Siamo in piena settimana santa, preludio della Pasqua, una delle festività più importanti per i cristiani, che etimologicamente significa “passaggio”, nella fattispecie dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce divina. Gesù Cristo si sacrifica, immolandosi, per salvare il mondo dai peccati. E, credenti o meno, ritroviamo questo gesto di amore estremo nelle opere letterarie, nelle odi, nella musica, nell’arte in ogni sua forma. Una delle opere scultoree più emblematiche, considerata tra i maggiori capolavori al mondo, che richiama la crocifissione dell’unigenito figlio di Dio, è sicuramente il Cristo Velato, conservata a Napoli, nella cappella di Sansevero, posta di fronte all’altare maggiore (anche se con molta probabilità questa non era la sua collocazione originaria, in quanto inizialmente era stata posizionata in prossimità della navata sinistra, proprio sotto la scultura della “Pudicizia”). Voluta da Raimondo De Sangro, l’opera fu affidata inizialmente ad Antonio Corradini, veneto e massone, che però morì nel 1752, riuscendo a terminare solo un bozzetto di terracotta (oggi conservato nel museo di San Martino). Fu a quel punto che il principe incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, per la realizzazione di “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”. Lo scultore creò un’opera straordinaria: il corpo del Cristo privo di vita è disteso su un materasso, ricoperto da un velo che si adagia perfettamente a quella salma martoriata, e che evidenzia, quasi in un gioco di trasparenze, i segni delle torture che gli sono state inflitte: la ferita al costato, le mani e i piedi trapassati dai chiodi, la vena gonfia e ancora pulsante sulla fronte; ai suoi piedi una corona di spine, i chiodi e una tenaglia a rappresentare gli strumenti della Passione. È impressionante la sofferenza profonda che trasuda, il dolore sopportato e le umiliazioni subite. Sanmartino è riuscito a rappresentare “la sofferenza del figlio di Dio come simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità”. Una grande estimatrice della scultura, Matilde Serao, descrive così l’opera:
“Sopra un largo piedistallo è disteso un materasso marmoreo; sopra questo letto gelato e funebre giace il Cristo morto. È grande quanto un uomo, un uomo vigoroso e forte, nella pienezza dell’età. Giace lungo disteso, abbandonato, spento: i piedi dritti, rigidi, uniti, le ginocchia sollevate lievemente, le reni sprofondate, il petto gonfio, il collo stecchito, la testa sollevata sui cuscini, ma piegata sul lato dritto, le mani prosciolte. I capelli sono arruffati, quasi madidi del sudore dell’agonia. Gli occhi socchiusi, alle cui palpebre tremano ancora le ultime e più dolorose lagrime. In fondo, sul materasso sono gettati, con una spezzatura artistica, gli attributi della Passione, la corona di spine, i chiodi, la spugna imbevuta di fiele, il martello (…) E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà, ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti, che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasimo ma lo addolcisce.”
Ma è proprio il velo, realizzato con sapiente maestria, di cui lo stesso principe dirà “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”, che darà vita nel corso dei secoli a una leggenda, che alberga tutt’ora tra i vicoli della città partenopea e non solo. Pare che la morbidezza del velo, la sua sottile consistenza, la sua surreale trasparenza, non sia dovuta alle capacità scultoree del Sanmartino, quanto piuttosto ai poteri alchemici di Raimondo De Sangro, che avrebbe adagiato sulla statua un vero e proprio velo, che si sarebbe “marmorizzato” proprio attraverso un processo chimico. In realtà il Cristo Velato è un’opera ricavata interamente da un unico blocco di marmo, così come attestano alcuni documenti, tra cui uno conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati versati dal principe in favore del Sanmartino:
“E per me gli suddetti Ducati cinquanta gli pagherete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”
Sicuramente non è una leggenda il fatto che Antonio Canova, rimasto particolarmente colpito dell’opera, disse che avrebbe dato volentieri dieci anni della sua vita pur di poterne vantare la paternità, o che il marchese de Sade elogiò “il drappeggio, la finezza del velo (…) la bellezza, la regolarità delle proporzioni nell’insieme”, o che ancora lo scrittore Héctor Bianciotti fu colto dalla sindrome di Stendhal mentre ammirava il velo “piegato, spiegato, riassorbito nelle cavità di un corpo prigioniero, sottile come garza sui rilievi delle vene”.
Ad ogni modo, a prescindere da un eventuale credo religioso o meno, e da tutte le leggende che ruotano attorno alla figura poliedrica e dalle molteplici sfaccettature del principe Raimondo De Sangro, il Cristo Velato resta un’opera spettacolare e unica, che merita di essere vista almeno una volta nella vita.
Fabiana Manna