Intervista ad Antonio D’Errico

Antonio D’Errico  è uno scrittore poliedrico spazia magnificamente tra poesia , romanzi e biografie . Noi abbiamo parlato con lui e si è raccontato in questa splendida intervista.

Amori trovati per strada la recensione

Buongiorno Antonio G. D’Errico, come nasce il tuo immenso amore per la poesia?

Ci si innamora di ciò che è autentico, penetrante, necessario. Ci si commuove per un’emozione, un fremito che rimanda alla vita, che la richiama. Si consumano sospiri per una bellezza che si mostra, per una sofferenza che ci strazia. E’ la vita il mistero della vita. Si può rimanere di ghiaccio a contemplare da una finestra la fine di un giorno senza senso. Si piange per un amico che non c’è più. Si abbraccia il vuoto per la morte insopportabile di una persona che ci ha lasciati soli al mondo, anche se al mondo si sa, parafrasando il Poeta: “Ognuno è solo sul cuore della terra”, senza possibilità di pensare al domani. Di fronte a tanto sgomento rimane il rimpianto di non aver fatto determinate azioni, di non aver reso un sorriso, di essere precipitati in un’angosciosa solitudine spaventosa. Quale rimedio possiamo adottare contro tale danno umano? Possiamo ripetere una nenia ripetitiva che ci faccia tornare bambini: “Oh, oh! Ninna, oh! Questo bimbo a chi lo do?”. Se abbiamo l’umiltà di abbassarci, possiamo inginocchiarci in una chiesa e pregare, sussurrando richieste e promesse di perdono. Possiamo infine dare voce alla nostra coscienza, quella che rimane dopo la fine del mondo, e dare dignità alle nostre azioni, avvicinare per strada degli sconosciuti e ricordare loro che siamo fratelli, possiamo cantare con parole liriche per farci riconoscere nei nostri slanci di umanità che richiedono condivisione. Tutto questo è l’amore che agita i miei pensieri, che rinnova le emozioni, che sublima le mie paure. E’ l’amore, in tutte le sue forme, come dici bene con la tua domanda, che mi fa essere tutto ciò che sono. Siamo uomini quando riusciamo a esprimere e vivere questa condizione come un sentimento che ci rappresenta più di ogni altro.

Ho avuto il piacere di leggere e recensire “Amori trovati per strada” e, rinnovandoti i miei complimenti, volevo chiederti cosa rappresenta per te questa delicata e importante raccolta di poesie.

“Amori trovati per strada” sono canto che ripete idealmente le azioni dei miei giorni. Sono riflessi di stati d’animo, quelli vissuti per pura ingenuità, altri immaginati quando la nostalgia si fa tenerezza, altri ancora sono promesse che non trovano una verità che li rende fermi e stabili. Gli Amori trovati per strada sono quelli che non sono mai arrivati, come ci ha avvertiti Pavese nelle sue previsioni e riflessioni, sono ferite che non si rimarginano mai, neanche col tempo che passa. Ma sono anche amori che si rinnovano nel ricordo di una bellezza che ha preso forma nella contemplazione delle stagioni di vite spensierate, libere dagli insulti di distanze umane infinite, come capita quando si è raggiunti il culmine dell’infelicità.  L’esito di gioie semplici mi riporta all’immagine dei miei genitori, dei miei vicini di casa di un tempo, a mia mamma che in mezzo a un campo di grano, sotto un sole ardente, con una falce affilata cantava soddisfatta tra i covoni di grano e di avena appena mietuti e altri da mietere. Amori trovati per strada sono l’essenza della felicità che brilla di gioie vecchie e nuove, rinnovando la bellezza che trova armonia nei passi di carmi che rendono vita la vita e non desiderio di allegria che rende tristi a ripensarci dopo. Amori trovati per strada sono gli amori che restano per un loro vigore di autenticità.

Qual è il tuo rapporto con Dio? “Chi ama gli animali ama l’uomo e ama Dio”.

Io cerco un rapporto con ciò che sento, che vedo, che mi rappresento e mi rappresenta. Il mio rapporto con Dio è di ricerca intima, ragionevole, a volte, cedendo ragionevolmente alla fine verso la magia ideale dell’irrazionale. Dio è l’Assoluto, è lo “Spirito del Mondo”. Che altro potrei fare io senza Dio? Innalzarmi da animale bipede a Ragione totalizzante di tutte le cose? Il mio bisogno primario è cercare un luogo in cui incontrarmi con Dio, con gli uomini, con gli animali e con le cose. E con ognuno di loro instaurare un dialogo interiore che ci permetta di essere in relazione.  L’immagine che riconosco all’istante è quella del Santo di Assisi: è una verità immediata, un’eredità umana che rimane chiara alla pari di quella di Cristo, di Dio che è venuto da uomo in mezzo agli uomini. Sinceramente, ho bisogno ancora di chiedermi: Chi sono? Perché vivo? Per chi vivo? Per quali desideri agisco, mi mostro? Qual è il mio orizzonte umano? Cosa devo agli altri e cosa devo chiedere loro? A tutte queste domande trovo risposte fuori da me, le trovo in Dio, nella sua parola, nel suo essere Eccellentemente Buono, nel suo essere Assolutamente principio e fine di tutte le cose, nel suo Essere origine. La mia relazione con Dio è la vita stessa, dove tutto si compie fuori da quegli egoismi di chi chiede per sé: di chi brama ricchezza e piaceri per sé, bellezza e fama. Quanto e come mi inorridisce un uomo così.

“Il ricordo è una potente alchimia che vince il tempo e cura ogni male”. Antonio, qual è il tuo ricordo più bello?

E’ tornare con le immagini a mia madre e col pensiero a mia figlia, che ha dieci anni, e la ricorda molto.  Mia madre mi ha insegnato ad amare il mondo, mi ha dato emozioni che sono rimaste intatte nella mia memoria. Ha fatto tutto con soavità, con parole semplici, con attenzioni delicate, con uno sguardo aperto e vigile, con un’umanità che ricordo. Il mio ricordo più bello sono tanti ricordi, tutti legati al viaggio. Ricordo il mio primo viaggio in treno, con mia madre e mio fratello più piccolo. Ero piccolo anch’io. Si era scatenato un acquazzone improvviso e copioso. Eravamo nella Valle del fiume Ofanto, ci siamo riparati sotto una tettoia arrugginita di fianco al binario della ferrovia. Eravamo inzuppati, spaventati e impensieriti. A un certo punto abbiamo sentito il fischio del treno, un piccolo vagone solitario, che ripeteva i suoi acuti lunghi e sonori, che mi facevano tremare il cuore.   Mia madre con uno slancio, le mani alzate, andò incontro alla minuscola locomotiva, facendo segno al macchinista di fermarsi. Il treno rallentò la corsa e si fermò, magicamente. Aprì le porte ed entrammo. Fu una felicità e uno stupore potersi accomodare su quei sedili larghi e spaziosi, come mi sembrarono sedendomi. Condividemmo quella felicità e quella comodità con i pochi passeggeri che ci accolsero, con parole delicate, con i loro sguardi attenti e gioiosi.

Nelle tue profonde poesie ci parli anche del problema dei giovani, della disoccupazione, di un futuro instabile “Poveri ragazzi se penso al loro futuro. Questo mondo non lascia speranze per questo la speranza è fuori dal mondo”. Attraverso i tuoi versi quale messaggio vorresti lanciare ad una società  sempre più distratta verso i temi sensibili?

I miei messaggi non sono certezze, non credo neanche che siano messaggi, visto il significato deleterio che porta in sé di questi tempi questa parola. Io cerco di rappresentare stati d’animo, desideri, suppliche piuttosto. Sono sensazioni e riflessioni che rimandano alla vita, al bene assoluto dell’essere umanità, portatori di vita, di eredità, di culture. E rimandano necessariamente a Dio, a un Dio Buono, a un Padre Eccelso che con la sua grandezza avvolge ognuno. E’ un’immagine sognata, metaforica, di un bene di cui l’uomo può esser capace. I miei versi sono parole che realizzano immagini di pace e di guerre, pace e guerre che si vivono lontani da eserciti schierati in campi di battaglia. Sono emozioni che vogliono scongiurare il dolore, quando la morte si presenta inevitabilmente come causa finale di un percorso che ha in sé inizio e fine. Oggi l’uomo si sorprende sempre dopo che il dolore ha fatto il suo ingresso nel mondo. E’ un uomo cieco, probabilmente, che ha perso la vista e la capacità di fare previsioni. Il dolore dovremmo vederlo prima, intuirne i prodromi fin dalla loro apparizione, accorgerci che può raggiungere e ferire chiunque. Dovremmo essere uomini capaci di amare altri uomini. Ma ad alcuni succede disgraziatamente di schierarsi contro le vite degli altri, sicuri di essere portatori di una cattiveria che fa bene. Siamo lontani gli uni dagli altri. Questa è una sciagura che non salva. E neanche si intuisce che quando tutto intorno è spietato, senza speranze, nessuna volontà superiore può intervenire per riportare la bontà in un mondo che può solo prepararsi al “Diluvio universale”. Se avessero avuto l’occasione di prendere anni fa come me quel vagoncino sul binario della ferrovia lungo il fiume, potrebbero avere almeno l’immagine di una salvezza possibile. A volte la memoria e la fantasia possono essere indispensabili per evitare sciagure disastrose. La scrittura ha anche questa facoltà, di inventare mondi che trovano una loro ragione nella realtà.

 

Meraviglioso il modo in cui parli del rapporto tra madre e figli; cosa rappresenta per te la famiglia?

La famiglia è insegnamento, soprattutto, per me. Capita anche che c’è chi non apprende, chi è svogliato, chi si gira da un’altra parte a cercare un bene che chiede ma che non saprebbe donare. Essere famiglia è lo stesso che essere uomo: è essere parte: padre e figlio, mamma, fratello e sorella. Questa volontà e questo desiderio si realizzano ovunque, all’interno della collettività, non solo entro un ambito ristretto di parentela. Chi ama il mondo ama tutto, uomini, case, piante, i sussurri del vento, l’ondeggiare della risacca, la voce di uno sconosciuto che ci commuove. Tra madre e figli c’è amore, così come c’è amore tra moglie e marito, tra padre e figli. L’amore è il riflesso umano che ci ricongiunge alla bellezza, quella che si può perdere stando lontani. Una mamma e un figlio che sanno amare non si perdono mai: semmai uno dei due fosse in colpa saprebbe chiedere scusa al momento opportuno. L’amore familiare è perdono e vicinanza, è bellezza, lo ripeto.

 

Antonio G .D’Errico quali sono i tuoi progetti per il futuro? Cosa stai realizzando al momento?

I miei progetti per il futuro sono costanti nella mia vita: primo fra tutti c’è il vivere; poi mangiare, dormire, studiare, leggere, pensare, immaginare, incontrare persone e scoprire luoghi, visitare gli infermi, incoraggiare gli amici soli e depressi che hanno bisogno di me, chiamare a casa per sapere se tutto va bene, telefonare a mio papà e a mio fratello, andare a prendere mia figlia a scuola, e all’occorrenza dedicarmi alla scrittura. Nelle mie attività quotidiane, come si intuisce, lo scopo è sempre l’amore, la bellezza, la forma ideale. Cosa c’è di più vero e più bello del sapere che il proprio papà sta bene, nonostante gli anni, che la figlia cresce e ha fiducie da rinnovare ogni giorno e ogni volta in più occasioni? Giorno dopo giorno realizzo la vita. E nelle notti di lavoro e di ricerca studio e scrivo. Quest’estate ho  scritto delle canzoni insieme a dei giovani rapper della cosiddetta Seconda generazione, che saranno fruibili tra qualche settimana. Da poco ho finito di scrivere alcune biografie importanti, che vedranno la stampa molto presto. A ottobre uscirà la biografia del percussionista Tony Cercola presso le rinomate edizioni Arcana, dal titolo: “Per chi suona la buatta”. A Natale uscirà per la pregiata casa editrice Ferrari Editore la biografia di Donato Placido, attore e scrittore, fratello di Michele Placido, scritta da me insieme allo stesso Donato, dal titolo: “Dio e il cinema”. Sempre per Arcana sto scrivendo la biografia di un altro grande protagonista della Neapolitan power, che potrebbe uscire a gennaio prossimo. Tra breve, primo fra tutti, uscirà il mio noir “Ernest. Morte a Milano”, un romanzo carico di intensità, un noir tematico, che fa stragi di morti colpevoli o incolpevoli; chissà; sarà pubblicato dalle edizioni Macchione, un eccellente editore di Varese, diffuso su tutto il territorio nazionale.

Qual è il tuo rapporto con i social?

E’ una realtà sociale da cui nessuno può più sottrarsi. Se provo a immaginare che per qualche motivo dovessero chiudere Facebook, Instagram, WhatsApp, YouTube credo che scoppierebbe una rivoluzione, la gente si taglierebbe le vene, i telegiornali e i giornali tornerebbero finalmente a fare grandi ascolti e grandi vendite. Siamo tutti dentro questa eccessiva verticalizzazione del bisogno di essere raggiungibili che nessuno più può considerarsi fuori. Nel bene e nel male, i social sono stati la vera rivoluzione di quest’ultimo decennio.

Prima di concludere l’intervista c’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Sì, certo. C’è che non vorrei mai concludere le cose che iniziano così bene. La conclusione è sempre un’interruzione. Quindi, direi, per mantenere vivo e continuo il nostro dialogo, auguro innanzitutto a te buon lavoro, che possa crescere sempre di più l’interesse dei lettori verso le tue proposte culturali, e ci lasciamo con la promessa di risentirci per l’uscita dei miei prossimi lavori. Grazie di cuore. Un abbraccio a tutta la redazione e agli amici che vi seguono.

 

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