Ape Bianca di Valentina Villani

Ape Bianca

Valentina Villani
La perdita precoce di un genitore è un’esperienza dolorosa e paralizzante. Chi la vive subisce una crudele disconnessione da una parte profonda di sé, tanto che pensieri ed emozioni paiono precipitare in un vortice sinuoso e inesorabile come l’interno di una conchiglia. E, quando il rapporto tra madre e figlia si rivela complesso, intricato, conflittuale, eppure intimamente profondo, quell’assenza si manifesta in tutta la sua brutalità dilatandosi in un atroce senso di irrisolutezza.
La nascita di un figlio durante la malattia fatale della madre conduce l’autrice in un luogo sospeso tra vita e morte, un regno di opposti dominato da un’atmosfera onirica.
Le sue parole rievocano la faticosa esplorazione di sé alla ricerca di quell’assenza, di quella madre prima presente ma distante, affettuosa eppure eclissante, e delle sue reliquie ora spezzate e pungenti. L’analisi introspettiva del ricordo diventa, così, evento di riconciliazione.
Torna in libreria il bestseller amato dal pubblico e dalla critica, in una nuova edizione con magnifiche fotografie originali dell’autrice.

Introduzione

È stato doveroso da parte mia far alcune ricerche sulla autrice, prima di addentrarmi nella recensione di questo romanzo madido di poemia. Non mi soffermo mai al giudicare dalla copertina, l’immagine inganna ed ammalia, qual sirena d’Ulisse, ti fa innamorare con floreali attraenti e rendendo statuario l’animo a mano dello scultore, or meglio portando a statua con serpi di Medusa. Invero l’autrice Valentina Villani, ci ridesta sopiti malesseri e arcani ricordi nefasti e sintomatologie freudiane. Accomodiamoci sul lettino, rilassiamo le nostre membra e lasciamo navigare a ritroso come un orologio da tasca si muove all’indietro, così sia per la nostra mente.

Aneddoti personali

L’approccio a codesto romanzo è stato arduo, scavarvi all’interno devastante ed ignoto, ma un ignoto a me ben noto. Spesso ho trovato contraddizioni molteplici e egoistiche, ma è pur vero che l’essere pensante è di per sé egoista, in queste pagine ho letto la fragilità e la difficoltà ad accettare la varietà della vita. Vi ho trovato una piena espressione di io narrante, un io che non è tuttora riuscito a metabolizzare, non un lutto, bensì una nascita ed una crescita. Ognuno di noi elabora la propria infanzia in funzione del proprio trascorso, lo realizza come un sogno, una propria favola di cenerentola, con il suo bel lieto fine. In pochi si accetta la morte come compagna di vita, la si demonizza come se fosse ella ad avere la meglio su di noi, in questo caso Valentina, la usa come scusante per infierire ulteriormente agli “ammanchi “della madre. Più che di carenze da parte di essa io affermerei che si trattava di essere un personaggio di pubblico rilievo, ciò destabilizza i figli d’arte. L’arte assorbe e rilascia, ma non fa sconti, non differenzia i propri cari da altre anime che si nutrono di essa. La morte e la vita, sono forme d’arte per eccellenza, sono la tela ed il pennello, la creta e le mani, la macchina fotografica e il suo obiettivo, la pellicola, il soggetto esposto varia, ma la visuale permane, il diaframma si apre e si richiude ad ogni scatto.

Recensione

La poesia complica e risolve, complica la visione onirica di un legame, risolve come un terapeutico eternare di conflittualità generazionali. Cara madre, ti condanno per aver avuto vita tua, pare voler dire, struggente e passionale lo scritto che ne consegue, ma evocativo e candido è il rappresentarne. Le mancanze della madre, ricadono sulla figlia come spada di Damocle appesa ad un filo di astio, una figlia orgogliosa e forte come altrettanto lo è la mamma, una madre indipendente con una figlia altrettanto dipendente da un grave e pesante bagaglio ereditario. I dipinti e le fotografie di Fiammetta, proiettano traiettorie di luce, come radiografie da essa espressa, dolori com’ella dice” intensi fino alle ossa”. Fotografie quelle di Fiammette che prendono vita nelle poesie della figlia, poesie caustiche, che non perdonano, siffatti il tentativo di elaborare il lutto primordiale e poi quello concreto della morte, descrivendo nel vergato tutto il dolore e l’odio represso, si trasforma da romanzo parlante ad urlo di sfogo. La trama fluente e distesa della biografia ipnotica, si pregna nell’immediato di poesie criptiche e affilate che spaccano il cuore con tanto astio e amaro in bocca, che par nutrircisi di fiele. La devastazione che trasmettono le parole scritte, siano essi trame e orditi, siano esse prose d’arte, disarma anche il cinismo più assoluto. Vergando le righe come graffi irritanti su ardesia nera, Valentina, ci accompagna su quei muri protetti da cocci di vetro eretti e resi offensi a protezione proprio verso la stessa figlia, ma non solo verso essa. Il mondo avrebbe potuto render schiava ella amante di tutte le arti. Rare le volte che si apriva il dorato cancello del giardino incantato, ove madre e figlia, s’univano in una unica aura d’amore, il natural legame, non poteva esser parco di passioni riguardanti le arti della pittura e della fotografia, codesti momenti erano vere estasi idilliache, veri scrigni di ricordi da custodire e tramandare a sua volta in un secondo sei in paradiso con gli abbracci e le attenzioni che ti inebriano d’amore, ritrovando dolcezze di canditi e mieli d’aroma infanti, un istante dopo ti ritrovi sola sprofondando in cupe e viscide sabbie mobili, soffocata dalle ire che ti avvolgono la gola, serpi velenose che si insinuano in gola impossessandosi del loro ospite rendendolo schiavo del loro male. Poesie e trame, racconti e immagini si susseguono in un intercalare di contraddittorio odio e amore, un proseguo di perfidi rimproveri e dolci rimpianti, un saliscendi personale una elaborazione magistralmente vergata e elaborata, un proemiò di dolori di malattia che condanna e non perdona, ma anche l’ego non perdona, la mancanza di consapevolezza è un tumore da estirpare prima che annulli ogni cellula d’amore. Ma il vuoto, lo si crea anche riempiendo, Proprio durante il riempimento di questo vuoto, ove la madre diventa figlia e la figlia addivenuta madre, la nera ombra della morte consuma inesorabilmente il corpo della regina, lasciando devastazione e destabilizzando il precario equilibrio

Conclusioni

Ape bianca in cerca del miele, ape bianca regina crudele e assassina, ape bianca non esiste. Nel titolo si trova tutta la rivelazione del distacco prematuro dipinto ad arte nelle pagine scritte,

Recensione di Daniele Cavani

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