Cuoresardo, Benedetta De Vito

Cuoresardo, Benedetta De Vito. Bookabook editore

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“Siamo il regno ininterrotto del lentisco, delle onde che ruscellano i graniti antichi, della rosa canina, del vento, dall’immensità del mare. Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche, di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta. Noi siamo sardi.”

Grazia Deledda

Siamo fatti di sogni, di fotogrammi stampati negli occhi, di meraviglie impresse nell’anima. Siamo fatti di ricordi e di memoria, che spesso affondano le radici in un passato lontano, quello dell’infanzia e della prima giovinezza, quello della spensieratezza e dell’innocenza. E siamo fatti anche di storie, di avvenimenti che ci sono accaduti, che rievocano posti, momenti, stati d’animo. E proprio attraverso le sue reminescenze, l’autrice ci accompagna negli scorci della sua vita, a cui fa da sfondo una terra selvaggia e straordinaria, ricca di tradizioni millenarie, bella come il paradiso: la Sardegna.

Quello contemplato è il periodo in cui il turismo che conosciamo oggi, non era ancora così dilagante, ed era l’epoca in cui quelle terre erano frequentate dalla nobiltà veneziana, ricca di commercio, e non di rado si presentava l’opportunità di investire e godersi un angolo di sconfinata bellezza.

“…Mio padre, disegnando lui il profilo della casa, insieme a un architetto con il quale litigava a colazione, a pranzo e a cena, ci aveva fatto costruire una villa bianca, di calce, cotto e mattoni, una villa fatta a gradi discendenti, come una scaletta, che si sgomitolava, però, in lunghezza sul costone della collina. In alto terrazze al mare e al cielo e timide verande inghirlandate di verde, protette dal sole (…). Da quel nido, su e giù e a ogni scorcio da finestre e vetrate, si vedevano le sfumature colorate in azzurro delle onde che danzavano nei venti differenti, di qui e di lì, spumeggianti. In fondo sempre Tavolara (…). La villa, da lontano, pareva un lenzuolo bianco steso ad asciugare, adagiato per ghermire il profumo sulle chiome di mirti, olivastri, corbezzoli…”

I ricordi pervadono tutti i sensi, e affiorano con delicatezza vivida, accarezzando l’anima…

“Un quadro di solitudine che io, per privilegio divino, ho potuto fotografare con gli occhi e serbare legato al sogno dell’anima. Era quella la preistoria della villeggiatura. Se mi svegliavo all’alba, cosa che mi capitava dopo un sonno cucito nella beatitudine, esplodevo nel mio pigiama di colore bianco (identico a quello di tutti i fratelli) in veranda per osservare il sole che saliva a oriente, nell’Aldia, e annusavo il vento che, tremulo, attendeva non so chi per decidere da che parte soffiare. Il mare, prima specchio d’argento, immoto, senza grinze, tremava poi nel brivido del soffio di vita che lo increspava tutto. Poi, verso le nove, sceglieva e, se era vento di Maestrale, ruggiva sui cavalloni imbizzarriti, bianchi di merletti di spuma. Le onde si mangiavano la spiaggia. Sardegna e vento sono un tutt’uno e non c’è quella senza questo. Vento d’amore divino e solitudine.”

Anche l’amore sboccia su quelle divine spiagge, tra le minuscole conchiglie e quelle acque cristalline, dove l’azzurro si declina in tutte le possibili sfumature.

“…il mio cuore che, a Cala Girgolu, incontrò il suo primo amore. A diciotto anni o giù di lì, in una mattina di sole d’oro e di mare d’argento, mi trovai tra le onde, occhi negli occhi con Carlo che, lui pure, aveva casa “dall’altra parte “. Era questo un quattro quarti nuorese, condito in salsa piemontese nel cognome e nell’aspetto; dell’isola sua aveva la parlata tutta doppia e lo spirito aspro, solitario; delle brume dell’Alta Savoia si portava addosso due occhi verde oliva, il cognome, appunto, e i capelli chiari. Fu amore a prima vista, dagli occhi dell’anima, in ascensore, un amore piccolo piccolo, in grembo alle fate e pure ricambiato (…). Tavolara ci dava il benvenuto sulla timida spiaggia di ciottoli, che sembrava dar le spalle al sole e guardava diritto verso Golfo Aranci. Non c’era anima viva e noi due solamente, nei baci salati.”

Ma la vita, per tutti, non è sempre solo piacere e divertimento, anzi. Fin tropo spesso, le esistenze di noi tutti sono costellate da dolori immensi, dispiaceri inaspettati, sofferenze inaudite. Sono quelle fasi in cui si è costretti a crescere, a maturare, a divenire consapevoli, fino in fondo, di se e di ciò che ci circonda.

“Posso ben dire, a voce alta, che la mia vita si divide in due atti, cioè prima e dopo la morte di Fulvio. Prima, l’inconsapevolezza; dopo, la croce (…). Morì, giovanetto, come succede nelle tragedie classiche di Eschilo e di Sofocle, e un pezzo di me, che chiamerei col nome comune di piacere, se ne andò sottoterra insieme a lui. Avevo sedici anni. Fu allora, in quell’aurora adolescente, morto Fulvio che incominciò, a piedi in aria, la mia vita d’amore. Se c’erano spine e dolori, eccomi pronta con la mia valigetta d’infermiera a cucir tagli, a medicar ferite, a dispensare balsami e parole di miele. Più era alta la sfida, più mi buttavo, temeraria, nel burrone, per tirar su il tapino azzurro, forte soltanto delle mie due braccia bianche, allacciata alla mia fiaccola di santa col cerone. Io, tutta presa nella missione mia per scontare i giorni che mi pareva di aver rubato sfuggendo alla signora oscura e che dovevo restituire, profumati da sacrificio, nel cilicio dei miei giorni.”

E come non tenere a mente gli usi e l’abbigliamento tipico delle donne sarde? La danza della memoria passa, inesorabilmente, anche da lì…

“In quei tempi là, per trovare le donne in costume tradizionale, bisognava già andar sull’altra sponda, passando il piccolo continente isolano. In gita a Oristano, infatti, le vidi le donne in abito sardo, si muovevano ondeggianti, come canne al vento, nella loro primigenia meraviglia: le gonne solenni, gli orecchini festosi, i bottoni intarsiati. A messa, poi, tutte portavano un fazzoletto che, a triangolo, incorniciava i volti, come protetti in una teca, e restava rigido, al suo posto, anche grazie a una spilla che lo fissava ai capelli sulla sommità del capo. Era una bellezza ieratica, antica, che non si consumava negli sguardi di desiderio. Era la bellezza pura, eterna, semplice e grande insieme.”

Ho voluto deliberatamente soffermarmi e riportare diversi stralci di questa splendida lettura, intrisa di dolce malinconia, di teneri ricordi, di sublime bellezza. La memoria diviene pura poesia, strepitosa magia, armonia dei sensi. Le parole soavi gettano un ponte sulla terraferma, e collegano storie quasi parallele. Basta chiudere gli occhi qualche istante, ed è possibile percepire il profumo del mirto, sentire le risa dei bambini sulla battigia, vedere l’arancio del sole che bacia le limpide acque al tramonto, toccare la sabbia fine e bianca, assaporare il sale tra un tuffo e l’altro.

Perché la vita è proprio questa: non solo il vissuto, ma i ricordi che sopravvivono agli anni trascorsi, e la dolcezza con cui sopravvengono e con cui si raccontano…

Negli anni Sessanta Benedetta – Betta per parenti e amici stretti – e la sua numerosa famiglia trascorrono le vacanze estive nella casa in Sardegna, fatta costruire dal padre ingegnere. Con l’isola di Tavolara di fronte e la sabbia dorata di Cala Girgolu sotto i piedi, i ricordi di quegli anni si fanno vivi, i personaggi riemergono da un lontano passato e mostrano al presente tutto l’incanto di un paradiso per-duto che è meraviglia continua. La natura incontaminata della Sardegna fa da sfondo alla vita sperimentata dalla protagonista in quella stagione dorata, rimasta impressa nel corpo e nella mente, e mai più dimenticata.

Maria Benedetta de Vito laureata in Letteratura portoghese, giornalista professionista, ghostwriter, traduttrice, scrittrice, è nata e vive a Roma. Ha lavorato per più di vent’anni al Gazzettino e collabora con diversi siti Internet. Ha scritto L’ingegnere e altri racconti (Stampa alternativa, Millelire, 1990), Il naso Augusto (Moby Dick edizioni, 1995), C’ero una volta (Oltre edizioni, 2019). Ha tradotto Lei non sarà mai infedele di Jeanne De Casalis (Nutrimenti, 2003) e L’enigma delle sabbie di Erskine Childers (Nuova Editrice Berti, 2012).

Autore: Benedetta De Vito
Editore: bookabook
Anno edizione: 2022
In commercio dal: 23 marzo 2022
Pagine: 119 p., Brossura
EAN: 9788833238340


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Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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