Pietro Polizzi, mentre come ogni sera, seduto al tavolo della cucina, si dedica al suo cruciverba, è vittima di un infarto letale. Sua moglie Ines, di spalle, lava i piatti e guarda la tv, senza neppure rivolgere un’occhiata verso il marito, del tutto ignara che stia morendo.
Così inizia questo libro triste ed amaro di Raffaella Romagnolo.
È la storia di una famiglia come tante, troppe; si vive insieme senza guardarsi mai veramente.
Ines continua a sbrigare le sua faccende pensando, in un continuo flashback, alla loro vita, e soprattutto senza minimamente accorgersi che il marito è morto.
Per lei tutto deve essere sotto controllo, rischiando il meno possibile. Il talento non serve a nulla se non è trasformato, contabilizzato in denaro.
I figli, Vittorio e Riccarda, molto uniti, non potrebbero essere più diversi.
Vittorio, dalla più tenera età, è l’orgoglio della madre, donna che regge la famiglia come un generale ed inculca loro la sua filosofia di vita. Mentre il fratello, più debole, non riesce ad imporre la propria volontà, la sorella, invece, lotta per seguire le sue ambizioni.
Ed è proprio Riccarda la figlia “sbagliata”, quella che si allontana da casa per realizzare il suo sogno di diventare attrice.
Per Ines è uno schiaffo alle sua scelte di vita, alla rinuncia al lavoro per crescere i figli, un attentato alle regole della famiglia, incentrata sul senso del dovere, sullo spendere il proprio tempo solo in cose reali e monetizzabili; tutto il resto è perdita di tempo. Riccarda, anzi, le ricorda le sue aspirazioni accantonate per la famiglia e per amore di tranquillità.
Che lavoro è? Che vita è? E quel ch’è peggio, le attrici sono tutte puttane.
Ines intuisce qualcosa, una sensazione di necessità che la turba, non riesce a togliersi dai pensieri la parola “talento”, le resta un malumore, ed è stizzita con Riccarda come per un tradimento.
Invece Vittorio, il suo amatissimo primogenito, non ha il coraggio di andare contro i voleri materni per affermare se stesso.
Il ragazzo, senza troppi grilli per la testa, studia, diventa un campione di nuoto, cresce e fa il lavoro che sua madre reputa giusto, ma è profondamente infelice.
Se fossero una famiglia normale, pensa Ines, non farebbero che parlarne. Parlerebbero solo di lui. Le pagelle. I professori in adorazione. E i campionati juniores a San Donato milanese, la faccia di quell’altro quando, toccando la sponda, si è accorto che Vittorio era già risalito sul bordo con un colpo di reni.
La faccia dell’allenatore che li scongiurava di far cambiare idea al futuro ingegnere. Il primo trenta e lode. Analisi, mica una materia qualunque. Centodieci e lode e dignità di stampa. Ines neanche sa che volesse dire. Poi un intero staff ai suoi ordini, perfino una segretaria.
Pietro svolge con piacere il lavoro di camionista per allontanarsi da questo nucleo in cui si sente ai margini, regno incontrastato del volere della consorte accentratrice.
Un giovanotto senza grilli per la testa. Non ipotizzò per sé un mestiere diverso da quello del padre camionista. La vita è una cosa difficile, meglio assecondarla che affrontarla, pensava Pietro Polizzi. Così divenne un uomo pacifico, un marito fedele e un padre mediamente distaccato, senz’altra ambizione che tornare a casa la sera dalla donna che la sorte, benigna, gli ha riservato e dai figli che lei tira su, cocciuta e solitaria. Ines. Girati, Ines.
Mai Pietro Polizzi ha provato gli slanci o gli abissi che da sempre abitano sua moglie e che lei, ostinata, tenta di restringere entro i confini di un’esistenza ordinaria. Sa che lei è, in modo difficile da spiegare, la parte di poesia che gli spetta. Il bello della vita.
Il libro è malinconico, ma profondamente umano. Io l’ho letto tutto d’un fiato, avvertendo un profondo senso di malessere.
Il vivere insieme e il non guardarsi, l’adorazione verso il primogenito che diventa la ragione di vita di Ines solo perché il ragazzo, debole, si è sempre attenuto, in tutto e per tutto, alle regole materne.
E il quasi odio per Riccarda, la figlia che si è ribellata, che è andata via inseguendo i suoi desideri.
I personaggi sono vividi e reali con i loro chiaroscuri, con il profondo egoismo che spesso si nasconde dietro un nucleo all’apparenza normale.
Il non voler vedere la profonda infelicità dell’adorato figlio e del marito che si allontana sempre di più da loro e lascia fare a lei.
E, soprattutto, il disprezzare e detestare quasi, quella figlia “sbagliata” che, capite le problematiche familiari, scappa via, cercando di spingere anche suo fratello ad essere felice.
La trama
Un sabato sera come tanti in una cittadina della provincia italiana. La tv sintonizzata su uno show televisivo, nel lavandino i piatti da lavare. Un infarto fulminante uccide il settantenne Pietro Polizzi, ma Ines Banchero, sua moglie da oltre quarant’anni, non fa ciò che ci si aspetta da lei: non chiede aiuto, non avverte amici e famigliari, non si preoccupa di seppellire l’uomo con cui ha condiviso l’esistenza.
Comincia così un viaggio dentro la vita di una coppia normale: un figlio maschio, una figlia femmina, un appartamento decoroso, le vacanze al mare, la televisione e la Settimana Enigmistica.
Ma è una normalità imposta e bugiarda, che per quarantacinque anni, per una vita, ha nascosto e silenziato rancori, rimpianti, rimorsi e traumi. E mentre giorno dopo giorno la morte si impadronisce della scena, il confine tra normalità e follia si fa labile.
Raffaella Romagnolo, nata a Casale Monferrato nel 1971, vive a Rocca Grimalda con il marito. Ha scritto “L’amante di città”, Fratelli Frilli 2007, e, per Piemme, “La masnà”, divenuto anche uno spettacolo teatrale, e “Tutta questa vita”, finalista al Premio Peradotto.