12.000 navi da guerra, 4.200 mezzi da sbarco, 12.000 aerei. Gli Alleati contano circa 156.000 uomini coinvolti. 7.844 tra morti, feriti e dispersi sulle spiagge, 3.799 tra morti, feriti e dispersi tra le truppe aviotrasportate. I tedeschi impiegano circa 50.000 uomini, con perdite tra morti, feriti e dispersi di un numero che varia dalle 4.000 alle 9.000 unità. Questa l’entità di una delle più grandi e complesse operazioni militari di sempre, che contribuì notevolmente a porre fine al secondo conflitto bellico.
Ma andiamo per gradi. L’idea dell’invasione dell’Europa continentale era maturata già nel gennaio 1943, tra i capi militari Angelo-americani durante la conferenza di Casablanca e nel maggio dello stesso anno fu deciso che nella primavera del 1944 sarebbe partita l’invasione dell’Europa nordoccidentale (nome in codice: operazione Overlord, iniziata con l’operazione Neptune). L’intento era quello di stringere in una morsa l’esercito tedesco: se i russi avessero conquistato terreno e la nuova operazione fosse andata a buon fine, Berlino sarebbe rimasta intrappolata e sarebbe risultato più semplice uscirne vittoriosi. Al generale Dwight Eisenhower fu assegnato il comando supremo della forza di spedizione alleata (SHAEF) il 7 dicembre 1943 e i tre posti di comando a lui subordinati furono destinati a tre ufficiali britannici: il generale Bernard Law Montgomery, l’ammiraglio Bertram Ramsay e il maresciallo capo dell’aria Trafford Leigh-Mallory, rispettivamente per le forze terrestri, navali e aeree. Dopo aver pianificato e studiato le mappe, organizzato le strategie e stabilito gli schieramenti, si diede avvio all’inizio dell’operazione, prevista inizialmente per il 5 giugno ma posticipata alle prime ore del giorno successivo per avverse condizioni meteorologiche. La Resistenza francese, concentrata nelle azioni di sabotaggio alla rete logistica tedesca, fu avvisata pochi giorni prima dello sbarco, attraverso alcuni annunci della Radio Londres, utilizzando la prima strofa della poesia “Chanson d’automne ” di Paul Verlaine. I primi tre versi, “I lunghi lamenti dei violini d’autunno”, sollecitavano le azioni di boicottaggio e distruzione delle strutture fisiche tedesche, mentre la seconda strofa, “Mi lacerano il cuore con un monotono languore”, segnalava che l’invasione sarebbe avvenuta nel giro di 48 ore.
Poco dopo la mezzanotte del 6 giugno, i primi 9.200 aerei alleati si diressero sulla Bretagna, alcuni dei quali proseguirono verso l’entroterra lanciando 200 “Ruebens”, cioè manichini di gomma forniti di paracadute e petardi per simulare il fuoco di armi leggere. Questo era un piano volto ad ingannare i tedeschi, per trattenerli lontani dalle zone in cui i veri paracadutisti sarebbero atterrati, ed ebbe successo, perché li convinse che lo sbarco sarebbe avvenuto a Calais. Sorte diversa per le divisioni aviotrasportate che, a causa del maltempo, della scarsa visibilità e del fuoco della contraerea, ebbero notevoli difficoltà. In ogni caso, nonostante le perdite e gli errori tattici, molta confusione si diffuse nei comandi tedeschi, che non erano ancora completamente convinti della portata degli eventi in Normandia, tanto che solamente nel tardo pomeriggio del 6 giugno 124 carri del ventiduesimo Reggimento della 21. Panzer-Division, quella più vicina alle coste normanne, ebbero l’ordine di dirigersi verso Sword e Juno Beach per contrastare gli sbarchi alleati. Rommel, al suo aiutante in campo Helmuth Lang, disse: “Credete a me, Lang! Le prime ventiquattr’ore dopo lo sbarco, saranno decisive (…) per gli alleati come per i tedeschi si tratterà del giorno più lungo…” All 5.30 migliaia di uomini scesero dalle navi della flotta alleata, a supporto delle operazioni su Utah e Omaha Beach. Alla stessa ora migliaia di aerei iniziarono a bombardare e a mitragliare le difese tedesche e in concomitanza i cannoni di quasi 600 navi iniziarono a colpire la costa. E mentre su Utah Beach le fortificazioni e le batterie tedesche furono schiacciate dal gruppo dell’aviazione, i bombardamenti effettuati sulle spiagge britanniche e su Omaha risultarono un fallimento, dovuto prevalentemente alle condizioni atmosferiche avverse. In ogni caso gli attacchi aerei continuarono ad intermittenza prevalentemente sulla città di Caen, che rappresentava il fulcro alle forze corazzate tedesche per potersi spingere verso le coste britanniche.
Le operazioni su Omaha Beach furono estremamente complesse per gli alleati. Su tutta la spiaggia gli uomini furono accolti da una raffica di fuoco di mitragliatrici e artiglieria tedesche, tanto è vero che verrà poi denominata “Bloody Omaha”. Un altro errore tattico, dovuto presumibilmente alla forte corrente, alla mescolanza di fumo e nebbia e alla scarsa attitudine dei marinai. Ciononostante, i tedeschi, che inizialmente erano riusciti a contrastare positivamente gli invasori, si ritrovarono costretti a ripiegare, perché in numero nettamente inferiore e per esaurimento delle munizioni. Dopo le 13.00 gli alleati erano riusciti a superare il momento più critico e la fanteria statunitense fu in grado di creare più teste di ponte separate entro la fine della giornata. Solo dopo tre giorni le due divisioni riuscirono a raggiungere gli obiettivi prefissati per il giorno dello sbarco.
L’approdo a Utah Beach, anche grazie al caso fortuito, risultò essere decisamente più fortunato. Roosevelt ebbe a dire: “Cominceremo la guerra proprio qui!”
Lo sbarco a Point du Hoc fu molto travagliato per poi rivelarsi addirittura inutile. Infatti, dopo che i ranger raggiunsero la scogliera tra non poche difficoltà e perdite, si accorsero che i tedeschi avevano abbandonato la postazione e i bunker erano vuoti.
Anche lo sbarco sulle coste britanniche, Sword, Juno e Gold, fu intralciato dal mare grosso e dagli sbarramenti sottomarini. Fu proprio il settore di Juno Beach ad avere le conseguenze peggiori, dovute all’alta marea, che provocò gravi perdite tra i mezzi da sbarco, e al pesante fuoco d’artiglieria tedesco.
Ad ogni modo, nonostante le difficoltà, i ritardi e i diversi errori, gli Alleati riuscirono a conseguire un successo quasi totale, stabilendosi efficacemente in Europa e respingendo i primi contrattacchi tedeschi.
Un evento epico, unico, che ha cambiato il corso della storia, grazie al coraggio, alla determinazione e all’incisiva coordinazione. Non da meno furono determinanti eventi fortuiti, leggerezze e ritardi da parte dei tedeschi (che tra l’altro avevano previsto l’arrivo degli Alleati intorno alla metà del mese di giugno) e la paralizzazione dell’intero sistema di comunicazioni teutonico, danneggiato nei giorni immediatamente precedenti allo sbarco.
La battaglia proseguì per tutto il nord della Francia, fino alla liberazione di Parigi, avvenuta nell’agosto dello stesso anno. Poi, nell’inverno successivo, si puntò verso la Germania, con la battaglia delle Ardenne.
CURIOSITÀ
Le truppe alleate che presero parte allo sbarco, videro una vasta partecipazione di forze canadesi, australiane, belghe, cecoslovacche, francesi, greche, olandesi, neozelandesi, norvegesi e polacche, oltre a quelle britanniche e americane, e tutti lasciarono, purtroppo, la loro quota di morti.
Nel gergo militare inglese, la D maiuscola di “D-Day” significa semplicemente “giorno”, il giorno stabilito per una missione. Il codice “D-Day”, dunque, era un’espressione generica che indicava l’inizio di una particolare operazione, e prima del 1944 venne utilizzato in numerose altre occasioni. Ma, dopo quella data, rappresentò unicamente lo Sbarco in Normandia. Per altri, invece, “D-Day” significherebbe invece “Decision Day” (il giorno della decisione), o ancora, “Deliverance Day”, giorno della liberazione.
Anche Anna Frank ebbe modo di apprendere la notizia dello sbarco. Non a caso, nel suo Diario scrisse: “Si starà avvicinando la tanto anelata liberazione (…) Oh, Kitty, la cosa più bella dell’invasione è che ho la sensazione che siano in arrivo degli amici.”
Molte le trasposizioni cinematografiche, tra le quali ricordiamo “Il giorno più lungo”, di Ken Annakin; “Salvate il soldato Ryan”, si Steven Spielberg; “Operazione Overlord”, di Stuart Cooper; “D-Day – Noi italiani ceravamo”, di Mauro Vittorio Quattrina; “L’alba del D-Day”, di Robert Harmon.
Molti anche i libri relativi all’argomento. Ricordiamo per esempio “Lo sbarco in Normandia”, di Olivier Wieviorka; “Storia dello sbarco in Normandia”, di Andrea Molinari; “La vera storia dello sbarco in Normandia”, di Bertin Claude; “La storia segreta del D-Day”, di Macintyre Ben.
Una data importante e fondamentale, il 6 giugno 1944, che va ricordata sempre. L’inizio della fine dell’egemonia tedesca e la fine di una guerra spietata cominciò proprio dallo sbarco sulle coste del nord della Francia.
Fabiana Manna