Il bambino nascosto
Introduzione
“Gli uomini sanno le cose presenti,gli dèi conoscono quelle future, assoluti padroni di ogni luce.”
Konstantinos Kavafis
Un uomo, un bambino, una città.
Ma non un uomo qualunque o un bambino come gli altri e neppure una città qualsiasi.
Gabriele, un professore di pianoforte ma soprattutto una persona la cui complessità interiore è quasi pari alla sua diffidenza verso il prossimo.
Ciro, un bambino di soli dieci anni con la mentalità di un adulto, cresciuto respirando la violenza.
E Napoli, la città più surreale che possa esistere, dove tutto è possibile.
Recensione
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta.Ma pochi di essi se ne ricordano.”
(Antoine de Saint-Exupery)
Quando una storia ti prende te la porti dentro anche dopo aver chiuso il libro e continui a viverla, ripercorrendola più volte dal principio alla fine, senza riuscire a dirle addio.
E’ quello che mi è accaduto dopo aver letto “Il bambino nascosto” di Roberto Andò: mi sono trasferita a Forcella, difficile quartiere di Napoli, dove Gabriele e Ciro hanno trascorso i loro giorni in quell’appartamento nel quale il bambino si era rifugiato quasi a tradimento, arrivando a illudersi che l’amore potesse essere più forte della camorra.
E ho ripercorso, pagina dopo pagina, la rivoluzione esistenziale che stravolge completamente l’essenza di cui è fatto il mondo di entrambi; una rivoluzione attraverso la quale l’egoismo lascia il posto al coraggio e il cinismo diventa speranza.
Attraverso la scrittura scarna e lucida, Andò ci racconta di come un uomo solitario, ormai convinto di non trovarsi nel mondo che fa per lui e un bambino che viene cresciuto per diventare un camorrista possano trovare attraverso due strumenti molto particolari, la complicità e la musica, un linguaggio tutto loro per comunicare e mettere in sintonia le proprie vite. Perché adulti e bambini sono le due metà della luna e l’età adulta si libera del suo grigiore solo se torna a illuminarsi con la poeticità e la semplicità dei bambini.
Centrale è il ruolo della musica in ogni aspetto della vita di Santoro, vissuto però con una reticenza ed un pudore che delineano il carattere introverso del protagonista e un’atavica difficoltà nei rapporti interpersonali: ma se la musica divide come nel rapporto con Diego, l’ex allievo che dimostra la sua mediocrità fino alla fine, o in quello con gli studenti che reclamano saccenti le prove delle capacità artistiche del maestro, la stessa musica unisce in modo indissolubile l’uomo a Ciro che, per ironia della sorte, ha un’innata capacità di imparare a suonare il pianoforte, consentendogli di trasmettergli, come da padre in figlio, la passione della sua vita.
Perfetto anche il finale che, attingendo alla tradizione classica, vede l’eroe compiere il suo destino, in nome dell’amore e della giustizia.
E sullo sfondo una Napoli che non né quella cinica e grigia della Ferrante né quella pennellata di bellezza e mistero di De Giovanni; la Napoli disegnata da Andò con profondo realismo è quanto mai vicina all’uomo comune, è una città nella quale delinquenza e poesia vivono silenziosamente nello stesso quartiere e possono cambiare entrambe le sorti degli esseri umani.
“Vista da lì, Napoli poteva anche sembrare una città introversa che in certi angoli appartati si fosse decisa a mostrare la sua vera vocazione, quella natura solitaria che di solito teneva accuratamente nascosta, una sorta del suo sembiante sfumato, dedito esclusivamente al pensiero e al silenzio”
Conclusioni
Amore, poesia, musica, rapporti familiari ma anche violenza, dolore, angoscia e follia: nel romanzo di Roberto Andò troverete tutti questi elementi, come in moltissimi altri libri.Ma già dopo poche pagine di questo romanzo vi sentirete parte di esso!
Citazioni
“Forse quello sconosciuto si era accorto che lo stava seguendo e stava cercando di portarlo a destinazione. Nel senso letterale del termine, si adoperava perché Gabriele Santoro potesse andare incontro al proprio destino, una meta cui ognuno, prima o poi dovrebbe tendere”.