“C’è uno spazio che ci costringe e uno che ci accoglie”.
Quale è quel luogo nel quale ci sentiamo a casa? Quale è quello spazio all’interno del quale possiamo vivere e non solo sopravvivere?
Il romanzo di Francesca Gerla, appena consegnato ai lettori e alle lettrici, ci stimola, in più momenti della lettura, a porci queste domande, facendoci avvertire sulla pelle profonde sensazioni di disagio e di incredulità per le dinamiche fisiche e mentali nelle quali si snodano le vicende dei protagonisti, Enea e Ilaria.
Un uomo, ormai adulto, che vive nonostante un buon livello culturale, in condizioni di abbrutimento psicofisico e una ragazza, nello splendore della gioventù, che cerca di esorcizzare il passato, fatto di pochi anni spesi in esperienze esasperate, riappropriandosi di una vecchia casa di famiglia.
Entrambi sono stati figli poco amati, entrambi hanno più volte usato gli altri esseri umani per soffocare quel dolore atroce che sentono pulsare dentro, ogni qual volta la cicatrice che portano sulla propria personalità ferita ricomincia a sanguinare.
Entrambi vivono il presente filtrandolo con il passato e sono costretti perciò, giorno per giorno, a recitare un ruolo che il passato ha cucito su di loro.
Enea, “garagista sui generis”, ha smesso di vivere la propria vita per spiare quella degli altri, alla ricerca di un amore che sfocia spesso in relazioni disadattate e morbose.
“Si ferma lì, in piedi di fronte a me. Potrei allungare la mano e afferrarle la testa. Tirarle i capelli perché stia ferma finché lo dico io. Oppure potrei raggiungere le sue labbra e straziarle di morsi. Sentire il morbido della sua carne sotto i miei denti aguzzi. Potrei aprirle la camicetta che intravedo sotto il cappotto, basterebbe una mossa. Magari starebbe zitta mentre faccio quel che voglio, a guardarmi con quegli occhi da animale da monta”.
Ilaria, perennemente in fuga dall’unica persona che il destino le ha concesso per ricevere delle cure familiari, la zia Ivana, prova a giustificare le sue scelte inopportune col bisogno di trovare alternative alla cura, non accettata, dell’unica parente che le è rimasta.
“Ilaria sta pensando, e i pensieri fanno troppa confusione. Deve trovare il modo di spegnerli. Si alza, va in camera. Si infila qualcosa, indossa delle calze che la opprimono. Si sente sempre strozzata, quando finisce dentro quelle maglie. Per questo, di solito, preferisce i jeans, ma non quella sera. Dalla scarpiera, sceglie delle scarpe che non usa mai. Nella borsetta nera infila il cellulare, le chiavi, pochi spiccioli. Prima di uscire, si guarda allo specchietto all’ingresso. Vorrebbe sorridersi, ma non ci riesce. Si passa il rossetto sulle labbra. Rosso fuoco”.
Scenografia delle vicende di quelle due anime “dolenti” è una Napoli vivace, che contrasta con le ambientazioni scure e claustrofobiche nelle quali si muovono i personaggi della storia narrata.
“Ogni volta che tornava a Napoli, Ilaria sentiva che quella città faceva per lei. Si trovava a suo agio, nel caos della stazione. Le pareva di scomparire, in quella folla, di liberarsi del carico di tensioni che non la mollavano da dieci anni. Persino adesso, in quella situazione, preferiva stare nel disordine sgraziato di piazza Garibaldi anziché a casa sua ad Agropoli”.
Intorno a Enea e Ilaria ruotano, come pianeti nello spazio, uomini e donne percepiti dal lettore come espressioni metaforiche del malessere psichico che i due protagonisti vivono.
In un karma purificatorio, le vicende di quella ragazza così complicata e quell’uomo così solitario si intrecciano, come prestabilito, portandoli a stringere un oscuro patto salvifico.
Intenso lo stile di Francesca Gerla, tinto di un realismo descrittivo di forte impatto emotivo e caratterizzato dalla narrazione estrema delle sensazioni fisiche dei personaggi.
“Per un attimo penso di lanciarmi anche io, in quell’acqua gelida. Immagino una melma intorno al mio corpo in putrefazione, tra spire di alghe e pneumatici di camion. Un’acqua verde e viola che mi gonfia lo stomaco, mi scompone i lineamenti; pesci mostruosi mi strappano i capelli, le orecchie, le guance, e si moltiplicano intorno allo scempio di me. Scaccio via con la mano il pensiero, mi curvo verso i miei piedi, che trovo sgangherati dentro le scarpe”.
E decisamente appassionante l’evoluzione che porta al finale, che se da un lato dà spazio ad una inaspettata umanizzazione delle personalità dei protagonisti, non rinnega l’imprinting noir della declinazione narrativa.
Francesca Gerla, insegnante, ha lavorato come redattrice e traduttrice. Tra i libri tradotti, Il bambino filosofo di Alison Gopnik, Bollati Boringhieri; Julie & Julia, di Julie Powell, Rizzoli. Ha ottenuto vari riconoscimenti con i suoi racconti e romanzi. L’ultimo libro è Sei personaggi in cerca di Totore (Homo Scrivens), scritto a quattro mani con Pino Imperatore.
La descrizione del libro
La gabbia di Francesca Gerla uscito il 4 Aprile 2019 per Emersioni editori.
Enea, garagista recluso in un seminterrato, ha l’abitudine di introdursi di nascosto nelle case dei condomini. Armando, inquilino del quinto piano, lo accusa ingiustamente di furto, svelando di pedinarlo da tempo. Prendono le sue parti Sara, ragazza immagine dalla promiscua vita sessuale, ed Emma, corpulenta donna di mezza età dalla cui casa Enea trafuga reggiseni e slip. Un giorno Emma lo scopre in casa sua, ma anziché allontanarlo o denunciarlo decide di sedurlo.
Tutto nel palazzo cambierà all’arrivo di Ilaria, universitaria dal fisico mozzafiato che nasconde più di un segreto.
In un crescendo di colpi di scena, tra violazioni di domicilio, sparizioni, inseguimenti, esalazioni velenose, sesso a pagamento e violenze domestiche, le verità anche agghiaccianti dei protagonisti verranno a galla, dimostrando che, in questa discesa agli inferi, tutto è possibile.
Persino ricucire i legami nel sangue.