“Il grembo paterno” di Chiara Gamberale oltre il plot narrativo: essere donna nel nome del padre.

Recentemente ho letto “Il grembo paterno”, l’ultimo nato di Chiara Gamberale.

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Un bel romanzo, come tutti quelli della Gamberale, ovviamente se piace il genere “Gamberale”.

Inoltre, se siamo lettori o lettrici interattivi, sappiamo che, oltre alla piacevolezza di un testo, può accadere di sentir risuonare dentro di noi i temi trattati dalla parola scritta e gli argomenti affrontati ci aprono scenari di specifico interesse, come, appunto, è accaduto con questo romanzo della divisiva autrice romana Gamberale.
Al centro della vicenda narrata in “Il grembo paterno” c’è Adele, un’adolescente che veicola il suo malessere attraverso il doloroso strumento della bulimia.
Ma è anche la storia di una figlia profondamente legata al padre, Rocco, del quale lei, pur riconoscendogli l’abilità di aver cambiato il destino economico della famiglia, è vittima sacrificale di un’indicibile prepotenza, attraverso la quale ha manipolato la sua vita sin dalla primissima infanzia: Rocco, infatti, si rifiuta di accettare le fragilità della figlia, obbligandola, anzi, ad essere sempre più competitiva, per gratificarlo, con i suoi successi, dei tanti sacrifici fatti per costruire un benessere che sa ben poco di libertà.
Ed è, altresì, la storia di una quarantenne, madre single, innamorata di Nicola, il pediatra di sua figlia, nonostante la consapevolezza che lui abbia già una famiglia, alla quale, peraltro, tiene moltissimo, pur dicendo di amare Adele.
“Il grembo paterno” affronta, a mio avviso, due tematiche molto interessanti, la relazione fra figlie femmine e padri e i disturbi alimentari, stimolando una serie di riflessioni sulla reale portata dell’importanza del rapporto genitoriale declinato tra un padre e una figlia e il legame, evidentemente forte, con i disturbi alimentari e con un sano sviluppo dell’affettività in età adulta.
Si parla, in genere, tantissimo della relazione affettiva con la madre, ritenuta, a ragion veduta, fondamentale per la crescita e lo sviluppo di un bambino, e meno del ruolo del padre sull’evoluzione di una figlia.
La Gamberale, nota per i suoi plot narrativi piuttosto contorti, ma dotata della capacità di essere estremamente efficace nella loro rappresentazione, pone l’attenzione su tale iterazione e annida nel “grembo paterno” il disturbo bulimico, una sofferenza che frantuma un corretto rapporto con l’alimentazione, generando un vero e proprio vortice, all’interno del quale mangiare e vomitare si alternano in modo ossessivo, sintomo ed effetto della difficoltà di istaurare relazioni sane, soprattutto nel campo dell’affettività amorosa.
Essenziale per una figlia, in questo labirinto di emozioni negate, è il ruolo giocato dal padre: la crescita emotiva e spirituale di una donna è infatti influenzata in modo determinante dal padre, la prima figura maschile che incontra nella sua vita, primaria espressione della diversità come valore essenziale dell’esistenza umana.
Dal messaggio che il padre riuscirà a veicolare alla propria figlia dipenderà infatti la sua capacità di riconoscersi e accettarsi nella sua unicità: nell’inconscio della donna che ogni bambina diventerà risuonerà, inesorabilmente, la voce del padre, quell’adulto che, dalla sua posizione di diversità, aveva apprezzato la bambina e costituito le fondamenta della sua autostima.
Chiara Gamberale, con estrema delicatezza e rispetto per le problematiche di cui tratta, introduce nelle case dei lettori e delle lettrici la sua protagonista, Adele, “adelescente” restia alla crescita, la sua oscura fragilità causata da una relazione padre-figlia fortemente deviata: un alternarsi fra comportamenti autolesionisti e una competitività esasperata, attraverso la quale Adele cerca di mascherare la propria insicurezza, sostituendo all’approvazione del padre quella del cibo, degli uomini, del lavoro.
Attraverso questo romanzo, si comprende come l’inesistenza di riconoscimento delle proprie capacità e del proprio io unico, generate dall’assenza di approvazione, comportano inevitabilmente l’incapacità di essere padroni della propria vita ed è proprio tale incapacità che genera il comportamento bulimico, attraverso il quale la persona ammalata si illude di poter governare almeno il proprio corpo e soprattutto di poter espellere ciò che le fa o le ha fatto del male.
Del resto, come afferma lo psichiatra Massimo Recalcati, “il cibo è insieme la prima risposta fisiologica e la più arcaica al dolore. Un bambino si attacca al seno della madre non perché ha fame, ma perché è disperato a causa del trauma della nascita. Il buon padre, la cui importanza cresce col crescere del figlio, impone al bambino una frustrazione sostenibile e non eccessiva. Per far questo deve essere in grado di comprendere a che punto è il bambino nella sua evoluzione”.
E se questa esigenza riveste un ruolo fondamentale per la crescita ogni bambino che si affaccia alla vita, appare ancora più rilevante per le femmine, che si nutrono della relazione con il padre per poter “settare” se stesse.
Indipendentemente dall’apprezzamento maggiore o minore che si può avere nei confronti della produzione letteraria della Gamberale, affrontare tali argomenti significa, secondo me, conferire un valore aggiunto alla propria arte e tale elemento è, probabilmente, la marcia in più che rende i suoi romanzi così amati dal pubblico.
Verosimilmente aiutare le donne a trovare la giusta collocazione o meglio la collocazione a cui hanno diritto nel mondo può significare anche lavorare sul ruolo agito dai padri e romanzi come “Il grembo paterno” offrono spunti importanti sui quali soffermarsi.
Messaggi incisivi su problematiche complesse “passano” molto più efficacemente attraverso un buon libro che mediante strumenti cosiddetti istituzionali!

Pubblicato da Rita Scarpelli

Sono Rita Scarpelli e vivo a Napoli, una città complessa ma, allo stesso tempo, quasi surreale con i suoi mille volti e le sue molteplici sfaccettature. Anche forse grazie a questa magia, da quando ero bambina ho amato la lettura e la scrittura . Nonostante gli studi in Economia e Commercio mi abbiano condotta verso altri saperi e altre esperienze professionali, il mio mondo interiore è sempre stato popolato dai personaggi e dalle storie dei libri che leggevo e ancora oggi credo fortemente che leggere sia un’esperienza meravigliosa. Parafrasando Umberto Eco, “Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria, mentre chi legge avrà vissuto 5000 anni…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Lo scorso anno ho vissuto l’esperienza incredibile di pubblicare il mio romanzo di esordio “ E’ PASSATO”, nato dalla sinergia dell’ amore per la scrittura con la mia seconda grande passione che è la psicologia. E poiché non c’è niente di più bello di condividere quello che ama con gli altri, eccomi qui insieme a voi!

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