Libro atroce e magistrale del portoghese José Saramago, Premio Nobel per la letteratura nel 1998.
Atroce perché narra le vicende di una città in cui tutti, da un giorno all’altro e in progressione casuale, si ritrovano improvvisamente ciechi. Tutti meno uno, anzi una, che per caso viene risparmiata dall’epidemia.
Questa donna sarà costretta a nascondere la propria normalità agli altri, ma diventerà la protagonista di una serie di occasioni di riscatto e sopravvivenza.
Atroce questo romanzo, perché le vicende sono narrate con una crudità ed una spregiudicatezza che non lascia nulla all’immaginazione. L’uomo viene descritto in tutta la sua miseria, fisica e morale, senza che al lettore sia risparmiato nessun particolare. Nessuno, nemmeno quelli di cui si farebbe volentieri a meno per lasciarli, volendo, ma solo volendo, all’immaginazione.
E invece no. Saramago affonda il coltello nella piaga e lo gira e lo rigira senza pietà né per i personaggi descritti, né per i lettori.
Magistrale questo libro, perché meglio non si poteva descrivere la natura dell’uomo. Umano, troppo umano, mi verrebbe da dire l’uomo rappresentato da Saramago. Nella sua ipocrisia, nella sua meschinità, nel suo egoismo, nel suo diventare animale quando non c’è più nulla da perdere.
Il mondo orribile che viene a configurarsi all’indomani dell’epidemia che viene definita poeticamente “mal bianco”, porta ad un rovesciamento delle categorie correnti. Sono sovvertiti, dunque, in questo luogo e in questo tempo non meglio identificati, l’ordine, la solidarietà, il rispetto del prossimo, la civile convivenza, ed affiorano, invece, i lati peggiori dell’umanità.
In un mondo ormai popolato solo da deboli e bisognosi riesce ad emergere, infatti, chi pratica per egoismo ed istinto di sopravvivenza, la sopraffazione dell’altro. Una guerra tra poveri si potrebbe dire, se di guerra si trattasse. Ma qui di guerra non v’è traccia. Chi è armato materialmente e moralmente si approfitta biecamente di chi non lo è. Che può, pertanto, solo resistere passivamente, cercando di restare in vita finchè è possibile.
Dopo aver toccato il fondo, facendoci passare attraverso tutte le possibili abiezioni, da una quarantena all’interno di un manicomio abbandonato per i primi casi di cecità, all’evasione dallo stesso e ad una città in condizioni apocalittiche, in cui uomini e animali convivono sullo stesso piano, agitati dalle stesse ferine necessità, il finale, inatteso, ci coglie impreparati.
La lettura di Cecità induce dopo i primi, anche se prolungati nel mio caso, fremiti di ribellione per l’orrore delle vicende narrate, ad una riflessione sulla natura umana.
Solo se si è liberi dal bisogno, si può fare filosofia, si può praticare l’altruismo, si possono rispettare le convenzioni ed il vivere civile. In un mondo in cui tutti sono ciechi, dunque, e nessuno può fare affidamento sull’altro, si finisce col diventare né più né meno che bestie.
Ma forse no, sembra suggerire l’autore. Una possibilità alternativa esiste. E non è detto che sia nelle mani dell’unica persona dotata di occhi.
Starà al lettore attento scoprire se e dove vi siano tracce di umanità residua in mezzo a tanta barbarie.
Donatella Schisa
Titolo : Cecità
Autore: Josè Saramago
Editore : Feltrinelli
Collana : Universale Economica
Traduttore : R.Desti
Prezzo : € 9,50
Narratore, poeta e drammaturgo portoghese, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998.
Costretto a interrompere gli studi secondari fece varie esperienze di lavoro prima di approdare al giornalismo che ha esercitato con successo su vari quotidiani. Dopo il romanzo giovanile Terra e due libri di poesia caratterizzati da una forte sensibilità ritmico-lessicale, si è rivelato acquistando fama internazionale con un’originale produzione narrativa in cui rielaborazione storica e immaginazione mistica e allegorica, realtà e finzione si mescolano in un linguaggio tendenzialmente poetico e vicino ai modi della narrazione orale. Tra le sue opere più note pubblicate da Feltrinelli: Il vangelo secondo Gesù Cristo, Cecità, Tutti i nomi, L’uomo duplicato, L’ultimo Quaderno, Don Giovanni o il dissoluto assolto. Riconosciuto come uno degli autori più significativi del Novecento, la sua produzione spazia dalla poesia al romanzo, dal teatro La seconda volta di Francesco d’Assisi eNomine Dei ai racconti storici.
Intellettuale raffinato e impegnato, ha spesso fatto discutere per i suoi racconti dissacranti che colpiscono al cuore i mali della nostra società.
Nel 1998 l’Accademia di Svezia gli ha conferito il Premio Nobel per la Letteratura premiando le sue qualità di scrittore ma anche l’uomo delle battaglie civili.
Fissa in una frase il perché del proprio scrivere: “Le parole sono l’unica cosa immortale: quando uno è morto, ai posteri rimangono solo loro”.
Nel 2012 Feltrinelli pubblica Lucernario, romanzo giovanile perduto e ritrovato.
Nel 2014 Feltrinelli pubblica anche Alabarde Alabarde, con uno scritto di Roberto Saviano.
La trama
In un tempo e un luogo non precisati, all’improvviso l’intera popolazione diventa cieca per un’inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un’esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l’insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l’orrore di cui l’uomo sa essere capace. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un’umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull’indifferenza e l’egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza.