Sabato rosso: gli omicidi terribili della storia
“Il fatto che l’uomo sappia distinguere tra il bene e il male dimostra la sua superiorità intellettuale rispetto alle altre creature; ma il fatto che possa compiere azioni malvagie dimostra la sua inferiorità morale rispetto a tutte le altre creature che non sono in grado di compierle.”
Mark Twain
Cosa scatta nella mente di un uomo che toglie deliberatamente la vita a un proprio simile? E quando non si limita a questo, infierendo sul cadavere della vittima, fino ad arrivare a smembrarlo, cosa succede?
Non sempre è facile capirlo, anzi, talvolta è pressoché impossibile: persone apparentemente tranquille compiono azioni abominevoli, non prevedibili e ancor meno comprensibili.
È questo il caso di Anthony John Hardy, nato il 31 maggio 1951 a Burton Upon Trent, nel Regno Unito d’Inghilterra. Figlio di un minatore, la sua è un’infanzia serena. Nessun segnale premonitore, nulla che possa far presagire, anche lontanamente, un futuro dedito alla violenza sconfinata. Eccellente a scuola, riesce ad entrare nell’ambito Imperial College di Londra, dove consegue una laurea in ingegneria meccanica. Lavora come responsabile in una grande impresa, sposa Judith Dwight, conosciuta all’università, con cui va a vivere in Tasmania e dalla quale avrà quattro figli. Tutto sembra andare per il meglio, tutto appare “normale”… È proprio qui che Anthony ha un cambiamento negativamente radicale: una sera, mentre la moglie è a letto, la aggredisce prima con una bottiglia precedentemente posta nel congelatore, per poi trascinarla in bagno dove tenta di annegarla nella vasca. Pare si fosse fermato solo grazie all’intervento del figlio maggiore, giunto appena in tempo. Viene denunciato per tentato omicidio, ma le accuse successivamente decadono. In ogni caso, nel 1986, la coppia divorzia. Da questo momento per Hardy si apre la strada del non ritorno: è ricoverato in diversi ospedali psichiatrici per disturbo bipolare, depressione, psicosi indotta da farmaci e abuso di alcol. Nel 1998 Anthony viene arrestato, perché accusato da una prostituta di averla violentata, accuse poi decadute perché prive di riscontro. Successivamente l’uomo si trasferisce a Camden, un quartiere londinese noto per i suoi mercatini e a breve distanza da una zona frequentata da prostitute. Sarà questo il luogo in cui esploderà la sua follia omicidiaria…
Il 17 dicembre 2000, un uomo che cammina lungo il Tamigi, nella zona ovest di Londra, nota qualcosa di insolito che galleggia nell’acqua: si tratta della parte superiore del corpo di una donna, il resto è stato reciso in vita. Pochi giorni dopo le autorità riescono a dare un nome alla vittima: si tratta di Zoe Louise Parker, 24 anni, prostituta che presta servizio nella zona.
Meno di due mesi dopo, un altro terribile crimine sconvolge la comunità: tre ragazzini che pescano lungo le sponde del Regent’s Canal di Camden, recuperano una borsa, nella quale trovano resti di un cadavere fatto a pezzi. Durante la perquisizione la polizia troverà altri sei sacchi contenenti le parti mancanti di quel corpo martoriato e mutilato che, successivamente, si scoprirà appartenere a Paula Fields, 31 anni, madre di due figli, con problemi di droga e prostituta.
La polizia brancola nel buio…
Il 20 gennaio 2002, dopo circa un anno dall’irrisolto caso delle due prostitute, una vicina di casa di Hardy chiama le forze dell’ordine: la porta della sua abitazione è stata vandalizzata con dei graffiti e una sostanza chimica tossica è stata versata all’interno della sua cassetta delle lettere. I segni di gocciolamento del liquido conducono fino all’appartamento di Anthony Hardy. Infausta coincidenza o l’assassino vuole essere scoperto? La polizia entra nella casa dell’uomo e fa una sconcertante scoperta: su un letto giace il cadavere di una donna, identificata successivamente come Sally Rose White, 38 anni, prostituta e tossicodipendente. Sul corpo della vittima diverse escoriazioni, i segni di alcuni morsi e una profonda ferita alla testa. Hardy viene arrestato, ma l’esame autoptico stabilirà che le cause del decesso sono da attribuire a un arresto cardiaco e, pertanto, decadono le accuse di omicidio. Ma i macabri ritrovamenti non sono ancora terminati: il 30 dicembre 2002 un senzatetto rovista nei bidoni dell’immondizia in cerca di cibo, imbattendosi in una terribile scoperta. All’interno di uno dei sacchi trova dei resti umani, tra cui sezioni mozzate di due gambe. Interviene la polizia, che si adopera nella ricerca, rinvenendo altri otto sacchi contenenti parti di corpi, tra cui un torso femminile. Le indagini portano a Anthony Hardy, e gli inquirenti si recano nuovamente a casa dell’uomo, che intanto si è allontanato dalla sua abitazione. Lo scenario è infernale: l’appartamento è completamente sporco di sangue, in soggiorno c’è una sega elettrica con la lama incrostata di carne ed ossa. Innumerevoli sono le riviste pornografiche sparse in giro, c’è una scarpa con tacco a spillo e una maschera da diavolo accanto a un biglietto con su scritto “Sally White riposa in pace”. Infine, un torso di una donna viene ritrovato avvolto in un sacco della spazzatura. La scena è inequivocabile. La caccia all’uomo dura poco: il 2 gennaio 2003 Hardy è tratto in arresto e le indagini si intensificano per risalire alle due donne uccise e smembrate. Dai vari esami si riuscirà a dare loro un’identità: sono Elizabeth Selina Valad, 29 anni, e Brigitte McClennan, 34 anni, entrambe prostitute. Non solo. L’assassino confessa anche l’omicidio di Sally White, la donna trovata priva di vita su un letto a casa di Hardy e il cui decesso era stato inizialmente attribuito a un infarto. Le confessioni di colui che successivamente verrà definito “lo Squartatore di Camden” sono agghiaccianti: le vittime vengono strangolate dopo un rapporto sessuale, fotografate con addosso calzini da uomo, un berretto da baseball, una maschera da diavolo e un vibratore inserito nella vagina. Vengono poi fatte a pezzi con una motosega nella vasca da bagno e infine gettate nella spazzatura.
Il processo si apre il 3 novembre 2003 e Hardy è condannato a tre ergastoli. Al termine dello stesso il giudice gli dirà:
“Solo lei sa con certezza come le sue vittime hanno trovato la morte, ma le indicibili indignazioni a cui ha sottoposto i corpi delle sue ultime due vittime per soddisfare i suoi bisogni depravati e perversi, non lasciano dubbi.”
Fino a un certo punto, la vita di Anthony Hardy è rientrata nella casistica della normalità: un buon lavoro, una casa, una famiglia. Un quadro quasi perfetto. Poi, improvvisamente, qualcosa di irrefrenabile è scattato in lui; l’empatia, la pietà, l’umanità, il rispetto per la vita ma anche per la morte, tutto è stato completamente azzerato. E tutto è stato assolutamente imprevedibile. Nessuna infanzia violata, nessun abuso subito. Siamo, alla fine, tutti potenziali carnefici e tutti possibili vittime. E possiamo solo auspicare che, in un futuro non troppo lontano, la scienza possa fornirci gli strumenti utili per prevenire questi atti aberranti, folli, assurdi, inenarrabili…