Blog tour ” Il bambino che disegnava le ombre”, Oriana Ramunno. Seconda tappa : LA RICERCA MEDICA NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO DI JOSEF MENGELE

Blog tour " Il bambino che disegnava le ombre", Oriana Ramunno

Eccoci alla seconda tappa del blog tour ” Il bambino che disegnava le ombre” di Oriana Ramunno. Noi approfondiremo la ricerca medica nei campi di concentramento di Joseph Mengele.

È il primo settembre 1939 quando la Germania invade la Polonia. Ed è l’inizio di un declino storico, politico, etico ed economico inesorabile. Ma i morti non cadono solo sul campo di battaglia, tra granate e proiettili. Un altro inferno, silente e perverso, lievita in maniera esponenziale tra le baracche dei campi di concentramento, così chiamati perché servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri in un unico luogo. In queste strutture, in un primo momento concepite per i lavori forzati, vengono deportati i cosiddetti “nemici dello Stato”, i prigionieri politici, i comunisti, i Rom, i testimoni di Geova, gli omosessuali, gli individui accusati di comportamenti ritenuti asociali o devianti, gli ebrei. Ma ben presto la visione di queste compagini muta: non è più sufficiente privare gli “indesiderabili” di quei diritti che la nostra società ritiene inalienabili, isolarli o ghettizzarli, no, occorre liberarsene fisicamente e in modo definitivo. A questo punto, l’annientamento dell’essere umano in quanto tale è la parola d’ordine. E quelle baracche cinte da reticolati di filo spinato elettrificato, diventano ben presto orrore spietato e gratuito, frammisto a deliri di onnipotenza, da cui lo stesso demonio, se fosse esistito, sarebbe scappato a gambe levate. Ma lì ci sono esseri umani, ci sono uomini, donne e bambini, ci sono milioni di vite con speranze, sogni nel cassetto, progetti, desideri, fantasie… Tutto andato letteralmente in fumo. A gestire l’efficientissima organizzazione di disumanizzazione e di morte, ci sono i gerarchi delle SS, tutti dipendenti direttamente da Hitler, Himmler e Eichmann. Alcuni di questi sono medici. Tra tanti spicca la figura di colui che viene definito “l’Angelo della Morte”, ovvero Josef Rudolf Mengele. Ma chi è questo medico con una laurea in medicina e una in antropologia, uomo di grande cultura, nato in una famiglia cattolica, che con una semplice rotazione del pollice stabilisce la vita o la morte di centinaia di migliaia di persone, definiti “subumani”, spesso scelti da lui personalmente direttamente sulle “rampe”, per “utilizzarle” come vere e proprie cavie da laboratorio?

Nato il 16 marzo 1911 a Günzburg, sulle rive del Danubio, Mengele si trasferisce poi a Monaco nel 1930, periodo che coincide con il suo entusiasmo per i discorsi di Hitler e per le letture delle opere di Rosenberg sul nazionalsocialismo. Trasferitosi poi a Francoforte, conosce Otmar von Verschuer, maestro e collega nell’appassionato studio dei gemelli, sui quali anche Mengele si concentrerà successivamente. Il dottor Lettich, arrivato nel campo di Auschwitz nell’inverno 1943, dirà:

” Al primo contatto (…) siamo stati colpiti nel constatare che i medici tedeschi agivano tutti allo stesso modo con perfetto disprezzo della vita umana. Essi consideravano i deportati non come uomini, ma unicamente come “materiale umano” (…) Essi facevano di tutto per farli lavorare più di quanto potessero resistere e li uccidevano con i sistemi più brutali, per sostituirli con altri, quando il rendimento era scarso.”

Dal maggio 1943, insieme ad altri medici nazisti, Mengele si dedica alla selezione del campo di Auschwitz-Birkenau. Lui ha il potere supremo di decidere chi deve andare direttamente alle camere a gas e chi invece è idoneo a lavorare. Ma in questo inferno, in realtà, la sua prerogativa è un’altra: poter svolgere le sue ricerche pseudo scientifiche sulla genetica, identificare i tratti dominanti della razza ariana e concentrarsi sul mantenimento e la riproduzione della stessa. Ben presto le sue attenzioni si concentrano sui bambini, in particolare sui gemelli monozigoti.

Una delle prime iniziative del terribile medico è stata quella di creare una sorta di centro diurno dove i bambini sono liberi di giocare durante la giornata: il suo nome è Kindergarten. I piccoli godono di un trattamento differente rispetto agli altri internati: a loro non vengono immediatamente rasati i capelli e non sono obbligati ad indossare l’uniforme del campo. Dopo il rituale dell’appello mattutino, i fanciulli possono divertirsi e a loro sono riservate addirittura buone razioni alimentari. Mengele non manca di scherzare con loro, tanto che c’è chi lo chiama “zio”. Per volere dell’Angelo Bianco (definito anche così per via del camice bianco che si contrappone alle uniformi dei soldati nazisti), i bambini vengono tatuati con un numero identificativo particolare, e poi minuziosamente esaminati e misurati. Sono sottoposti in primis al prelievo del sangue. Ad alcuni vengono inoculati farmaci o virus, per valutare e confrontare le reazioni e il decorso delle malattie di un gemello rispetto all’altro. Non mancano le trasfusioni da un fratello all’altro.

Il medico patologo Miklos Nyiszli, deportato ad Auschwitz e suo malgrado, collaboratore di Mengele, nel suo libro “Sono stato l’assistente del dottor Mengele. Memorie di un medico internato ad Auschwitz”, dirà:

“(…) Dal momento che la dissezione e l’osservazione dei diversi organi deve essere eseguita nello stesso tempo, occorre che la morte dei gemelli si verifichi nel medesimo momento. E nella baracca sperimentale del kappa-zeta di Auschwitz, campo B II d, la morte simultanea di gemelli avviene regolarmente. Ci pensa il dottor Mengele a privarli della vita. (…) Per questo sono indirizzati a destra, per finire dopo nella baracca buona. Per questo temporaneamente godono di un buon vitto e possono lavarsi, allo scopo, cioè, che qualcuno non si ammali e possa morir prima dell’altro. Possono morire, certo, ma in buona salute, e simultaneamente.”

Non solo: il medico si concentra sull’eterocromia, cioè sulla differente colorazione delle iridi. La prerogativa ariana prevede gli occhi azzurri e, per raggiungere questo risultato, il medico inietta metilene blu direttamente nell’iride, provocando così dolori atroci e cecità nei bimbi sottoposti ai suoi folli esperimenti.

Ma l’orrore non conosce fine: ha ritenuto interessante e doveroso per il progresso scientifico (che non ha mai trovato riscontro positivo nella medicina) cucire due gemelli per la schiena, per creare gemelli siamesi e poterne studiare le reazioni. Entrambi i bambini sono morti di cancrena dopo svariati giorni di agonia. C’è anche chi racconta di aver visto Mengele eseguire una vivisezione senza anestesia, rimuovendo cuori e stomaci dalle piccole vittime. Successivamente, i campioni di organi e tessuti prelevati vengono spediti a Berlino, per continuare le ricerche e cercare di trovare differenze concrete tra gli ariani e i non ariani, in maniera da poter mettere in risalto definitivamente le difformità razziali.

Sembrano stralci di eventi estrapolati da un terribile film dell’orrore, e invece è stata una triste, vergognosa e orribile realtà, di cui ci parla Oriana Ramunno nel suo emozionante libro intitolato “Il bambino che disegnava le ombre”. Il piccolo Gioele, protagonista di questa folle vicenda, entra con il suo gemello Gabriele nel famoso blocco 10 di Birkenau, attirando da subito le attenzioni dello spietato medico. Gioele non ha solo un fratello gemello, ma presenta una particolare caratteristica somatica, relativamente rara: l’eterocromia. È un vortice impietoso di dolore, di orrore, di diabolica follia, generata e maturata sotto lo stendardo della superiorità razziale, dilagata come un morbo che contagia velocemente, annebbiando le menti, offuscando il raziocinio, non solo delle alte cariche naziste, ma anche di milioni di comuni cittadini. Sfogliando le pagine di questo toccante romanzo, risulta impossibile non commuoversi, non emozionarsi, non indignarsi, non provare risentimento verso coloro che provano un piacere immenso e raccapricciante nell’infliggere tormenti, nell’imporre dolori, nel condannare a pene infernali i propri simili, la cui unica colpa era quella di appartenere ad un altro credo, ad un’altra ideologia politica, ad altre inclinazioni sessuali o, peggio, di essere nati con patologie fisiche e/o mentali talvolta irreversibili.

Non molto tempo fa ho deciso di varcare quei cancelli che per anni hanno condotto milioni di persone direttamente negli inferi. Sapevo bene cosa avrei trovato, ma non immaginavo minimamente quali emozioni avrebbero potuto travolgermi. In quel silenzio surreale ho percepito voci assordanti, urla strazianti, pianti incontenibili. Nonostante i passi misurati e accorti, mi è parso di violare un luogo sacro, per tanto, troppo tempo, dimenticato da tutti. Ricordo che per qualche attimo ho provato a chiudere gli occhi, e ho visto braccia tese che provavano a chiedere aiuto, corpi insanguinati, visi scarni, piedini nella neve, cani che azzannavano vittime inermi. Ho sentito l’odore delle minestre rancide, ho udito le risate sataniche delle SS e ho percepito nettamente il senso di paura e di morte. Tutto concentrato tra filo spinato e baracche. Un unico immenso inferno, dal quale milioni di persone sono uscite dal camino…

Oggi e sempre, abbiamo il dovere civico e morale di ricordare, di tramandare ciò che è stato ai nostri posteri, per mantenere viva la memoria di vittime innocenti, immolate nel nome di una fantomatica e assurda supremazia, che di fatto ha imbrattato di vergogna e di orrore il Xx secolo.

Fabiana Manna

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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