Chiara Vergani ci spiega il bullismo e i suoi derivati. Questo articolo segue il primo articolo Il bullismo: cosa intendiamo per bullismo e chi sono i bulli.
Il Revenge porn si sostanzia nella pubblicazione di foto o video intimi senza il consenso del/della vittima mediante Internet. Sovente le riprese sono avvenute senza che la vittima lo sapesse. Il termine “revenge porn” o “revenge pornography”, è di derivazione anglosassone, revenge significa vendetta e viene correlata alla parola pornografia, pertanto “vendetta porno”.
Generalmente avviene prima il fenomeno del sexting e poi quello del revenge porn. Il sexting consiste nell’invio di contenuti a sfondo sessuale nello smartphone, tablet o computer, tanto di moda in particolare fra gli adolescenti. Si concretizza per esempio quando una ragazza manda una foto sensuale al suo ragazzo. Il sexting non è un reato perchè imperniato sulla libera scelta personale. Invece muta completamente situazione nel momento in cui le immagini sessualmente esplicite vengono girate ad altri individui senza il consenso di chi è ritratto, in questo caso si parla il reato di revenge porn. Esso viene agito come arma di vendetta dopo la chiusura di un rapporto, inoltre anche per la diffusione di pornografia senza il consenso. Dunque è un abuso incentrato su foto sessuali. La pubblicazione ha il fine di offendere, umiliare e ridicolizzare la persona coinvolta per ritorsione o vendetta. Infatti alle foto in genere vengono allegati pure dettagli atti all’individuazione della vittima: nome e cognome, indirizzo di casa o di lavoro, collegamenti a profili social.
Il revenge porn e il cyberbullismo rappresentano modalità distorte di dialogo effettuate in rete: circa il 33% dei casi di cyberbullismo è a sfondo sessuale e colpisce principalmente le donne. In base ai dati delle ultime ricerche, su un campione di 1600 donne, il 61% dichiara di essersi scattata delle foto intime e di averle inviate ad altra persona, il 23% afferma di essere stata vittima di revenge porn. I fatti di cronaca dimostrano che a compiere la vendetta sessuale siano spesso soggetti legati alla vittima da una relazione affettiva, ex coniugi, compagni/e, fidanzati/e, che agiscono dopo la fine di una relazione per “punire”, o cercare di controllare l’ex partner. Spesso si tratta di selfie, video e fotografie scattate in intimità con l’intenzione di non esportarle, oppure di immagini riprese di nascosto. La condivisione in rete nei cellulari, provoca la lesione della dignità sociale della vittima. Il revenge porn si è incrementato durante la pandemia a causa del maggior tempo trascorso sui social e in generale in internet.
Il caso della deputata del Movimento 5 stelle, Giulia Sarti, le cui foto intime sono state condivise online, ha visto l’intervento sia il Garante per la privacy che l’Authority per richiamare i media al rispetto della normativa in tema di protezione dei dati personali e del codice deontologico dei giornalisti. Messaggi di solidarietà sono giunti alla deputata da personalità istituzionali ed esponenti di tutte le forze politiche del Parlamento.
Approfondendo la problematica, vediamo che è attivo un insieme di siti e gruppi che invitano i fruitori a mandare contenuti intimi sensibili. Il primo sito è ha preso avvio rnel 2010, durante i primi 3 mesi del 2011 ricevette 10.000 foto. Ecco le percentuali del revenge porn: colpisce il 10% della popolazione adulta; il 90% delle vittime è donna; il 50% delle foto riporta nome, cognome, profilo social; il 51% delle vittime pensa al suicidio; il 70% delle vittime subisce da partner o ex-partner il revenge porn; il 58% dei minori ha subìto pressioni per inviare contenuti intimi; il 25% delle vittime subisce sextortion prima dei 13 anni.
In Italia, fino a metà 2019, non si era legiferato in materia. E’ con la legge n. 69 del 19 luglio 2019, denominata Codice Rosso, che il reverge porn è diventato un reato punito dall’art.612 ter del Codice Penale. La pena prevista: da 1 a 6 anni di reclusione e la multa da 5.000 a 15.000 euro. La pena è incrementata se i fatti sono compiuti dal marito, anche separato o divorziato, o da individuo che è o è stato legato da rapporto sentimentale alla vittima, ovvero se i fatti sono attuati per mezzo dei dispositivi informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i reati sono commessi a danno di una persona in situazione di inferiorità fisica o psichica o di una donna incinta e il reato è procedibile d’ufficio.
Alle leggi e norme dei diversi stati, si affiancano l’art.12 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e l’art.8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo che ribadiscono il carattere primario e assoluto del diritto alla privacy. Il 25 giugno 2020 è stato approvato alla Camera il Decreto giustizia inerente varie misure, tra cui l’art. 7 che prevede che i contenuti pornografici online vengano bloccati in automatico da tutti i dispositivi tecnologici. Il titolo di questa norma è “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”. Essa prevede un filtro a carico di tutti i gestori di telefonia, automatico per tutti i dispositivi, per togliere il blocco, il consumatore maggiorenne intestatario del contratto internet dovrebbe inviare una richiesta al gestore del servizio.
Amnesty International ha svolto un’indagine su un campione di 4000 donne provenienti da otto stati diversi, è emerso che 911 di queste hanno subito molestie o minacce online. In Italia una donna su cinque ha riferito di aver subito minacce di aggressione fisica o sessuale. Il risvolto psicologico di tale fenomeno sulle vittime, è spesso devastante. In un’altra ricerca effettuata al fine di verificare i danni subiti dalle vittime, i dati hanno messo in luce che il 93% ha ammesso di avere vissuto un forte stress a carattere emotivo e psicologico, l’82% ha avuto danni di tipo sociale e lavorativo, circa il 40% ha avuto ripercussioni nella vita familiare, sentimentale, amicale, il 59% ha visto condivisi i propri dati personali, nome, indirizzo, telefono, sentimentali, il 51% ha pensato al suicidio.
E’ da notare come si sia abbassata l’età media di accesso ai social, sono aumentate le ore di permanenza in internet, la fruizione degli smartphone è sempre più precoce, con gravi conseguenze sul piano dello sviluppo personale.
I risultati degli studi evidenziano che circa il 60% degli intervistati ha avuto il suo primo cellulare tra i 10 e gli 11 anni, ma oltre il 28% lo ha avuto in dono prima, il 12% perfino prima dei 10 anni. E’ pertanto evidente una precocizzazione dell’uso della rete, senza che vi sia una preparazione sui pericoli. Troppi ragazzini non si servono di modalità di protezione del proprio profilo. Anche se i social network hanno un’età minima di accesso, molti minori si fingono maggiorenni. I giovanissimi non hanno la maturità psicologica per comprendere i rischi correlati alla rete. La perenne esposizione virtuale induce ansia da prestazione, implementando il disagio esistenziale degli adolescenti.
Fra i giovani vi è mancanza di relazioni e vi è un aumento dell’uso dei social in quanto è più facile fare amicizia online che dal vivo. Si conferma il progressivo calo di Facebook e invece la crescita di Instagram, di Snapchat, TikTok e altri. I giovani vi trascorrono fra le 2 e le 3 ore di media al giorno. WhatsApp è considerato uno strumento incorporato nello smartphone. I social e i cellulari sono gli amici notturni dei ragazzi e purtroppo solo il 10% legge un libro.
Ritengo sia doveroso riflettere sullo stile di vita dei più giovani, l’abuso di devices si configura come un grande pericolo ed è quindi compito degli adulti aiutarli, istruirli ed informarli circa un uso sano e corretto del mondo digitale oltre che educarli alla tutela della propria privacy e di quella altrui.
CHIARA VERGANI