“Le parole sono pietre” diceva Camilleri” e noi, purtroppo, non abbiamo il casco per proteggerci dai sassi lanciati da questa comunicazione irrispettosa.
Mentre si assiste a una recrudescenza della pandemia, dopo mesi vissuti in una sorta di mondo sospeso, in cui regna l’incertezza e vi è un continuo bisogno di verità, è inconfutabile che il microcosmo di ognuno di noi sia stato intaccato, se non attaccato, da questa pressante situazione.
Dal punto di vista psicologico, una modifica violenta della realtà come quella causata dalla congiuntura pandemica è come una pressa che con forza progressiva tende a schiacciare la nostra sfera individuale, da noi invece ritenuta capace di opporsi alle sollecitazioni esterne grazie alla sua apparente tenacità.
Questa situazione di stress non fa altro che tenere in tensione questa sfera, con il rischio di giungere a un punto di forza tale da romperla con effetti devastanti per la psiche. La conseguenza è che il soggetto può essere colpito da un “disturbo post-traumatico da stress”, essendosi instaurata una condizione di allarme emotivo con ansia libera e somatizzata (giramenti di testa, tremori, malessere generale) fino a disturbi da attacchi di panico, con una ripercussione sull’umore che è diventato depresso reattivamente e con le difese fobiche dell’io verso il contesto esterno.
Questo per far comprendere quanto sia essenziale avere attorno a sé una realtà “normale” nella più accettabile accezione del termine, perchè una situazione anomala e perdurante, specialmente in soggetti già di per sé vulnerabili, può gravemente compromettere il loro equilibrio psichico.
Per questo, il protrarsi di questa situazione è altamente pericoloso, non solo dal punto di vista epidemiologico, ma anche sotto l’aspetto psicologico, perchè provoca ansia continua, essendo ogni aspetto del nostro vivere intaccato dalla pandemia. Attualmente, ci sentiamo pervasi da una sensazione di impotenza, mentre assistiamo basiti a uno scenario che non sembra abbia una qualche risoluzione nel breve-medio periodo. Tra gli aspetti umani intaccati c’è il linguaggio e su questo occorre fare una doverosa premessa.
L’uomo, sin dai primordi, nella sua istintiva socialità avvertì il bisogno di condividere emozioni e sentimenti con i suoi simili mediante il processo della comunicazione, attuato attraverso il linguaggio evolutosi poi nel corso del tempo.
In antropologia, il linguaggio è classificato in tre forme: verbale, non verbale e musicale. Il linguaggio provoca effetti psicologici sia negativi, sia positivi. È indubbio che le forme di linguaggio verbale siano tra le più efficaci nel processo comunicativo, perché le parole si insinuano nella nostra mente procurando effetti emotivi tali da modificare il nostro essere e condizionando le nostre facoltà di ragionamento.
Le parole compongono le frasi e le frasi sono il risultato di un’idea che viene trasmessa da un individuo all’altro, da un individuo a un gruppo di individui o da un gruppo di individui a un altro gruppo di individui, mediante il messaggio. Tuttavia, dal punto di vista sociologico, in seno a un gruppo di individui può non esserci la condivisione, da parte di qualcuno, di quell’idea giunta attraverso il messaggio. Si creano così correnti di pensiero, che attraverso le opinioni recepiscono o meno il messaggio.
Il messaggio può provocare diversi effetti: condivisione, rigetto, obbligo. Quest’ultimo deriva dallo stato di soggezione che un soggetto o un gruppo di soggetti ha nei confronti di un altro soggetto o gruppo. Così abbiamo lo stato di soggezione nei confronti dell’Autorità che emana le leggi: lo Stato, alle quali ci dobbiamo assoggettare. Nei regimi dittatoriali, un unico soggetto esercita la sua comunicazione mediante ordini, la cui trasgressione provoca l’esercizio del suo potere. Alla base, comunque, ci sono sempre la comunicazione e gli effetti che questa provoca.
Premesso ciò, è ineludibile che il processo comunicativo attuato nel corso di quest’emergenza pandemica abbia finora provocato modifiche alla nostra sfera mentale, innescando processi emotivi conseguenti. Di colpo, la comunicazione verbale è stata invasa da parole come lock-down (chiusura), distanziamento interpersonale (erroneamente chiamato anche sociale), morti, contagio, guariti, asintomatici, paura, mascherine, crisi, emergenza, terapie intensive, ospedali, ricoverati, residenza sanitaria assistenziale, zone rosse e gialle, confini chiusi, divieto, assembramenti, autocertificazione, didattica a distanza, smart-working (lavoro agile), guanti, soluzione idroalcolica, coronavirus, covid-19, state in casa, bollettino, paura, comitato tecnico scientifico… e la lista non finisce qui! E questo dagli inizi del 2020 in poi. Tutte parole che non abbiamo forse mai detto o che non vogliamo dire, ma che ripetutamente, ogni giorno, sentiamo. E se per chi ha la mente fredda o vive la situazione distaccata, ciò non provoca effetti significativi, per altri queste parole sono invece diventate fonte di ansia, se non angoscia e terrore. Inoltre, tutti noi, essendo condizionati da questa situazione ed avendone appreso inevitabilmente il linguaggio, ci siamo adattati ad esso tanto da assurgerlo a normalità (anormale). Come ci siamo adattati (in generale) agli ordini imposti dall’Autorità circa l’uso di mascherine, mantenimento delle distanze e lavaggio delle mani. Tutto ciò ha creato in noi una sorta di abitudine, tanto da sembrare normalità (anormale). Ma il punto di discussione non sono gli obblighi imposti.
Facciamo invece un’analisi di come è stato finora attuato il processo comunicativo in quest’emergenza pandemica.
Da un lato, ci sono state le disposizioni governative, i noti D.P.C.M., per mezzo dei quali sono state disposte, nel tempo, le varie misure di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica.
Tuttavia l’informazione correlata, con particolare riferimento ai dati epidemici, nonché le interpretazioni delle norme sono state in generale poco chiare, creando confusione e incertezza: basti pensare alle varie casistiche relative ai divieti imposti durante e dopo il lock-down o al caso interpretativo della definizione di “congiunto”. Altrettanto confusi sono stati i cambi di valutazione della situazione contingente da parte degli scienziati che consigliano il Governo (il Comitato Tecnico-scientifico). Ciò ha provocato altrettanto disorientamento e confusione nella popolazione (basti pensare agli iniziali pareri sull’uso delle mascherine, poi smentiti). Tale situazione ha inoltre favorito i fronti dei negazionisti e dei complottisti, che hanno, tra l’altro, intrepretato tale confusione quale un preciso progetto di verosimile “dittatura terapeutica” contro la popolazione. Ovviamente, questi fronti hanno innescato un processo comunicativo talvolta violento, attuato a mezzo il web, provocando ulteriore incertezza e disorientamento tra la popolazione, che continua a non comprendere quale sia il reale stato dei fatti.
Dall’altro, c’è stata una massiccia attività di diffusione delle notizie da parte dei media, che sin dall’inizio dell’epidemia (poi pandemia) ha imperversato nelle televisioni, sulla carta stampata e sul web. Messaggi continui, ripetuti, provenienti sia dai canali cosiddetti ufficiali, sia da fonti spesso incontrollabili e talvolta inattendibili (le famose fake-news). Così quelle parole provenienti da ovunque – che ho citato – sono entrate con violenza nelle nostre case, in noi stessi. Una diffusione selvaggia, cruda che va al di là del diritto alla libertà di informazione, che continua a non fornire chiarezza sull’avanzare degli eventi e crea solo confusione, sconcerto e paura, svuotando di significato il concetto stesso di “informazione”.
“Si sta dicendo tutto e il contrario di tutto” è stato affermato a un certo punto. Epidemiologi, virologi e luminari vari hanno continuato e continuano tuttora a riempire le pagine sul web di opinioni discordanti, mentre le indiscrezioni diventano notizia e i palinsesti televisivi sono stracolmi di talk-show, dove parlano l’esperto o il politico di turno pronti a lanciare i loro anatemi e le loro profezie, sia sul piano della pandemia, sia sul fronte economico, che è oggetto di forte preoccupazione al pari dell’emergenza sanitaria. Ma non sarà che questa comunicazione, che concerne comunque una situazione serissima e grave, provochi assuefazione, sconcerto e addirittura repulsione da parte dell’opinione pubblica, rischiando di procurare un effetto contrario, con il rifiuto di leggere o ascoltare le notizie e tra queste anche gli inviti alla responsabilità? Non è, per caso, che per il mondo dell’editoria e della televisione il Covid-19 sia un’imperdibile occasione per aumentare le tirature di giornali e rotocalchi, nonché aumentare alle stelle gli share degli ascolti, con relativi, abnormi, aumenti dei profitti? Fortunatamente, non tutto il mondo dell’informazione si sta comportando così; generalizzare collide con l’onestà intellettuale che bisogna sempre tenere alta, come bisogna dare atto che qualsiasi governo, in una grave situazione come questa, si sarebbe trovato in difficoltà e avrebbe commesso degli errori (si guardi la situazione della pandemia all’estero e come questa viene gestita dai vari governi nel mondo). Errare è umano, l’uomo è difettoso e fragile; credo che almeno questo il virus ce lo abbia insegnato.
Da questa analisi, emerge quindi quanto sia pericolosa una comunicazione scorretta attuata mediante un processo mediatico devastante che potrebbe far aumentare i casi di “disturbo post-traumatico da stress”, oltre ad altri danni di carattere psicologico. Una comunicazione altresì speculativa – attuata con terrorismo mediatico da diversi mesi ormai e chissà ancora per quanto tempo – che non fa bene a tutti noi succubi degli eventi, che vorremmo conoscere soltanto la verità per proteggerci e capire come sarà il nostro futuro prossimo.
“Le parole sono pietre” diceva Camilleri” e noi, purtroppo, non abbiamo il casco per proteggerci dai sassi lanciati da questa comunicazione irrispettosa dei 1.130.000 morti nel mondo di Covid-19, di cui oltre 35.000 in Italia; del personale sanitario che continua a combattere il Covid-19 nelle corsie degli ospedali tra problemi di ogni sorta; della gente che continua ad ammalarsi; di chi ha perso il lavoro in questa emergenza e dei nostri giovani costretti a frequentare la scuola in modo innaturale (con il rinnovato pericolo che questa repentinamente chiuda), in un’età in cui è importante la socialità e l’aggregazione, con tutte le gravi conseguenze probabili che ci saranno per il loro futuro.
Tempo fa scrissi una poesia dedicata al personale sanitario che ogni giorno combatte contro questo maledetto virus, la ripropongo qui affinché chi è impegnato in prima linea non sia sepolto dall’oblio.
ANGELI
Ferito e triste, miravo il soffitto
Adagiato e dolente voci sentivo
Voci di Angeli che echeggiavano in me
E i volti degli Angeli, benevoli e amici
Dalle sofferenze avvolti eran luce
Gli Angeli dei dolorosi inferi
Ove il lor sofferto cuor non tace
Patii quella notte le pene degli inferi
Ma i vigili Angeli accorsero a me
Una carezza, una dolce parola
premurose mani il mio dolore lenirono
E luce scorsi nei loro occhi
Poi tutto passò
Ma mai dimenticò quegli Angeli l’anima mia.
Giovanni Margarone