È l’11 maggio 1981 quando Bob Marley, all’anagrafe Robert Nesta Marley, muore a Miami, presso il Cedar of Lebanon Hospital a causa di un melanoma che dal piede destro è arrivato al cervello. Poco prima del decesso ai suoi figli dice: “Money can’t buy life” (I soldi non possono comprare la vita.)
Nato il 6 febbraio a Nine Mile, Giamaica, da un capitano bianco dell’esercito britannico e una ragazza nera giamaicana, cresce nel ghetto di Trenchtown, a Kingston. Il padre di Bob, lascia la moglie perché pressato dalla sua famiglia di origine e perciò, il futuro cantante di lui dirà: “Non ho avuto padre. Mai conosciuto… Mio padre era come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta.” E ancora, essendo stato da giovane vittima di pregiudizi razziali a causa delle sue origini “miste”, dirà: “Io non ho pregiudizi contro me stesso. Mio padre era bianco e mia madre era nera. Mi chiamano mezzosangue, o qualcosa del genere. Ma io non parteggio per nessuno, né per l’uomo bianco né per l’uomo nero. Io sto dalla parte di Dio, colui che mi ha creato e che ha fatto in modo che io venissi generato sia dal nero che dal bianco.” Il giovane Bob lascia la scuola a 15 anni e l’anno dopo firma un paio di singoli per l’etichetta “Beverley” (“Judge Not” e “One Cup of Coffee”). Nel 1964 estende i suoi orizzonti fondando i “The Wailing Wailers” con gli amici di infanzia Peter Tosh, Bunny, Junior Braithwaite e Beverley Kelso. I quattro si legano all’etichetta “Studio One” e per quella incidono decine di ballabili pop reggae nei due anni seguenti, ottenendo successi sul mercato giamaicano. Nel ’66 Marley lascia la Giamaica per gli USA, dove per vivere si adatta a fare i lavori più umili. Ritorna nell’isola caraibica un anno dopo con un modesto gruzzolo che gli consente di fondare una piccola etichetta, “Wailin’ Soul”. Nel ’68 il gruppo si converte alle dottrine di Marcus Garvey, fondatore della setta Rastafariana, che considerava l’imperatore etiope Haile Selassie come l’incarnazione di Dio. Il gruppo si scioglie nel 1974, lo stesso anno in cui Eric Clapton produce una cover di “I Shot the Sheriff”, andando in testa alle classifiche e, di conseguenza, elevando il profilo internazionale di Marley. Nel ’75 pubblica il suo primo singolo storico, “No Woman, No Cry”, seguito l’anno dopo da “Rastman Vibration”. Nel 1979 pubblica “Survival”, un album ricco di significati politici, contenente canzoni come “Africa Unite”, “Wake Up and Live” e “Survival” che proiettano l’attenzione del cantante sulle sofferenze dei popoli africani. Il disco “Uprising” del 1980 segna la fine della produzione di Bob Marley. Pregno di significato religioso, contiene canzoni come “Redemption Song” e “Forever Loving Jah”. E in “Redemption Song” Marley canta: “…Emancipatevi voi stessi dalla schiavitù mentale, nessuno a parte noi può liberare la nostra mente…” Del reggae dirà: “Il reggae non esiste, è solo un nome. Quello che io faccio è musica, musica per Dio. La musica è il linguaggio preferito di Dio, e chi suona è tenuto a non dimenticare questo particolare. Il reggae è comunicazione, la più dolce forma di comunicazione che Dio ha dato agli uomini. E il suo messaggio si può comprendere solo se si prova amore nell’atto di ascoltarla. Altrimenti, ti limiterai a considerare il reggae come musica da ballare, come fanno tutti i bianchi. Per i bianchi non ci sono messaggi da recepire nel reggae. È una musica come un’altra. Per noi è la vita.” Grande attivista, la sua musica è incentrata sul tema della lotta contro l’oppressione politica e razziale e all’invito all’unificazione dei popoli di colore come unico fine per il raggiungimento della libertà e della uguaglianza. Notevole anche l’aspetto politico della sua vita. Nel 1978 gli viene conferita, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia della pace delle Nazioni Unite. Viene sepolto con funerale di stato in Giamaica, divenendo subito leggenda per il suo popolo. Una grande statua campeggia fuori lo stadio di Kingston e nel 1990 il suo giorno natale, il 6 febbraio, verrà dichiarato festa nazionale. E noi oggi, nell’anniversario della sua dipartita, vogliamo ricordarlo con una tra le sue canzoni più belle e significative…
Fabiana Manna