Il buio dentro, Suzanne Berne
- Sai qual è la cosa più interessante delle persone?
- Che possono diventare malvagie.
Una casa col tetto spiovente si staglia in copertina e in bella vista, al centro, una ragazzina scruta con il binocolo. In alto, il titolo “Il buio dentro” con quel bianco che dà luce alla scena.
Quale sarà mai il significato di questo titolo, mi chiedo, mentre già vado elaborando alcune ipotesi.
Quando dentro di noi c’è il buio, l’oscurità è nei pensieri, nei ricordi, nell’umore. Può essere il nero che deprime, che colora il rimorso e la colpa, soffocando ogni anelito di speranza. Parliamo del buio che non lascia entrare la luce del perdono, né per gli altri, né per sé stessi. Ma quanto siamo consapevoli del buio che possiamo provocare con le nostre parole?
Sono domande che mi accompagneranno fino alla fine del romanzo di Suzanne Berne. Anche allora continuerò a chiedermi se a far sprofondare nel buio sia l’abbandono di un genitore o la morte di un ragazzino o piuttosto la consapevolezza di aver fatto del male agli altri.
Quando mi sono ritrovata tra le mani il libro, pubblicato nel 1997 e tradotto in italiano nel 2009, mi sono incuriosita probabilmente anche per quanto letto nella quarta di copertina, cioè che questo romanzo d’esordio della Berne è stato paragonato a un grande classico della letteratura come “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee.
La voce narrante è Marsha, che ormai donna, racconta con dovizia di dettagli la storia della famiglia della madre (le ragazze Mayhew, le incrollabili sorelle) e della sua, rievocando il proprio vissuto di bambina, le vicissitudini del tempo, l’atmosfera degli anni settanta e quanto può sconvolgere all’improvviso la vita delle persone.
È la storia di una famiglia come tante, in cui la routine viene spazzata via dalla scelta del capofamiglia di imbastire una relazione con la cognata, sorella della moglie.
Le relazioni familiari sono profondamente turbate da questo nuovo legame, gli equilibri si sfasciano, i figli proseguono incerti. La madre prova a fingere che tutto vada bene.
Il giorno in cui il padre va via accade però qualcosa che suggellerà la negatività di quel giorno: viene ucciso un ragazzo, Boyd Ellison. A Marsha non stava per niente simpatico, ma questo è un particolare insignificante.
Allora si tratta di un giallo? Di un thriller psicologico? Non cerco di inquadrarlo. Continuo a leggere con un pizzico di curiosità, seguendo il ritmo lento, alla ricerca di segnali che mi facciano intuire chi è il colpevole e invece …
Di chi sospettare? Sarà stato un incontro fortuito del ragazzo con qualcuno che ha deciso della sua sorte.
Marsha è un’osservatrice attenta. Appassionata di Sherlock Holmes, sembra un’aspirante detective in gonnella, pronta a raccogliere ogni possibile indizio che aiuti a trovare l’assassino, ma quando le prove non ci sono, pensa lei a costruirle con un castello di bugie. Il suo taccuino è uno scrigno di annotazioni, da esibire all’occorrenza. Ci si può fidare?
“Non sono mai stata capace di ritrattare una bugia, né di rimediare a un’espressione infelice, di chiarire un equivoco.
La bugia mi scaglia dentro una storia che assume vita propria.
Non sono io che mi convinco di dire la verità, è la verità a diventare flessibile. O, meglio, è la vita a diventare relativa.”
A pagarne le spese sarà Mr Green, il vicino di casa, che diventerà suo malgrado il reo prescelto della ragazza. È un uomo solitario, tranquillo, colpevole di aver destato l’interesse di sua madre. La donna infatti gli riserva qualche attenzione, da quando è rimasta sola, ma Marsha è una bambina bisognosa d’affetto.
“…andavo in camera sua di notte quando dormiva, non perché volessi stare lì con lei, ma perché non tolleravo di stare da sola con me stessa.”
Il ritmo lento di solito non mi coinvolge più di tanto e la tentazione di abbandonare la lettura qualche volta ha la meglio. Mi meraviglio che con questo libro invece non accada. Sarà per le descrizioni trainanti, sarà per l’attesa di una confessione, di un particolare che riveli finalmente l’assassino, sarà per il pathos della voce narrante che riporta alla sofferenza dei piccoli. Forse per tutto ciò, ma la delusione per il finale non posso nasconderla e credo che molti potranno condividerla.
“Da qualche parte c’è sempre un dolore in serbo per qualcuno che conosco e a volte mi sembra che la cosa migliore in cui posso sperare è di non esserne io la causa.”
Maria Teresa Lezzi Fiorentino
Nell’estate del 1972 Marsha è una ficcanaso di dieci anni che non ha ancora smesso di chiedere il perché di ogni cosa e Spring Hill un ricco, pacifico sobborgo di una città della East Coast, fin troppo noioso persino per i ladri di biciclette. Case di mattoni rossi a due piani e giardini impeccabili dove fare il barbecue la domenica. Ma improvvisamente l’ordine del quotidiano è spazzato via, una pennellata sbagliata guasta il quadro: un ragazzino viene seviziato e ucciso a pochi metri dal centro commerciale. E allora tutto cambia per sempre, anzi è già cambiato per Marsha che ormai adulta ricorda quell’estate oscurata dall’omicidio di Boyd Ellison e prima ancora dalla fuga, dall’abbandono del padre. È la scoperta del male, della fragilità, della sconfitta. È la perdita dell’innocenza di un’intera nazione, travolta dallo scandalo Watergate. Una serie di cerchi concentrici si stringono intorno alla protagonista. Marsha non smette di cercare l’assassino di Boyd, di raccogliere le prove, di inseguire un senso. Perché come tutti i bambini sa osservare. Sa cogliere le forze segrete che muovono le persone, i significati nascosti dei gesti, degli oggetti.
Autore: Suzanne Berne
Traduttore: V. Bastia
Editore: De Agostini
Anno edizione: 2009
Pagine: 333 p., Rilegato
EAN: 9788841858585
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