Eleonora De Nardis è nata a Roma, giornalista professionista e conduttrice tv . Questo è il suo primo libro con cui mette a nudo una delle piaghe più abbiette della nostra società: la violenza alle donne. Noi abbiamo parlato con lei che ci ha rilasciato questa interessante intervista.
Sei mia – un amore violento La recensione
Qual è il sogno della tua vita?
Che domanda. Ne ho tantissimi! Da quelli più profondi e altruistici che coinvolgono l’ intera umanità, a quelli più banali ma anche autentici. Fare un viaggio in giro per il pianeta con i miei tre figli, ad esempio: è da sempre che vorrei vedere l’ aurora boreale, le distese di plancton notturne nei mari del Sud del mondo. E poi, più di tutto, acquistare una casa che sia davvero mia, che rappresenti la mia identità e la mia essenza . Adesso non è ancora stato possibile ma conto davvero di riuscirci un giorno…
Colore preferito?
È da sempre il verde, in tutte le sue tonalità: bosco, bottiglia, menta, smeraldo, acquamarina… e quello delle pietre, l’ incredibile verde persiano. Ho ereditato un’ antichissima collana di giada e malachite appartenuta alla mia bisnonna e prima di lei alla trisavola: quando la indosso mi sento una regina esotica.
Fiore preferito?
Adoro i fiori. È il pensiero che apprezzo di più: i bouquet di rose e peonie color cipria, abbinati a fiori di campo come camomilla, lavanda, rosmarino. Ma, come la protagonista del romanzo, è una pianta il mio fiore preferito, il muschio. Mi emoziona anche solo rivelarlo. L’odore mi ricorda i temporali estivi della mia infanzia in montagna, la consistenza un velluto irresistibile, il significato botanico è ” attaccamento materno”: senza bisogno di radici e resistentissimo, appunto.
Canzone del cuore?
Difficile individuarne una sola. Ma un titolo a cui sono legata sentimentalmente è Hedonism degli Skunk Anansie. La voce vellutata e insieme graffiante di Skin, i volti e i corpi deformati nel video, quegli accordi alchemici in grado di provocare i brividi. Mi ricorda i miei vent’ anni, il primo inverno da sola a Montpellier. Un momento difficile e di svolta della mia vita a cui però ripenso spesso, adesso, con tenerezza.
Libro che hai tanto amato?
Li amo tutti, visceralmente. Non sono una lettrice onnivora e, se scelgo di leggerli è perché, per qualche ragione, mi hanno “chiamata” a sé. Nell’ immediato mi vengono in mente “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov, “Vicino al cuore selvaggio” di Clarice Lispector, “La metamorfosi” di Kafka, “Cecità” di Saramago. E “Il grande Gatsby” di Fitzgerald, “Il rosso e il nero” di Stendhal. Romanzi che sono per me pezzi di esistenza, ormai parte dei miei monologhi interiori. E come non citare i romanzi della Mazzantini, della Ferrante. Per me emozioni intense, purissime. Ho appena terminato La misura eroica di Andrea Marcolongo e non riesco a riporlo nello scaffale. Giace sul mio comodino. Ogni tanto ne rileggo qualche riga: ho fatto le orecchie alle pagine per ritrovare le frasi che voglio ripetermi al mattino e alla sera. È un libro di cui non smetto di avere bisogno. Vorrei averlo scritto io!
Quant’ è stato difficile scrivere il romanzo?
Non lo è stato affatto. L’ ho steso di getto, in poche – pochissime- settimane. Come sgorgato fuori dalle mie dita che battevano leggere sulla tastiera di un portatile sgangherato, di terza mano. Scrivevo al mattino presto, prima di preparare le colazioni. Scrivevo quando pioveva forte. Scrivevo sui treni. E mi sono ritrovata con il racconto così com’è. In fase di editing sono state tagliate delle parti ma nessuna aggiunta, nessuna correzione.
Perché hai deciso di pubblicarlo?
Ecco. La vera difficoltà è stata, piuttosto, condividere quanto avevo scritto. Da solo e intimamente mie, quelle pagine sarebbero divenute di tutti e, quindi, di chiunque. Ho creduto fortemente, però, che fosse importante rendere pubblica la storia di una donna che è, incredibilmente, la storia di molte e forse, in parte, la storia di tutte. Sono convinta che i pensieri e i sentimenti della protagonista rispecchino la crescita interiore dell’ essere femminile in genere, al di là delle scelte critiche e degli errori che ciascuna può più o meno compiere nel corso della propria esistenza. È tuttavia un libro anche per gli uomini, soprattutto per coloro tanto ” conclusi” da essere in grado di mettersi in discussione e riscoprire le proprie sensibilità, fragilità, tenerezze.
La parte più toccante del tuo diario?
Il diario è di Elisabetta, non il mio… Lei risponderebbe che le si sono annebbiati gli occhi di lacrime parlando delle sue nonne, esempio di forza e altruismo, e naturalmente della sua maternità.
Cosa vorresti dire ai tuoi lettori e cosa ti aspetti da loro?
Mi stanno già dando molto più di quanto mi aspettassi! Sono partecipi, empatici, stimolanti. Mi scrivono parole per me preziose. È grazie a loro se sono passata dall’ iniziale pudore della scrittura all’ orgoglio di condividerla. Ai miei lettori sono sinceramente, infinitamente grata.
Il tuo libro è molto forte. Secondo te, a che età potrebbe essere accessibile?
Non mi ero posta questa domanda finché non mi hanno proposto di portarlo nelle scuole, in particolare tra gli studenti dell’ ultimo anno delle medie. Penso che parola e voce siano strumenti potenti per spezzare il silenzio in cui spesso si mascherano le paure e i dubbi dei più giovani. Non sempre e subito si trova la forza di farlo. Ma è proprio con il racconto che la violenza può emergere fuori dal buio in cui soffocano le sue vittime. Solo parlandone può filtrare luce, quella che riporta in vita. Ammetterlo, riconoscerlo, scriverlo, stimolare al dibattito. Le nuove generazioni hanno il compito di analizzare il rapporto tra i sessi, interpretare le nostre defezioni, guarire le piaghe sociali. O almeno devono provarci.
Qualcuno che vorresti ringraziare in modo particolare?
Gli autori che ho già citato che sono stati miei mèntori, la casa editrice Bordeaux nella quale ho trovato davvero una “casa”, i miei genitori, che mi hanno insegnato a guardare sempre “oltre” e a dare alla propria esistenza il disegno scelto da noi. La vita è come un merletto visto da sotto: noi vediamo solo i nodi che lo formano, non la meravigliosa forma che al momento della fine, incanterà l’ universo. Per questo non mi arrendo mai: ho imparato che la vita ci sorprende proprio quando ci fa rinascere.
Cosa dobbiamo fare tutti noi per fermare la violenza sulle donne?
Innanzitutto catalizzare l’ emersione del fenomeno. Quasi sempre le donne abusate ne provano vergogna e – minacciate, ricattate, annichilite- non ne fanno parola con nessuno. Quasi sempre sono persone isolate, recluse, costrette alla solitudine. Occorre spronare a parlarne, a confidarsi, a chiedere aiuto. I centri antiviolenza esistono e fanno un grande lavoro. Ma attente a chi vi rivolgete: non sempre gli avvocati fiduciari di questi centri sono professionisti validi. Prima di affidarvi, prendete ossigeno denunciando il vostro oppressore e assicurandovi al sicuro. Poi riflettete, valutate con calma. Un altro problema è quello della subordinazione economica. Senza un posto dove andare, senza un lavoro, spesso con figli piccoli, le vittime di violenza rinunciano alla propria emancipazione prima ancora di trovare la forza di fuggire, di denunciare. Recenti sono le proposte di legge di sgravi fiscali per chi assume donne vittime di violenza. Della Regione Sardegna è la proposta di un reddito minimo per loro, un “reddito di libertà” da cui ripartire. Sono piccoli segnali che accendono la speranza che qualcosa si stia muovendo. Poi, quando denunciano, queste donne sanno che i tempi di un giusto processo rischiano di ricalcare quelli di ere geologiche. E a nulla valgono le misure cautelative di non avvicinamento dei violenti. Purtroppo i fatti fotografano quasi sempre la cronaca di drammi già preannunciati. Sono stati da poco approntati protocolli ad hoc che dovranno seguire i Pm e i tribunali che si trovino di fronte a casi di violenza e stalking. Anche questo è uno spiraglio di luce nell’ oscurità. Noi tutti: non abbassiamo la guardia, non smettiamo di parlarne e scriverne. E, soprattutto, chiariamo una volta per tutte che se ti picchia, se ti insulta, se ti zittisce, se ti umilia, se ti isola, se ti reclude, se distrugge i tuoi sogni, allora stai pur certa che non è amore.
Progetti per futuro? Anzi, presente?
Vorrei aiutare chi ha vissuto un dramma che lo ha annientato, fino a fargli credere che tutto fosse perduto. E non ho altro mezzo a mia disposizione se non la parola e la scrittura. Per questo spero che questo romanzo lo leggano in tanti, anche coloro che si trovano ad affrontare altro genere di sofferenza. Quando il dolore è totalizzante, diventa subdolo, cinico. Ci porta a un investimento esclusivo di tutte le nostre energie, risucchiandole. E invece si può scegliere di investire in qualcos’ altro, si possono rendere le nostre passioni ( per la protagonista di “Sei mia” l’ arte, la letteratura, l’ amore per i figli) il nostro vero rifugio, la nostra strategia di ritorno alla vita. Poi, vorrei buttarmi anima e corpo sul nuovo romanzo che, ancora una volta, parla del mistero del femminile: risorse, egoismi, solidarietà e una forza che ha sempre del miracoloso.
Vorresti aggiungere qualcosa?
Sì. Vorrei far riflettere tutti sulla critica, che non è un termine negativo, anzi. Proviene dal verbo greco Krino e significa “scelgo liberamente”. È vero che siamo il frutto di condizioni culturali, sociali ed economiche da cui proveniamo. Ma è altresì vero che siamo noi stessi gli artefici indefessi del senso più profondo che diamo alla nostra esistenza, giorno per giorno. Di qui l’ importanza di scegliere sempre liberamente, cioè criticamente. Un abbraccio virtuale a ogni mio lettore e lettrice, uno ad uno!
E grazie di cuore a te, Alessandra.