16 ottobre 1943: tragico anniversario.
È il 18 settembre 1938 quando, a Trieste, Benito Mussolini annuncia la promulgazione delle leggi razziali, una serie di regolamenti discriminatori ai danni degli ebrei che stabilivano, tra l’altro, il divieto di contrarre matrimonio tra italiani ed ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni di avere alle proprie dipendenze ebrei, la revoca della cittadinanza italiana concessa a ebrei stranieri in data successiva al 1919, il divieto di svolgere la professione di notaio e giornalista…
La disumana macchina della morte era partita inesorabile e spietata.
16 ottobre 1943: le truppe della Gestapo invadono le strade del portico di Ottavia tra le ore 5.30 e le ore 14.00, effettuando una retata molto mirata grazie anche al censimento degli ebrei. Vengono catturati 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica.
Si scatena il panico: urla, pianti, incapacità di comprendere quello che stava accadendo, caratterizzano quel sabato, ricordato poi come Sabato nero. Dopo circa 30 ore, 18 carri bestiame piombati partiranno dalla stazione Tiburtina per arrivare dopo sei giorni al campo di concentramento di Auscwhitz.
I primi 820 finirono subito nelle camere a gas. Gli altri furono in parte destinati ad altri campi di sterminio. Solo in 16 riusciranno a fare ritorno: 15 uomini e una donna.
Alberto Sed, un sopravvissuto di Auschwitz racconta: “Non sono mai riuscito a prendere in braccio un neonato, nemmeno i miei figli, perché ad Auschwitz i nazisti ci facevano tirare in aria bambini di pochi mesi e si divertivano ad ucciderli, come nel tiro a piattello. Non sono mai riuscito a entrare in una piscina, perché ho visto un prete ortodosso massacrato e annegato dai carnefici.”
E ancora si legge nel diario di un ufficiale delle Regie Forze Armate: “Perché anche da noi si è ripresa la persecuzione contro gli israeliti? E si sono emanate quelle leggi sulla difesa della razza che sono il disonore della moderna civiltà?”
Può essere sufficiente rispondere che l’unica colpa era quella di appartenere ad un altro credo religioso? Purtroppo pare di sì… Ho deciso l’anno scorso di fare l’esperienza di varcare quel cancello, sul quale c’è ancora la scritta “Arbeit Macht Frei”, “Il lavoro rende liberi”, un’altra beffarda offesa. E c’è un silenzio insolito, anomalo, un silenzio però carico di pianti, di grida, di orrore e di morte che si percepisce in maniera costante, e non è semplice suggestione. Sono le urla silenti di chi è morto tra le sofferenze più atroci, prima nello spirito e poi nel corpo. Urla di chi si chiede ancora il perché e che auspicano di essere udite affinché questa abominevole pagina del passato non si ripeta e non venga MAI dimenticata…
Fabiana Manna