Il massacro delle foibe

“Ossa spezzate, atroci agonie; l’uomo ha superato Caino. Come bestie torturate, legati ai polsi con vile fil di ferro, gettati ancor vivi nell’oscurità.”

Fabio Magris

A partire dal 2005, il 10 febbraio si celebra la Giornata del Ricordo, (legge n. 92/2004) “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.”

Di fatto, le foibe sono voragini rocciose dell’altopiano del Carso, che furono usate alla fine della Seconda guerra mondiale per “infoibare” (spingere nella foiba) migliaia di istriani e triestini, italiani e slavi, antifascisti e fascisti, rei di essersi opposti all’espansionismo comunista slavo promosso dal Maresciallo Tito.

Ma perché è stata scelta questa data? Perché questo è stato il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslava l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza appartenenti all’Italia.

Andiamo per gradi: dopo la sconfitta dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, Istria, Fiume e Zara, allora territorio italiano, vengono cedute alla Jugoslavia. Il passaggio comporta una serie di lunghissime violenze perpetrate dai partigiani comunisti guidati da Josip Broz, noto come Tito, nei confronti di tutti coloro che considerano nemici della costituzione di una federazione comunista jugoslava sotto la guida di gruppi dirigenti di origine serba. Per ciò che concerne gli ex territori italiani, la “pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica”, come l’ha definita nel 2018 Mattarella, si svolge in due differenti ondate.

La prima, nell’autunno del 1943, interessa principalmente l’Istria, dove accanto a squadristi e gerarchi fascisti vengono prelevati i possidenti e chiunque potesse far ricordare l’amministrazione italiana, che nei decenni precedenti aveva creato innumerevoli problematiche. Infatti, questi territori erano stati oggetto di una italianizzazione forzata ad opera del regime fascista.

La seconda ondata di violenze, invece, ha inizio nel maggio del 1945 con l’arrivo delle truppe jugoslave in Venezia Giulia. In questo caso le rappresaglie colpiscono prevalentemente i soldati della Repubblica Sociale appena costituita ma anche tutti coloro che vengono accusati di collaborare con i regimi nazifascisti, e alcuni partigiani italiani, colpevoli di non accettare la supremazia jugoslava.

Ancora oggi, non si conoscono le esatte proporzioni di questa immane tragedia, per altro non a tutti nota. Ad ogni modo, si stima che nel periodo compreso tra il 1943 e il 1947, gli esuli italiani costretti a lasciare le loro abitazioni siano stati almeno 250mila con circa 20mila vittime. Di queste, tra le quattro e le seimila, hanno perso la vita proprio all’interno delle foibe. Alcune delle più tristemente note sono quelle di Vines, in Istria, nelle quali, nel 1943, vennero recuperati 84 corpi, e il pozzo di Basovizza, in prossimità di Trieste. Secondo le ricostruzioni, i condannati venivano legati l’uno all’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi e posizionati lungo i bordi delle foibe. A quel punto, i membri delle milizie di Tito sparavano solo ad alcuni di loro: i cadaveri colpiti cadevano nelle grotte portandosi dietro l’intera fila. Moltissimi, sono stati costretti a morire tra sofferenze inaudite, dopo giorni e giorni ammassati sui corpi ormai privi di vita degli altri condannati.

Nel discorso tenuto in occasione della Giornata del Ricordo nel 2007, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano disse:

…già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica. (…) Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe (…) e va ricordata (…) la congiura del silenzio, la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”.

Un breve estratto tratto dal libro “Le foibe giuliane” dice:

“Una delle argomentazioni più diffuse al riguardo (chiaramente giustificazionista, va notato subito, ma non certo infondata) è che le foibe sarebbero – a parte errori ed eccessi – ritorsione ai crimini di guerra commessi da militari e fascisti italiani nel corso della loro occupazione. (…) Ad essi vengono connessi i crimini della politica fascista e nazionalista. (…) La tesi è stata sostenuta fino ad anni recenti, e oggi (…), ancora viene menzionata (…), anche se è sempre più pacifica (…) la constatazione del movente politico dei fatti. Ciò però vale soprattutto per i fatti del 1945 e poco per quelli del 1943, tuttora spesso oscuri e non documentati, specie in Croazia (…). I fatti del maggio 1945 sono certamente caratterizzati da ‘furor popolare’ come più volte si è detto. Ma esso è lo scenario, il dramma che vi si svolse aveva sostanza politica. La presenza di volontà organizzata non è dubbia. Eliminazione fisica dell’oppositore e nemico (di forze armate giudicate collaborazioniste) e, insieme, intimidazione e, col giustizialismo sommario, coinvolgimento nella formazione violenta di un nuovo potere.”

Su questo dibattuto problema, gli storici italiani e sloveni hanno raggiunto conclusioni concordi, espresse nella Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena:

“Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani.”

A fine 2020 si sono conclusi i lavori di censimento della Commissione per fosse comuni nascoste in Slovenia su incarico del governo di Lubiana, ha censito che nell’ex Paese jugoslavo in ben 581 fosse o foibe sono stati ritrovati più di 100mila corpi giustiziati nella Seconda guerra mondiale per mano dei partigiani di Tito.

In pochissimi riuscirono a tornare vivi da quell’inferno. Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi hanno così raccontato la loro tragica esperienza:

“Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri “facciamo presto, perché si parte subito”. Infatti, poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 Kg. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, ci impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parte scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.”

Per molti anni questa questione è stata spinosa, negata e fatta oggetto di tesi contrastanti, militanti, tendenti alla discolpa, all’oblio e alla necessità di attribuire responsabilità ad altri.

Ma noi, abbiamo l’onere e il dovere di ricordare e di denunciare, di capire e di celebrare la memoria di tanti nostri avi, che in nome di un ideale, hanno attraversato le porte dell’Ade da vivi…

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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