Invento una storia…è un contest creato da un gruppo nostro amico, la finestra sulla cultura. I racconti che seguono sono scritti dai nostri amici lettori .
Aspettandoti di Elisabetta Fioritti
Abbraccio con lo sguardo i campi rivestiti dai colori autunnali, giallo caldo, ocra e arancio, rosso di viti, i cui tralci avvolgono le pergole create ad arte, là dove gli ulivi, maestosi e secolari, argentei verso l’orizzonte, si delineano come figure sfumate.
Mi perdo, affacciata a questa finestra, mentre il tempo e lo spazio paiono fondersi e confondersi nella mia mente, alterando la sincronia degli attimi , creando quadri immaginari, dove sognare e respirare piano, riempiendomi gli occhi di quei colori pastosi, caldi e sfumati come in una tela dipinta.
Ed ecco quel campo di grano, ora ambrato di terra e d’argilla, dopo il dono estivo di messi dorate. Nel mio cuore profuma dei baci che ci siamo dati, di quando, nascosti alla gente e agli sguardi indiscreti, ci abbracciavamo tra le spighe alte ed amiche, ad ascoltare i nostri respiri, a riempirci del nostro calore, a consumare quell’amore così breve ed ardente. Senza pensare al poi, amanti in quell’infinito che profumava di fiori, di sole e del sudore dei nostri corpi innamorati.
Poi vedo quelle viti, ormai povere dei grappoli dorati, che rubavamo ridendo dopo l’amore, per saziarci del sapore della nostra terra, per ricordarlo, imprimerlo dentro le cellule e nel ricordo, insieme ai baci, alle tue mani che, avide, cercavano il mio corpo, che rispondeva, mai sazio. Sotto quel cielo turchino, chiaro come i tuoi occhi, uomo del sud figlio di stirpe normanna, forse giunto da qualche mondo immaginario, predestinato al mio cuore e ai miei sensi.
Ti sogno e ti cerco, tra i profumi della campagna opulenta, ricca di aromi che salgono nell’aria e trasportano fragranze, nell’odore di terra e di zolle umide, dei funghi che si nascondono sotto la coltre delle foglie secche. Ti vedo nel volo di farfalle che si librano verso il cielo, ti sento nel suono del vento che fa stormire le fronde degli alberi.
E ti desidero, nella nostalgia dolorosa del cuore, come se fossi ancora qui, accanto a me, a respirare col mio respiro, a guardare con i miei occhi.
Figlio di questa terra, che hai abbandonato e tradito in cerca di un mondo migliore.
Ma io ti aspetto, amante, amico, linfa delle mie giornate. Perché so che la mia sete è la tua stessa sete; mi cercherai in altri volti, in altri abbracci, ma, un giorno, avvertirai l’odore della tua terra, povera di lavoro ma fertile ed ubertosa, profumata dalle zagare in estate e dai fiori del mandorlo in primavera. Dove, all’orizzonte, disegnare l’azzurro del mare, che sempre ti aspetta, ti invita, ti regala la vita.
RITROVARSI Di Emanuela Borghi
Si era preparata con cura, trucco leggero, capelli allisciati, manicure perfetta.
Dopo mesi passati senza nemmeno guardarsi allo specchio, quella mattina aveva riscoperto il piacere di farsi bella per qualcuno.
Aveva attraversato tante tempeste, era caduta e ogni volta si era rialzata.
Non si era mai arresa e anche se stanca e sfiduciata, aveva affrontato ogni giorno nella speranza che quello successivo sarebbe stato migliore.
Quell’appuntamento era importante ed era molto emozionata.
Si era incamminata lentamente verso il luogo stabilito e dato che era una bella giornata, aveva guardato ripetutamente il cielo azzurro e le poche nuvole che lo adornavano.
Si era compiaciuta nell’osservare il via vai della gente e le vetrine dei negozi, che, finalmente, le rimandavano un bel riflesso di lei.
Non aveva fretta, chi l’attendeva neppure.
Sì sentiva leggera e sorrideva, destando l’interesse dei passanti.
Individuò subito la panchina, dove aveva deciso che sarebbe avvenuto l’incontro e vi si sedette.
Era serena e aveva lo sguardo limpido di chi è riuscito a buttarsi tutto alle spalle.
Rimase seduta a lungo, godendosi la calda carezza dei raggi del sole e respirando l’aria profumata di rose di un’aiuola vicina.
Tutto ciò che sentiva sapeva di rinascita e provava sensazioni che credeva perdute in un tempo lontano.
Trascorse quasi due ore così, poi sempre lentamente come era arrivata, si alzò e riprese il cammino verso casa.
Era stato un appuntamento indimenticabile.
Aveva incontrato e ritrovato se stessa: poteva ricominciare a vivere.
L’appuntamento di Massimo De Tommaso
Marta lo aveva conosciuto un pomeriggio di fine estate, mentre era al parco su una panchina, a leggere il suo romanzo d’amore preferito. Un temporale improvviso la costrinse a interrompere quella piacevole abitudine. Lui era spuntato dal nulla con quel provvidenziale ombrello che le permetteva non tanto di restare asciutta ma di salvare dalla pioggia il suo prezioso amico di carta. Lui le si era avvicinato di corsa, senza però spaventarla, offrendole, senza proferire parola, la protezione di quel grande cappello di tela azzurra. Al primo sguardo aveva capito che era timido e impacciato e che in quel frangente aveva dato forza a tutto il suo coraggio per non lasciare che un gesto gentile venisse male interpretato. Le aveva chiesto se abitasse lontano e se gradisse essere accompagnata fino a casa. Per strada avevano fatto le presentazioni, lei le aveva raccontato del suo lavoro, segretaria presso uno studio notarile e delle sue passioni, la lettura e il cinema. Ettore, così si chiamava lui, le aveva detto in modo confuso ma dolcemente divertente che si occupava di pubblicità e che nel tempo libero si dilettava di fotografia e da anni portava avanti un romanzo, al quale sembrava impossibile mettere la parola fine. Quel chilometro che divideva il parco da casa era sembrato troppo breve per aver potuto parlare di tante cose. Poco prima di essere giunta a destinazione il temporale era cessato e tra le chiome dei platani e delle querce del parco un arcobaleno giocava a nascondino con i tetti delle case lontane. Lui non si lasciò sfuggire l’occasione, estraendo dalla borsa la sua macchina digitale e scattando alcune foto. Poi sempre con quella voce gentile ma titubante chiese se poteva fare a lei una foto.
-“Te la manderò stasera, insieme alle altre, se mi lasci un indirizzo email”, le disse sorridendo.
Tutto sembrava così naturale e spontaneo e anche a quella richiesta di uno sconosciuto lei non oppose alcuna forma di resistenza.
Si scambiarono gli indirizzi di posta e i numeri di telefono e si salutarono contro un tramonto che aveva incendiato il cielo di settembre.
Passarono dieci giorni da quell’incontro, le giornate erano diventate più frizzanti e nel parco le prime foglie ingiallite e rossastre si raccoglievano lungo i sentieri. Lei non aveva tentato di contattare il fotografo gentiluomo e lui, a parte l’invio delle foto per email, non l’aveva più cercata.
Quel sabato pomeriggio si era trattenuta più a lungo, quasi fino all’imbrunire e stava ormai mettendo via l’immancabile libro, quando alle sue spalle un cane iniziò ad abbaiare e gli uccelli si alzarono numerosi. Si voltò istintivamente per seguire il volo di un’upupa e su una panchina più in alto lo vide, il suo impacciato fotografo, intento a raccogliere alcune delle foglie più grandi, cadute ai suoi piedi. Senza pensarci iniziò a sbracciare in segno di saluto ma Ettore sembrava non vederla. Pensò di alzarsi ed andargli incontro ma proprio in quell’attimo vide una donna avvicinarsi alla panchina del fotografo. Lui lasciò cadere le foglie in un sacchetto di carta, le andò incontro, abbracciandola e baciandola con tenerezza. Per alcuni interminabili secondi il cuore le si era fermato e il respiro era come sospeso. Realizzò che lui era lì per un appuntamento ma la donna che attendeva non era lei; incontrollata, una lacrima scese sul suo viso e Marta, ancora una volta, affrontò nel suo cuore quella vecchia battaglia senza vincitori né vinti: desiderava almeno una volta incontrare nella vita reale uno degli uomini che l’avevano conquistata nelle pagine dei romanzi, ma ogni volta c’era un piccolo ma significante dettaglio che non le permetteva di essere la protagonista.