Il vestito Rosso di Imelda Zeqiri

Il vestito Rosso

Eravamo stati catapultati nella rete, in uno spazio virtuale dove tutta l’umanità sembrava unificata, pur cercando di non cancellare il pluralismo identitario. Il disincanto era stato traforato dal bisogno di contatto non reale, quello che si nascondeva dentro i telefonini e i PC ed io non mi ero minimamente accorta che quella nostra vita comune era stata invasa da un plurale che disconoscevo e che non volevo assolutamente vedere, presa dalla fuga dell’abbandono del mio essere, desideroso di fondersi in una nuova identità.

Introduzione

Quanto può durare un amore? Esiste il per sempre? Molto raramente, forse. E la stessa autrice esprime un suo parere in merito, che sposa anche il mio.
“In amore non si perdeva, ma si lasciava andare ciò che non poteva più essere nostro perché non ci era mai appartenuto. Non possedevamo nemmeno il respiro del corpo che ci sosteneva, come potevamo pretendere che qualcuno rimanesse per sempre?”

Recensione

Questa è una storia che mi ha colpita molto. Una storia di dolore e rinascita, di sofferenza e forza ritrovata, di lacrime e coraggio. È la storia di una giovane donna, Jane, che aveva deciso di vivere a Firenze, dove tra l’altro si era laureata in giurisprudenza. Una città che lei amava particolarmente, e non solo perché il capoluogo toscano l’affascinava con la sua arte, con la sua cultura e la sua storia, ma prevalentemente perché era stata molto amata dal suo caro papà, sparito troppo in fretta. Portato via da una malattia quando Jane era solo una bambina. Un lutto che la segna in maniera indelebile, e che troppo prematuramente le fa conoscere l’immenso vuoto generato dalla perdita, che si trasforma in senso di abbandono. Un allontanamento che non riesce a giustificare, che non le dà pace, che vive come una sorta di tradimento. E che continuerà a vivere anche da adulta, suo malgrado, quando,per caso conosce Gianluca, con il quale instaura un rapporto quasi esclusivamente passionale, volto ad eludere coinvolgimenti emotivi.
“I nostri corpi avevano bisogno di viversi e nient’altro sembrava far crollare quel mondo parallelo che avevamo costruito. La vita che avevamo scelto andava bene ad entrambi. Io non ero pronta ad amare un uomo su tutti i livelli e lui non sembrava porsi quel tipo di domande. C’era una forte connessione tra di noi tale da non riuscire a rimanere lontani più di qualche giorno, ma non avevamo mai toccato argomenti profondi quali la conoscenza intima del nostro essere.”
Ma Gianluca ha un’altra relazione, e quando Jane per caso lo scopre, iniziano a crollare le sue certezze. Di nuovo. Ancora una volta il senso di vuoto e di abbandono si rinnova, lacerante, devastante. Nella sua testa si affollano domande, nella sua anima fanno capolino i sensi di colpa. La tentazione di scoprire attraverso i social le abitudini, gli interessi e le passioni della rivale si fa sempre più insistente. Un lento logorio accompagna la consapevolezza che nella nostra attuale realtà è più semplice la condivisione senza pretese, offerta proprio dalle moderne tecnologie, piuttosto che quella concreta, reale, pratica, dove vengono messi in gioco pensieri, sentimenti, vissuti, quotidianità.
“Il vestito rosso” é stata una lettura che ho amato particolarmente. L’autrice ha saputo dar voce egregiamente a quella parte di emotività che il più delle volte appartiene quasi in via esclusiva al mondo delle donne che, di frequente, si ritrovano a rapportarsi con uomini egoisti, narcisisti e superficiali. Spesso si riscoprono a vivere amori malati e privi di fondamenta e il fatto di sentirsi “non abbastanza”, per qualche strano e perverso meccanismo mentale, scatena quasi inevitabilmente una dipendenza affettiva. E diventa un circolo vizioso, che si espande in maniera inversamente proporzionale: maggiori sono le vessazioni, minore è la capacità di prendere in mano le redini della propria vita. E, a pari merito, è incoraggiante il messaggio di speranza che la Zeqiri fa arrivare al lettore: amarsi è un elemento fondamentale e imprescindibile, non inteso come forma di egoismo, anzi, quanto piuttosto come criterio di rispetto per se stessi. Non possiamo pretendere che gli altri ci amino se non sappiamo farlo noi in prima persona e non possiamo immaginare che le relazioni si salvino facendo le crocerossine o immolandoci a un’accettazione che non ci rispecchia. È un nostro dovere, nonostante il dispiacere, la sofferenza, il dolore.
“Il dolore era fertile, andava a scavare in posti reconditi dove pensavi non ci fosse nulla di così profondo. Il dolore fortificava e rendeva le nostre radici ancora più salde. Il dolore era l’opportunità di comprendere che potevamo volere molto di più da noi stessi. Alcuni drammi accadevano solo a chi era in grado di vedere quella disperazione come possibilità di cambiamento. Si poteva sempre scegliere il meglio per noi stessi. Ci si poteva accorgere di quel processo folle di emozioni contrastanti che erano la nostra grande fortuna, quella di farci capire chi fossimo veramente”.

Conclusioni

Ho vissuto personalmente quel fenomeno che oggi viene definito “ghosting”, cioè quella pratica vile e meschina di chi sparisce improvvisamente senza dare spiegazioni, di chi non ha il coraggio di confrontarsi, di chi sceglie la strada più semplice e squallida per risolvere le problematiche. È un dolore acuto, profondo e, inizialmente, appare insuperabile. E si alimenta con la rabbia, la delusione, la disperazione, lo sconforto. L’abbandono è un evento traumatico che psicologicamente deve essere elaborato come fosse un lutto. E in un certo senso lo è. Muoiono le nostre aspettative, le nostre false certezze, le nostre improponibili sicurezze. Ma muore solo ciò che in realtà non era, per lasciare spazio a un altro divenire, a un altro modo di concepire la nostra essenza. E, proprio per il mio vissuto, per forza di cose, è nata da parte mia una sorta di “empatia letteraria” con questo romanzo. Posso asserire, adesso e con grande serenità, che ho ben compreso che nulla dura per sempre, che i rapporti possono esaurirsi e non necessariamente è colpa di qualcuno. Semplicemente si termina la funzione assunta nella vita di un’altra persona. Nasciamo interi, non c’è nessuna metà che possa garantirci la gioia di vivere in maniera imperitura. Ciascuno è responsabile di se stesso e ognuno è chiamato a godere di questo splendido miracolo chiamato VITA. Non possiamo e non dobbiamo MAI perdere il baricentro della nostra essenza.
Marilyn Monroe soleva dire: “Non accettate le briciole. Ci hanno fatto donne, non formiche”.
Ogni individuo, a prescindere dal sesso, ha il diritto e il dovere di stimarsi al punto di non cedere e cadere in rapporti volti a minare l’equilibrio emotivo e mentale personale. Altrimenti si tratterebbe di un rapporto che non ha ragion d’essere.

Citazioni

“L’amore faceva male, soprattutto quando finiva e non si capiva cosa fosse successo

“Eravamo attraversati da una crisi indiscutibile di valori ed emozioni, un’umanità che andava perdendo il senso del vivere e del gestire dignitosamente la propria vita. Si assisteva ad una mutazione dell’io, al suo disintegrarsi, imprigionati negli schemi così rigidi di una società che avanzava senza tener conto della fragilità umana”.

Recensione di Fabiana Manna

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.