle quali, purtroppo, siamo sempre meno avvezzi.
Una lettura intensa, focalizzata sul sentimento di amore inteso nella sua accezione più profonda. Concetto che può essere oggetto di disquisizione solo da parte di coloro che lo conoscono realmente, che ci credono fermamente e che hanno la capacità di trasmetterlo con naturalezza e in maniera autentica. E questo vale tanto per il poeta dei Navigli, quanto per Cristiana, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e a cui va un mio personalissimo, immenso plauso!
“…La pienezza della vita è raggiungibile solo nei contrasti, non è un procedere su una retta via, bensì un inciampare continuo…”
“In qualsiasi modo si voglia e si possa morire, una traccia di noi rimane che non è la carne.”