Emanuela Signorini tra memoria storica e fantasia ci parla del suo noir ” Il sangue nero di Mussolinia.
Emanuela Signorini ci parla del suo libro ” Il sangue nero di Mussolinia”,un racconto di fantasia inserito magistralmente in un contesto reale: Mussolinia è realmente esistita ed è stata la prima città di fondazione fascista, così chiamata in onore di Benito Mussolini dal 1930 al 1944
Buongiorno Emanuela e benvenuta nel nostro Blog! Oggi parliamo del tuo romanzo, “Il sangue nero di Mussolinia”.
Chi è Emanuela Signorini? Parlaci di te.
Per quasi tutta la vita ho fatto la giornalista. Ho lavorato come redattore, caposervizio, inviato, caporedattore in almeno 14 testate giornalistiche italiane. Sicuramente tra le tante, quella che mi ha forgiato di più è un quodidiano del pomeriggio milanese che ora non c’è più, La Notte. Nelle sue stanze – erano gli anni Ottanta -, al Palazzo dei Giornali, in Via Cavour, a Milano, si imparava a raccontare storie di ordinaria cronaca, nera o rosa, raccolte sul posto, andando a bussare alle porte, domandando a testimoni sparpagliati qua e là, braccando le foto che polizia e carabinieri non volevano mai darti. Insomma, si inseguiva la realtà per raccontarla a tutti, nel modo più chiaro e diretto possibile. Da quella scuola sono uscite molte penne di giallisti e romanzieri attuali.
Come è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
All’inizio la vicenda umana e imprenditoriale di Mussolinia fu l’argomento della mia tesi di laurea del 2004-2005, alla Università Statale di Milano. Le vicende lavorative mi avevano permesso di prendermi una lunga pausa. Così decisi di terminare gli studi universitari iniziati in giovane età. Per affrontare l’argomento Mussolinia, e renderlo degno delle richieste dei miei professori, per sei mesi viaggiai molto, misi il naso in archivi privati, scartabellando veline rosicchiate dai topi, parlai con innumerevoli personaggi che avevano vissuto l’epopea di quella prima opera di bonificazione e ripopolamento ad opera di soggetti privati. In quel periodo collaboravo per la De Agostini che segnalò l’argomento alla Utet di Torino. Anche là erano incuriositi, avrebbero voluto un libro con la storia di quella città. All’inizio mi lusingò molto la proposta, poi pensai: no, chi lo legge un libro di storia su una città di fondazione? Con un nome così, poi? Non voglio che una vicenda umana e popolare, finisca tra gli “esperti di”. Parlandone con mio marito Sergio, venne l’idea di inventare un noir, dunque una racconto frutto di fantasia, con un linguaggio molto da fiction, ambientato però nella città di Fondazione così com’era a quei tempi. Così ritornai a viaggiare, avanti e indietro, per raccogliere informazioni sul campo e respirare il più possibile l’atmosfera che si respirava negli anni Trenta in quella colonia di lavoro in terra sarda. In altre parole, per diventare giallista, tornai a fare la cronista. Che cosa buffa!
Mussolinia, l’attuale Arborea, è realmente esistita, fatta scomparire volutamente da un decreto regio e riemersa successivamente dall’oblio storico: come e perché ti sei interessata a questa tematica?
Per curiosità. Ricordo che un’estate, con la mia famiglia, decidemmo di fare una lunga vacanza: con il nostro camper organizzammo, partendo da Olbia, un giro completo della Sardegna, seguendo sempre la costa in senso antiorario. La Sardegna è splendida, diversa e uguale ovunque, ma sempre Sardegna! A un certo punto del viaggio, giungemmo nei pressi del Campidano di Oristano e le mie antenne di cronista iniziarono a vibrare. C’erano strade diritte, campi disegnati tutti uguali, delimitati da fossi con acqua. E poi fattorie molto simili tra loro, con uno stile che mi ricordava moltissimo le fattorie del Polesine o del Veneto in generale, disseminate per la campagna a intervalli regolari. Che posto è questo? Chiesi. Mi rispose la punta aguzza del campanile di Arborea che svettava sugli eucalipti alla fine di un lungo rettilineo. In due minuti arrivammo nella vasta piazza di quel paese agricolo. La Sardegna era di colpo scomparsa, ero arrivata in un luogo che era altro. Ma cosa? Iniziai a chiedere, a interrogare tutti, a raccogliere testimonianze. Quando è saltato fuori che Arborea era nata dalle paludi e venne chiamata Mussolinia, ho sentito una scarica elettrica. All’università stavo studiando storia contemporanea e, giuro, mai una volta ho trovato sui libri un nome come quello. Che è, chiesi, Topolinia? Scherzai. In realtà mi batteva il cuore. Avevo trovato qualcosa.
Quali emozioni hai provato a scrivere di un pezzo praticamente inedito della nostra storia?
E’ l’emozione di chi arriva primo dopo una gara: stanca ed eccitata, incredula ed entusiasta. Va detto, a onor del vero, che a livello locale, cioè nell’area di Oristano e zone limitrofe, molti storici locali hanno trattato l’argomento della bonifica. Senza i loro scritti, non avrei potuto neanche iniziare questa avventura. Poi però ho seguiti a ritroso le vie da dove è partito tutto, Rovigo, Milano… Non ho fatto un libro di storia è vero, non ho parlato della costruzione della città, vero anche questo, non ho tratteggiato la biografia dei protagonisti reali, ovviamente: ho inventato un noir. Però tutto quello che avviene nel libro, frutto della mia fantasia, avviene dentro quella città, esattamente quella, com’era realmente, fin nei minimi particolari.
I ragazzi di oggi apprendono quanto è accaduto nei libri di storia nei quali Mussolinia non esiste: quanto credi possa essere loro utile il tuo romanzo?
Dipende dal loro grado di curiosità. Se si limitano a cercare solo quello che trovano in rete, accoccolati su una poltrona, credo che Mussolinia gli entri da un orecchio e gli esca dall’altro. Ma se hanno dentro di sé la fiamma della curiosità che è la scintilla di ogni idea, di ogni avventura, persino dei desideri, allora anche un noir come “Il sangue nero di Mussolinia” può diventare la miccia per far esplodere la voglia di saperne di più. Una volta accesa, vorranno saperne e, forse, prenderanno un aereo e andranno sul posto per vedere che cosa sono stati in grado di costruire dei ragazzi della loro età, in un luogo dove c’erano 200 paludi.
Quanto è importante per te la memoria storica del nostro paese?
Senza memoria storica noi non saremmo neanche un Paese. Saremmo un luogo qualsiasi abitato da persone qualsiasi. Ognuno di noi sa chi è, chi sono i suoi genitori, chi sono i suoi nonni e forse i bisnonni. Questa è memoria storica. La memoria storica di una Nazione è ciò che i suoi cittadini hanno fatto prima e durante, per sé e per la loro terra. Saperlo aiuta a capire perché siamo e perché siamo proprio così, ma soprattutto perché dobbiamo andare avanti. Una Nazione senza memoria è una Nazione ammalata di Alzheimer: senza il ricordo di un passato, ma soprattutto senza futuro. Fa solo una grande pena.
Dove può essere acquistato il tuo libro?
In libreria sicuramente. Forse non tutte ne sono fornite. Basta prenotarlo e arriva in pochi giorni senza sovrapprezzo. Poi lo trovi sulle maggiori piattaforme di vendita online.
Hai altri programmi per il futuro?
Tanti, tantissimi. Da dove inizio? Facciamo così, rimango sulla scrittura. Ecco, ho un sogno, non l’ho detto ancora a nessuno: mi piacerebbe tanto, tanto, scrivere un seguito a questo noir. Perché? Perché sono curiosa, vorrei proprio sapere che futuro ha in serbo la mia fantasia per i personaggi che ho creato. Da quelle quattro idee che mi frullano in testa mi sento di dire: poveri personaggi, non vorrei essere nei loro panni!
Vuoi aggiungere altro?
No, dai, lasciamo spazio ai lettori!
Nell’accomatiarmi, ti saluto e ti ringrazio!