Ciascuno di noi avrà avuto senz’altro modo di imbattersi, anche più volte, in storie che puntano l’attenzione al soprannaturale, ossia a quel concetto che indica la continuazione dell’esistenza, prevalentemente come forma immateriale di spirito o anima, dopo la morte fisica. La letteratura, il cinema, l’arte, le canzoni, i racconti e le leggende di quasi tutte le civiltà sono colme di narrazioni di fantasmi, che infestano antiche magioni, vecchi manieri, case abbandonate, cimiteri vuoti, costruzioni militari o campi di battaglia. Ovviamente, anche in Italia ci sono innumerevoli storie legate a questi fenomeni che oltrepassano l’ordine della natura o le leggi della fisica. Oggi ci soffermiamo su una vicenda in particolare, che riguarda l’antico Castello di Fumone.
Situato in un piccolissimo borgo della provincia di Frosinone, a circa 800 metri di altezza, nasce come fortezza militare dello Stato Pontificio e domina l’intera valle del Sacco e la strada maestra che collegava Roma a Napoli. Il suo nome è legato all’antica funzione di comunicazione effettuata con segnali di fumo, necessari per annunciare le invasioni di nemici provenienti da sud e diretti verso Roma e il primo documento ufficiale in cui compare il nome Fumone è la “Donazione Ottoniana”, quando nell’anno 962 l’imperatore di Germania, Ottone I di Sassonia, donò alla Santa Sede e al suo pontefice Giovanni XII, le città di Teramo, Rieti, Norcia, Amiterno e l’Arx Fumonis. Fortezza inespugnabile e prigione pontificia di massima sicurezza, nel 1121 fu il luogo di reclusione e morte per Maurizio Bordino, antipapa francese noto anche con il nome di Gregorio VIII, condotto lì per volere di papà Callisto II; il suo corpo non fu mai ritrovato. La vicenda più nota risale al 1295, quando in questa fortezza fu rinchiuso il santo Papa Celestino V, “colui che per viltà de fece il gran rifiuto”, come racconta Dante nella sua Commedia, che vi morì dopo dieci mesi di dura prigionia. Con il tempo, però, la fortezza, che ormai aveva perso la sua importanza militare, andò decadendo e dunque, papà Sisto V decise che proprio in virtù del fatto che in quel luogo fosse morto Celestino V, decise di affidare il castello ad una aristocratica famiglia romana: i marchesi Longhi.
Ma è proprio dalla morte del santo papa che i misteri e i segreti cominciano a manifestarsi: intanto pare che la cella che accoglieva Celestino fosse non solo priva di giaciglio, e quindi l’anziano eremita fosse costretto a coricarsi sul gelido pavimento, ma fosse divenuta anche il luogo del primo miracolo, che ha visto l’apparizione di una croce splendente rimasta sulla porta durante le ultime ore di vita del santo. Ancora, pare che da qualche parte, nel castello, tra tante altre reliquie, sia conservato anche un pezzo del cuore del papa. E poi, nel maniero c’è un pozzo, soprannominato il “Pozzo delle Vergini”: secondo lo Jus primae noctis, legge allora vigente, i signori della città rivendicavano la prima notte di nozze delle giovani spose che dovevano giungere al matrimonio vergini. Ma se il signorotto trovava la ragazza impura, poteva scaraventarla nel pozzo, dove una morte orribile l’attendeva, tra urla strazianti e una lenta e atroce sofferenza. Di fatto, pare che sul fondo del pozzo siano state ritrovate molte ossa umane femminili, il che confermerebbe questo macabro rituale.
Ma alle urla delle giovani fanciulle e di tutti coloro che erano stati rinchiusi nelle prigioni di quel castello, se ne aggiunge un’altra, che ha un eco molto più forte, terribilmente straziante: si tratta del marchesino Francesco Longhi Caetani, ucciso a metà dell’Ottocento. Il bambino, preceduto da sette sorelle, sarebbe stato l’unico erede di tutto il patrimonio della famiglia. Ma pare che le sorelle avessero architettato un piano omicida diabolico: avrebbero fatto ingoiare al piccolo del vetro macinato o, secondo alcuni studiosi, delle dosi di arsenico tali da far spirare il marchesino tra atroci sofferenze all’età di soli tre anni. La madre, impazzita per il dolore, in un disperato delirio, non solo fece ridipingere tutti gli abiti di nero nei quadri appesi in tutte le stanze del maniero, ma volle che le spoglie del figlio venissero imbalsamate con la cera, in modo da poter continuare a prendersi cura del piccolo,lavandolo, vestendolo e parlandogli come se fosse ancora vivo, fino al giorno della sua morte. La marchesa Emilia Caetani non volle mai seppellirlo, ma anzi lo mise in una teca con i suoi giochi, sperando invano che prima o poi si potesse svegliare. La donna morì persuasa che il figlio fosse mancato a causa di una polmonite; solo dopo la scomparsa della marchesa, una delle figlie confessò l’atroce delitto. Da allora c’è chi sostiene che il fantasma di Emilia Caetani Longhi si aggiri inconsolabile tra le mura del castello e che lo stesso Francesco sposti e nasconda oggetti con i quali era solito giocare. Non solo: la leggenda narra che esistano almeno diciotto fantasmi nel castello, tra cui proprio quello dell’antipapa Gregorio VIII.
La storia millenaria di questo castello è fitta di misteri: oltre alle ricostruzioni delle spaventose sedute spiritiche organizzate nell’ala ovest del maniero, o ai pianti disperati della duchessa Emilia, si narra di luci che si accendono da sole, di mobili spostati e di oggetti spariti misteriosamente. Più di tutto, forse, è la suggestiva aria che si respira tra queste mura, intrisa di storia e leggende che solcano il tempo…
Fabiana Manna