Pier Luigi Luisi si racconta attraverso il suo memoir ” All’ombra dei fichi d’India” e le nostre domande.
All’ombra dei fichi d’India, un memoir, un racconto delle proprie origini attraverso la storia di vita di chi ci ha preceduto.
L’isola d’Elba quando era un paradiso incontaminato, ancora lontano dal turismo e da quello che rappresenta oggi.
Un libro diviso idealmente in due parti, con piccoli capitoli che hanno la forma narrativa del racconto, apparentemente slegati tra loro, ma con un filo conduttore che alla fine della lettura ti danno la consapevolezza di aver letto una storia, la storia dell’autore stesso.
Dall’arrivo di Vito Michele e suo figlio Giovanni dalla Calabria al Confino fino ad arrivare agli anni giovanili dell’io narrante, in un percorso di ricordi, di consapevolezze, quelle consapevolezze che formano una persona, a volte i piccoli crimini che si perpetrano nella famiglia, sono quelli che veramente fanno la nostra storia, attraversando svariate generazioni.
La vita lontano dall’isola e dall’Italia stessa dell’autore, non è servita ad estirpare le radici elbane ben radicate nel suo essere. Chi nasce elbano lo sarà per sempre, l’isola ti respira dentro. Un percorso d’amore tra le strade, le contrade, i paesini, la vita difficile e povera dell’epoca nella prima parte, per continuare con la vita narrata in prima persona nella seconda parte, che va a chiudere il libro come in un cerchio dove tutti in qualche modo hanno contribuito a farci diventare ciò che siamo. Un ritorno all’indietro nella storia familiare che va a creare una perfetta autobiografia indiretta.
Il racconto procede quasi in un alternarsi tra realtà e leggenda, tra le storie raccontate e le storie realmente accadute. Come nel racconto della storia dell’innamorata con due versioni diverse, una delle leggende elbane più famose legata alla spiaggia dell’innamorata. Incantevole luogo ancora oggi. Questa alternanza va a creare un mosaico variopinto intriso della magia del ricordo.
Dopo aver letto questo libro ho voluto corredare queste mie impressioni con le parole stesse dell’autore, attraverso un’intervista che leggerete di seguito.
Buongiorno e grazie di essere qui con noi, come prima cosa vorrei chiederle: chi è Pier Luigi Luisi ?
Se la domanda si riferisse solo all’aspetto esterno, risponderei presentando il mio “bio”, cioè una biografia condensata in poche righe: laureato in chimica alla Scuola Normale di Pisa, poi periodi di studio a San Petersburg (allora Leningrad) e in USA, poi Politecnico Federale di Zurigo per 35 anni; dal 2003 cattedra di biochimica a Roma 3, autore di vari libri scientifici e di diverse centinaia di articoli su riviste specializzate di scienze biochimiche. Dal 2013 circa dedito alla scrittura di libri – il più noto essendo quello scritto con Fridtjof Capra, “The systems view of life”, Cambridge Univ. Press 2014, tradotto in italiano da Aboca con il titolo “Vita e Natura”.
Se la domanda si riferisce anche a un “io” più interno, devo aggiungere che a Zurigo, mentre ero professore di chimica nel dipartimento di scienze dei materiali, ho creato la settimana interdisciplinare (la Cortona week), indirizzata agli studenti, dove si fondono scienza e attività umanistiche, e anche scienza con filosofia e spiritualità. Ecco, questo concetto di unità transdisciplinare è quello che appartiene alla descrizione più interna del “chi è lei”. La mia ricerca è stata nel campo “cosa è la vita?” e questa è appunto una domanda che non riguarda solo l’aspetto biochimico, ma al tempo stesso anche quello filosofico e spirituale.
“All’ombra dei fichidindia” è un libro di racconti brevi che racconta comunque una storia: la storia dell’isola D’Elba e la sua storia. Perché ha scelto la forma narrativa del racconto breve invece del romanzo?
Sebbene il libro sia in forma di racconti brevi, si tratta (o io lo considero tale) di un romanzo – una storia che va dall’arrivo di Vito Michele anarchico all’Isola d’Elba alla fine del Novecento, fino ai giorni nostri. Ma la storia viene raccontata da vari personaggi, e dalla loro stessa vita – così i famosi scioperi del 1911 vengono raccontati da un bambino, il figlio di uno scioperante, le lotte politiche tra democristiani e comunisti viene illustrata dalla vita e dall’azione di un ben noto sindaco di Rio Marina; gli episodi di guerra da una ragazzina che si arrampicava sugli alberi per vedere gli aerei americani… una storia di oltre cento anni, in cui si va da padre a figlio, in tre generazioni della famiglia di Vito Michele. Alla guisa del famoso “Cent’anni di solitudine”. Insomma, sono racconti che possono essere letti separati, ma c’è un filo rosso che li unisce e ne fa un solo romanzo.
Il suo libro “All’ombra dei fichidindia” potrebbe essere considerato un memoir, un omaggio alla sua storia familiare e alle sue origini?
Certo che sì.
La storia della sua famiglia va di pari passo con la storia dell’isola, Vito Michele e suo figlio Giovanni arrivano dal continente al confino. La loro storia porta direttamente a suo padre Libero, passando dalla miseria, la fame, la guerra, il fascismo, praticamente la storia italiana. Quanto e cosa ci portiamo dietro dei nostri antenati? Perché non si impara nulla dalla storia?
Non è che non si impara nulla, ma troppo poco per migliorarci collettivamente. Lei mi chiede di definire l’uomo stesso. Che ha intrinseci geni di violenza – l’unico animale capace di programmare una guerra o un omicidio: il leone non lo fa – ma è anche quello della Cappella Sistina e del David di Michelangelo. Non credo che usciremo mai da questo tunnel-binomio.
Vito Michele non permette a suo figlio Giovanni di studiare, lo stesso farà lui con suo figlio Libero, perché secondo lei si crea quell’effetto boomerang tra le generazioni?
Una cosa a cui ho pensato per tutta la mia gioventù, quando studiavo all’Università, e questo grazie agli sforzi dei miei genitori, che mi hanno sempre spinto avanti a studiare. Si è interrotto l’effetto boomerang – e lo vedo dai miei figli, che con i loro figli continueranno l’azione positiva di supporto per la conoscenza.
Un libro diviso in due parti. La prima con racconti apparentemente slegati tra loro che si legano al contesto leggendo la seconda parte, scritta in prima persona. Come nasce questo libro, dall’esigenza di raccontarsi o è semplicemente un omaggio alla storia della sua amata isola?
È l’uno e l’altro, e non saprei quale delle due è più importante. Anzi, penso che siano indivisibili. Aggiungerei un aspetto apparentemente opposto: la mia vita di giramondo per tanti anni di adulto – che ha forse generato una esigenza di trovare delle radici per lo meno nello scrivere.
Il sottotitolo recita “storie elbane quasi tutte vere”. Ci parli del “quasi” …
Il “quasi” ha molti significati. Una storia mi veniva raccontata in modo diverso da persone diverse, e non sapevo quale fosse la vera; un’altra storia – per esempio “Pietro e l’asino” – è nata da una sola frase buttata lì da qualcuno per caso; poi, ho saputo dopo molti anni (la storia, per esempio, di Filomena) che nella avventura vera non c’erano tre bambine, ma un maschio e una femmina – quando il libro era già scritto…
Vivere all’estero, percorrere tanta strada, il ragazzino che giocava all’Elba e il ragazzo che studiava alla Normale di Pisa, cresce e regala un omaggio alla memoria di suo padre Libero partendo molto da lontano e anche alla sua storia. Qualcuno dice che noi siamo la nostra storia e le nostre origini. Lei cosa pensa al riguardo?
Come ho detto prima, sì, per uno come me che ha vissuto più di metà della sua vita all’estero, è una ricerca delle radici, delle origini. Ma questo l’ho capito solo dopo molti anni.
L’isola è considerata come un mondo a parte, infatti spesso si legge “andare in continente” semplicemente per raggiungere il porto più vicino in Italia. Nel suo libro si legge tra le righe un forte senso di appartenenza. Vivere altrove e sentirsi elbani è il richiamo dell’isola?
Proprio così. Quando in Svizzera o negli Stati Uniti avevo qualche momento di depressione, chiudevo gli occhi e cercavo di vedere il mare dell’Elba.
L’isola d’Elba nel suo sviluppo storico, la povertà, la guerra e la sua crescita come meta importante anche turistica. Quale isola ritiene sua, quella della sua storia o quella odierna?
Quella della storia, un’isola con una vita propria che però tende a scomparire, subissata dalla globalizzazione per cui i giovani elbani di adesso sono gli stessi di quelli di Roma o Francoforte, gli stessi blu jeans con il taglio al ginocchio, il dialetto che viene dimenticato perché segno di un passato povero, motorini e auto invece di asini. Un processo irreversibile, ma sarebbe assurdo il tentativo di arrestarlo.
Lei è autore di numerosissime pubblicazioni scientifiche e di libri di letteratura anche per ragazzi, come è stato cimentarsi in qualche maniera nella storia della sua vita e della sua famiglia?
Ho sempre alternato le varie cose, ci sono semplicemente fasi dove scrivo un articolo scientifico e ne sono totalmente preso, e fasi dove scrivo un libro per giovani, senza pensare più alla letteratura scientifica. È la vita che determina queste fasi, con tanti parametri indipendenti, e io l’assecondo.
Cosa legge e quali sono le influenze letterarie di Pier Luigi Luisi?
Di recente ho riletto “Le mille e una notte”, mi è piaciuto tanto; poi tutti i libri di Carlo Rovelli, dove si parla di fisica quantistica ma anche di letteratura e storia antica – Anassimandro e Nagarjuna. Da bambino, ero molto influenzato dai libri di Emilio Salgari – Sandokan e le tigri di Mompracem…
Grazie per questa intervista regalata ai lettori del Mondo incantato dei libri.
All’ombra dei fichidindia di Pier Luigi Luisi. Segnalazione uscita
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