Il poeta con i suoi versi desidera accarezzare le corde dell’anima, lo scrittore con la sua prosa spera di abbracciare la mente e il cuore … poi c’è “il poeta scrittore” che con le sue “parole” riesce a dare forma alle pure emozioni. Il mondo incantato dei libri incontra Biagio Balistreri.
La recensione del libro ” L’inquilino della casa sul porto” .
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Buongiorno Biagio, innanzi tutto noi del “Il Mondo Incantato dei Libri” ti ringraziamo per il tempo che hai voluto dedicarci e ci teniamo a sottolineare che è veramente cosa graditissima conoscere in maniera più approfondita la tua poetica, il tuo pensiero e la tua notevole personalità. Ho avuto modo di leggere e apprezzare due dei tuoi libri: “L’inquilino della casa sul porto” e “Il Fabbricante di Parole”; desidererei chiederti come e quando nasce questo tuo amore per la scrittura.
Non vorrei apparire presuntuoso, ma devo affermare che la scrittura è connaturata con me. Ricordo che le prime poesie le pubblicai su un giornaletto che preparavo interamente io in quarta elementare per tutta la classe. Mia zia Lisetta, che era pittrice, disegnava delle bellissime illustrazioni a colori e le ripeteva su ogni copia del giornaletto con una pazienza infinita (non disponevamo di computer e fotocopiatrici, allora!)
Poi questo amore è continuato per tutta la vita, anche se finora non ho pubblicato quanto avrei voluto (quattro volumi di poesie e un romanzo), impegnato come sono stato, inizialmente in studi scientifici e poi nel lavoro. Ma rodeva sempre dentro di me il desiderio di occuparmi soltanto di letteratura. Tuttavia penso che, se avessi potuto farlo, non sarei oggi la persona che sono, e quindi non ho mai rinnegato il percorso della mia esistenza.
Tu ti soffermi e approfondisci il concetto della “Parola”; il ruolo che assume ogni singola sillaba nella vita di noi tutti. “ Il gioco delle parole può uccidere o salvare (L’inquilino della casa sul porto) . Le parole giacenti hanno smarrito il loro suono di allora e attendono invano di rinascere sotto la curiosità di uno sguardo (Il Fabbricante di Parole)”. Ti vorrei invitare a parlarci di questo concetto: la parola protagonista della nostra esistenza!
La parola è connaturata con qualunque atto creativo, e chiunque, nell’usare le parole, in realtà sta creando qualcosa. La singola parola è in grado di condensare molti significati, e via via di arricchirsi. Molto spesso la poesia nasce da una sorta di “corto circuito” fra le parole, che in questo processo assumono nuove sfumature di significato. Inoltre la parola è alla base di qualsiasi rapporto umano, e quindi è necessariamente alla base della nostra stessa esistenza sociale, che nelle parole si sostanzia e si esprime. In questo senso ritengo che vivere e comunicare siano sostanzialmente sinonimi.
Con estrema grazia ed eleganza affronti il tema del tempo che scorre via senza fare sconti a nessuno. “Il momento è passato, non abbiamo afferrato l’immagine che ci ha sfiorati ed è volata lontano” (Il Fabbricante di Parole). Come vive Biagio Balistreri il rapporto tempo/vita?
In un brano incluso nel “Fabbricante di parole” ho scritto: “Un tempo lineare come una semiretta che ha origine nel letto di nostra madre e attraversa stagioni di freschezza e autunni di liberazione, indicando in un punto all’infinito le sottili ragioni di convergenza della nostra sperata immortalità”. Già l’accenno ad una “sperata immortalità” denuncia la relativa angoscia con la quale ciascuno di noi accetta che il proprio tempo sia destinato a terminare. Tuttavia il tempo è anche l’unità di misura della Storia, che ci consente di avvertire dentro di noi l’appartenenza all’evolversi del percorso umano nel passato, nel presente ed anche nel futuro, e quindi contemporaneamente di alleggerire il peso della nostra solitudine.
Bellissima l’idea di realizzare delle opere letterarie con il contributo della propria figlia: “Federica Balistreri”. Le cover che ha disegnato per i tuoi libri forniscono quel valore aggiunto che fa la differenza! Leggendo” Il Fabbricante di Parole”, mi sono soffermata più volte sulla lirica dedicata a tua figlia. Quanto ti ha emozionato scrivere questi versi? Ci vuoi raccontare un po’ del vostro legame?
Federica è nata quando avevo già 54 anni. Con lei c’è un rapporto di profonda complicità intellettuale. Ha quasi 24 anni, sta per laurearsi in conservazione e restauro dei beni culturali, inoltre scrive e disegna con molta maturità e coltiva anche la musica. È stato quindi naturale che fra noi si creasse un legame intellettuale molto intenso. Le cover che ha disegnato per i miei ultimi due libri hanno attratto una notevole attenzione, e questo, per me, è stata una grande soddisfazione. La lirica cui ti riferisci, intitolata “In questo dolce giorno dell’aprile”, è nata quando, per la prima volta, Federica è stata parecchi giorni lontano da Palermo. Normalmente, in particolare quando si scrive poesia rispettando la metrica, la scrittura richiede tempi di ripensamento e di correzione. In quell’occasione, invece, sotto la spinta della forte emozione, quella lirica, tutta in endecasillabi, è scaturita direttamente in maniera molto fluida.
Ho anche un altro figlio, Andrea, molto più grande (48 anni), che è titolare a Parigi di un avviato studio di architettura. Malgrado la distanza, non manca mai di consultarmi quando deve prendere una decisione importante, e questo ovviamente mi fa molto piacere.
Nel tuo libro “L’inquilino della casa sul porto” adotti la forma epistolare; in che modo prende forma questo bisogno di scrivere un romanzo attraverso delle lettere?
Da un lato, avevo molta nostalgia dell’epoca in cui, invece di brevi messaggi, si scrivevano lunghe lettere. Inoltre gli epistolari sono sempre stati un supporto fondamentale per gli storici, che oggi sono pressoché privati di questa importante fonte. Da un punto di vista strettamente letterario, la forma epistolare in un romanzo consente di scrivere in prima persona senza che il risultato sembri un’autobiografia. Inoltre consente di descrivere i diversi personaggi anche soltanto utilizzando stili di scrittura differenti, e questo metodo è in grado di fornire risultati sorprendenti. Il complimento più originale che ho ricevuto è giunto da un amico, il quale sosteneva che le lettere del personaggio femminile fossero state scritte da mia moglie e non da me, perché gli sembrava impossibile che scaturissero dalla stessa mano che aveva steso le lettere dei personaggi maschili! In realtà devo dire che scrivere in stili differenti è stato anche molto divertente.
Tra le tue pagine si avverte il bisogno di un cambiamento; sicuramente tra il progresso scientifico e quello morale c’è un abisso incolmabile; il primo sfreccia come un treno e il secondo a rilento sta lì a guardare. Ci si rende conto del fatto che “le parole sono sempre più asciutte e povere (Il Fabbricante di parole)”,abbiamo bisogno di evolverci ma non solo con il progresso tecnologico, occorre una rivalutazione del proprio “IO “nella sfera che comprende: sentimenti, emozioni e sensazioni. Tu quale consiglio ti sentiresti di darci?
Mi sono molto occupato, nella mia vita lavorativa, di progresso tecnologico, e quindi non posso condannarlo a priori. È piuttosto la cultura cosiddetta umanistica che non riesce più a stare al passo con la velocità del progresso scientifico, il quale invece dovrebbe essere sostenuto dalla meditazione e da un inquadramento che vorrei definire filosofico. Come è già avvenuto in passato, dovrebbe essere compito degli intellettuali riuscire nuovamente a fare lo sforzo di tracciare le coordinate sulle quali discutere per riappropriarsi del ruolo che la cultura dovrebbe avere nella società. Non dimenticando che la cultura è una sola e che è quanto mai catastrofico – come ci stiamo accorgendo in questi ultimi anni – porre in contraddizione la cultura umanistica e quella scientifica. Soltanto su questa strada, difficile ma necessaria, sarà possibile, per usare una tua espressione, rivalutare l’”IO”. Va comunque detto che almeno Alessandro Baricco ha iniziato a percorrere questa linea di riflessione.
Tu sei nato a Roma, ma vivi a Palermo da più di trenta anni. L’amore, per la Sicilia, per il suo capoluogo si respira abbondantemente attraverso i tuoi scritti; ma Biagio Balistreri si sente soddisfatto della città in cui vive? Cosa ti piacerebbe aggiungere o togliere nel “contesto palermitano?”
Sono nato a Roma, ma da una famiglia interamente siciliana, e a Palermo ho frequentato medie e liceo. Il resto della vita l’ho trascorso fra Roma, dove ho anche frequentato l’università, Napoli, Torino, Genova e Bari, per poi tornare a Palermo per un’importante occasione di lavoro trentatre anni fa, vivendo questo evento con la sensazione di essere tornato a casa. Al di là delle tante polemiche cittadine, trovo Palermo una città splendida, nella quale vivo bene, ma naturalmente potrebbe essere trattata meglio dai suoi cittadini di ogni livello. Quello che purtroppo è il vero limite di Palermo, e in generale della Sicilia, è lo sfrenato individualismo che alberga nei suoi abitanti, che impedisce quelle aggregazioni profonde e fruttuose necessarie per trovare soluzione ai problemi di cui abbiamo appena parlato.
Molto interessante il modo in cui ci parli del tema della “Libertà”; il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo. “La sensazione della propria inadeguatezza vale la vertigine del desiderio di scomparire, ma al tempo stesso l’impulso di rivolta assume proporzioni inusitate” (L’inquilino della casa sul porto). Ma Biagio Balistreri , ci è riuscito a trovare questo posto? Come e quando?
Mi è difficile dare una risposta secca a questa domanda, perché ritengo che il proprio posto nel mondo non possa essere una cosa stabile (un posto fisso!) ma una condizione variabile da reinventare in ogni periodo dell’esistenza, senza mai rinunciare al vero valore umano, che è appunto la libertà.
Desidererei sapere se ci sono altri lavori ai quali ti stai dedicando in questo periodo. Ce ne vuoi parlare?
C’è una folla di memorie che preme nella mia mente e cerca uno sfogo letterario. Inoltre, ho un armadio pieno di fogli che ho riempito durante la mia vita, fogli che hanno seguito i miei tanti traslochi. Il mio grande desiderio è quello di riprendere e dare veste definitiva a molti di questi fogli, che sono racconti o romanzi mai davvero terminati, o anche progetti di libri di varia cultura, e così via. Spero davvero che il tempo a disposizione, di cui abbiamo diffusamente parlato prima, me lo consenta.
Vorresti dirci qualcosa in merito alla tua casa editrice “Spazio Cultura” di Nicola Macaione ?
“Spazio Cultura” è innanzi tutto uno dei più vivaci punti di aggregazione culturale della città, e Nicola Macaione ne è il principale animatore. In una città con il tasso di individualismo di cui abbiamo parlato, si tratta certamente di una funzione preziosa. Per quanto riguarda l’omonima casa editrice, per la quale dirigo la collana di narrativa, le sue pubblicazioni sono certamente di livello, sia dal punto di vista dei contenuti, sia da quello della forma, che reputo altrettanto importante. Purtroppo tutte le cosiddette “case editrici indipendenti” soffrono un poco sul versante della promozione del proprio prodotto, che richiederebbe livelli di investimento non sempre sostenibili da queste strutture imprenditoriali.
Prima di salutarci, desideri aggiungere qualcosa all’intervista? Magari qualche domanda che avresti voluto ti porgessi.
Le domande che hai posto sono decisamente esaurienti, avendo toccato punti molto importanti. Vorrei soltanto aggiungere che scrivere in prosa o in poesia, e io esercito tutte e due le forme di scrittura, non sono in realtà attività molto diverse. D’altra parte il mio frequente uso in poesia dell’endecasillabo non rappresenta un desiderio di rifarsi all’antico, ma dipende dal fatto che l’endecasillabo e il settenario sono il ritmo naturale della lingua italiana, anche nella prosa. Il ritmo del suo respiro.
Ti ringrazio ancora per la tua disponibilità e professionalità.