“De André non è stato mai di moda. È infatti la moda, effimera definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano.” (Nicola Piovani)
“…dai diamanti non nasce niente Dal letame nascono i fior…” Frase questa, a tutti nota, tratta dalla celebre canzone “Via del Campo”, del compianto cantautore Fabrizio Cristiano De André, per tutti semplicemente Fabrizio De André, scomparso a Milano esattamente venti anni fa, ucciso da un carcinoma polmonare. Nasce il 18 febbraio 1940 a Pegli, un quartiere di Genova, da una famiglia borghese con la quale si trasferisce in una campagna dell’astigiano per difendersi dalla guerra, per poi tornare a Genova nel ’45. La sua ribellione innata non tarda ad emergere: già a scuola le regole rigide gli stavano strette e i genitori sono costretti a trasferirlo da una scuola privata retta dalle suore a una scuola statale. A 18 anni, lascia la casa dei genitori a causa dei contrasti con il padre. Frequenta alcuni corsi di Lettere e altri di Medicina presso l’Università di Genova, scegliendo poi la facoltà di giurisprudenza che abbandona a sei esami dalla laurea. È questo il periodo dei primi contatti discografici, ma anche quello dei problemi legati all’abuso di alcool, di una vita dissennata e sregolata. Nel 1958 esce il suo primo disco “Nuvole Barocche”, ma il vero successo sarà rappresentato, nel 1964, da “La Canzone di Marinella”, interpretata tre anni dopo da Mina, il cui testo è ispirato a un fatto di cronaca. Nel 1961 conosce Enrica Rignon, detta “Puny”, appassionata di musica jazz e più grande di Fabrizio di quasi sette anni. Rimasta incinta, sarà la prima moglie di De André, fino alla separazione avvenuta a metà degli anni ’70 e dalla cui unione nasce il figlio Cristiano.
Le tematiche esistenzialiste rappresentano il concept dell’album “Tutti morimmo a stento” e caratterizzeranno notevolmente il periodo tra il 1968 e il 1973. Nel periodo tra il 1969 e il 1979, il cantautore è sottoposto a controlli da parte dei servizi segreti italiani, probabilmente a causa della conoscenza di un simpatizzante del marxismo-leninismo, indagato tra l’altro nelle prime inchieste sulla strage di Piazza Fontana. Viene inoltre ritenuto dal SISDE un “simpatizzante delle BR”. Verso la seconda metà degli anni ’70, insieme a Dori Ghezzi (dalla quale avrà la seconda figlia nata nel 1977, Luisa Vittoria detta “Luvi”) acquista e si stabilisce in una tenuta sarda poco distante da Tempio Pausania. Il 27 agosto 1979 la coppia viene rapita dall’anonima sequestri sarda e rilasciata solo quattro mesi più tardi dietro il pagamento del riscatto di circa 550 milioni di lire. Esperienza, quella del sequestro, che lo segna sia a livello,personale che a livello artistico. In seguito riuscirà a perdonare i suoi carcerieri e dirà: “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai.”
Nel 1981 realizza l’album “L’indiano”, che sottolinea la corrispondenza tra il popolo amerindio è quello sardo. Pubblicherà dopo “Crêuza de mä”, “Le nuvole”, “Anime salve”. In quasi quarant’anni di carriera artistica, ha inciso 14 album, tramutando magistralmente in note la storia dell’uomo e delle sue fragilità, soffermandosi in maniera particolare sugli esclusi e sulle minoranze. Proprio per questo è ricordato come “il cantautore degli emarginati” o “il poeta degli sconfitti”. Ha saputo mescolare modelli francesi e americani, estremamente diversi tra loro ma che sono serviti a contestare le convenzioni borghesi per dare essenzialmente voce a chi non riusciva a trovare spazio o posto nella società.
“Gli estimatori di Fabrizio De André ammirano il coraggio morale e la coerenza artistica con cui egli, nella società italiana del dopoguerra, scelse di sottolineare i tratti nobili e universali degli emarginati, affrancandoli dal “ghetto” degli indesiderabili e mettendo a confronto la loro dolorosa realtà umana con la cattiva coscienza dei loro accusatori.” (Senza fonte)
Mi fa piacere concludere citando una sua splendida frase: “Perché scrivo? Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.”
Ciao, immenso Faber
Fabiana Manna