La guerra di Olga, Mavie Carolina Parisi. Ianieri Edizioni
“Perché quasi niente quanto la guerra, e niente quanto una guerra ingiusta, frantuma la dignità dell’uomo.”
Oriana Fallaci
Le guerre portano sempre distruzioni, morti, dolore e sofferenza. Una battaglia non è mai giusta, lecita, comprensibile. Ma il secondo conflitto mondiale ha toccato l’apice del degrado dell’animo umano…
È il 28 febbraio 1933 quando Olga, giovane neo sposa italiana, arriva a Berlino per conoscere i suoceri, i conti von Beurst. Lo sposo Dieter e suo padre hanno deciso di aderire al Partito nazionalsocialista, seguendo la corrente di coloro per i quali l’umiliazione della sconfitta del primo conflitto mondiale, con tutte le problematiche sociali ed economiche, era ancora amara e dolorosa.
“Fidanzamento e matrimonio erano stati così veloci che Olga si trovava ancora nello stato di grazia tipico dell’innamoramento. Non aveva avuto il tempo di riflettere, vedeva davanti a sé solo un futuro luminoso, lontano da Capri, da Roma, da una famiglia soffocante. Sarebbe stata più libera di condurre per mano il proprio destino. O almeno così credeva…”
Il 1933 è un anno importante per la Germania: Hitler diventa cancelliere, nasce la Gestapo, vengono “nazificati” tribunali, ospedali e istituzioni pubbliche e statali di tutta la nazione, estromettendo il personale non ariano. Qualcosa di sinistro comincia a trapelare…
“Eugenetica, termine coniato da un cugino di Darwin nemmeno cinquant’anni prima del 1933, che esprimeva però un concetto antico. Quanti popoli l’avevano applicata o anche solo vagheggiata per il miglioramento della specie umana? Ai nazisti non poteva sfuggire il suo potere, l’arroganza di un vocabolo che ha la pretesa di distinguere chi abbia il diritto di vivere o il dovere di morire (…). La legge sulla tutela della contaminazione genetica serviva a impedire che i disabili trasmettessero il loro patrimonio di caratteri e quindi il loro handicap, nella bizzarra convinzione che ogni anomalia avesse un’origine ereditaria (…). All’inizio del 1934 la pianificazione razziale usciva dalle nebbie e dalle chiacchiere ed entrava nella concretezza delle azioni.”
La guerra non è solo lontana, ma per la maggior parte dei cittadini è addirittura inimmaginabile. E dunque le vite continuano a scorrere serene e ignare dell’inferno che a distanza di pochi anni si sarebbe palesato. Anche per Olga è così: dà alla luce una deliziosa creatura, Anna e, pochi anni dopo, il desiderato maschietto, Helmut. Ma il destino comincia a disegnare tele nefaste: quel bimbo tanto atteso, erede del conte, non è sano.
“In certi tempi e in certi luoghi, nascere imperfetto si rivela una sciagura. La Germania hitleriana ne era un esempio. Non a caso i nazisti avevano progettato l’estesa campagna di sterilizzazione dei disabili, a tutela della gente giusta. Non che fossero stati i soli o i primi, ma certamente i più inflessibili e meglio organizzati. Da un paio d’anni le cose erano pure peggiorate. Non era bastato impedire la riproduzione dei disabili: i nazisti si erano accorti che essendo inutili bocche da sfamare, toglievano risorse a chi invece aveva tutto il diritto di vivere.”
Le idee di tutela della razza si diffondono a macchia d’olio, contagiando quasi tutti come una terribile epidemia. Durante la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 accade qualcosa di tremendamente spaventoso.
“Si era scatenato un inferno in terra. Erano state spaccate tutte le vetrine dei negozi ebrei, depredate le merci, picchiati i proprietari. Non erano state risparmiate le case e nemmeno le sinagoghe, incendiate a centinaia. Una moltitudine di ebrei era stata arrestata, uccisa, torturata, umiliata. Tutto sembrava nato da moti spontanei della popolazione, ma in realtà qualcuno aveva riconosciuto tra gli scalmanati uomini della polizia e delle SS, anche se erano in borghese (…). Non ci si poteva fidare di nessuno, non si capiva più chi fosse nazista per scelta e chi per paura, e dunque era difficile sapere con chi si avesse a che fare (…). Nei giorni successivi si vociferò che la polizia avesse avuto ordine di non fermare i civili violenti, e i pompieri, di non fermare il fuoco a meno che non minacciasse le circostanti abitazioni di proprietà tedesca. Non si raccontò di reazioni di solidarietà agli ebrei, almeno in pubblico. Nessuno organizzò marce di protesta o mostrò opposizione aperta, ma i tempi erano quelli che erano ed era difficile essere eroi.”
La condizione di “diversità” di Helmut diventa fonte continua di preoccupazione e angoscia per Olga. Teme per la sua vita, e si oppone fermamente al volere del marito e del suocero che le suggeriscono di portare il bambino in un istituto, lontano da casa, lontano da occhi indiscreti e da lingue taglienti.
“I contributi statali agli istituti per i disabili si erano fatti via via più inconsistenti e anche quelli religiosi, pur se privati, non avevano vita migliore. I tagli per le cosiddette vite senza valore sembravano doverosi. Era opinione diffusa che, a causa dei progressi della medicina, la selezione che in natura avrebbe dovuto favorire i più forti non aveva più modo di fare il suo lavoro e gli individui difettosi sprecavano risorse che avrebbero potuto essere usate in maniera diversa. Lo stato aveva il compito di intervenire. In guerra, tanti giovani forti e sani mettevano a disposizione la loro esistenza perché il resto della popolazione potesse vivere tranquilla. Bisognava compensare.”
Ciò che tutti temono e che hanno paura anche di rivelare a sé stessi, si concretizza irrimediabilmente: la guerra, macchina di morte e dolore, parte inarrestabile…
“L’estate non era ancora conclusa che già scoppiava la seconda guerra mondiale, come un autunno prepotente e frettoloso. Non tutti la riconobbero subito come tale, anzi la speranza di alcuni, per primo Hitler, era che si liquefacesse in una scaramuccia. Il führer era convinto che, pestando ancora i piedi, avrebbe ottenuto ciò che voleva, com’era stato con l’Austria e con la Cecoslovacchia. Ora pretendeva la Polonia. Sembrava un bambino che esigesse l’ennesimo giro di giostra, dicendo che sarebbe stato l’ultimo. Quella volta, però, la Francia e l’Inghilterra furono meno accomodanti (…). Una guerra non è cosa da poco. Cambia i confini, cambia la gente, travolge tutto ciò che incontra, peggio della nube ardente eruttata da un vulcano (…). Nella primavera del 1940 l’orso berlinese si risvegliò affamato. I tedeschi andarono avanti senza grossi intoppi, sembravano invincibili, in pochissimo tempo conquistarono la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo e puntarono la Francia. A giugno entrarono a Parigi da conquistatori. Anche in casa von Beurst la guerra portò grosse novità perché Dieter si arruolò come ufficiale medico nella Wermacht.”
Simultaneamente, l’uccisione delle persone ritenute inutili bocche da sfamare prende il via. L’intera popolazione è preoccupata per altre incombenze, e non ha né il tempo né la voglia di soffermarsi su questa faccenda. Anche perché non sanno, non immaginano, non contemplano la possibilità di un orrore dentro un altro orrore: tranne Olga…
“Eutanasia la chiamavano, sporcando questo vocabolo che aveva invece a che fare con la possibilità cosciente di un individuo di mettere fine alla propria vita quando la sofferenza e la dignità perduta superavano il diritto e il dovere dell’esistenza.
Eu-Aktion, il nome ufficiale dell’operazione.”
Le vittorie tedesche cominciano a subire un’arrestata: Berlino, ritenuta impenetrabile, viene invece bombardata dell’aeronautica inglese, facendo vacillare le sicurezze del popolo germanico. Ma Hitler non vuole fermarsi. Le sue idee di espansionismo sono inarrestabili, e adesso punta anche alla Russia.
“Il 1941 fu l’anno in cui la Wermacht diede il via all’Operazione Barbarossa, cioè l’invasione della Russia. Iniziò in modo spettacolare con un fronte di quasi tremila chilometri, lungo i quali avanzavano milioni di uomini. Nonostante il dispiegamento di forze, i russi tennero fino all’autunno e a quel punto, i tedeschi, noti per le loro guerre lampo, dovettero abituarsi a qualcosa di diverso. Anche Dieter partì per il fronte russo. Nelle lettere che spediva alla moglie con regolarità le raccontava che fango e pioggia erano avversari più temibili del miglior esercito; in seguito i peggiori nemici divennero il ghiaccio e il freddo.”
Anche Bruno Wrinkler, da sempre amico di Dieter e da sempre innamorato di Olga, partecipa attivamente al progetto di morte perpetrato dai nazisti. Lontano dal fronte e quindi da tutti i rischi che lì avrebbe trovato, lavora con solerzia e disumanità.
“Bruno e i suoi colleghi avevano imparato come fosse possibile uccidere un mucchio di persone senza usare pistole e che era meglio farlo lontano da occhi indiscreti (…). Nel frattempo il concetto di invalidità si allargava a dismisura. L’opposizione politica, ad esempio, era un segno di labilità mentale, così come la criminalità comune (…). Nessuno seguiva mai le sorti di un prigioniero dalla carcerazione fino alla morte. Bruno, come altri, si occupava di un piccolo pezzo del tragitto, il che, rendendo difficile la visione d’insieme, impediva qualsiasi forma di empatia. Una catena di montaggio dello sterminio. Un nastro trasportatore dell’eliminazione. I rimorsi di coscienza erano rari, ma avere pochissimi contatti con i prigionieri aiutava.”
La censura, onnipresente ed estremamente attiva, impedisce la diffusione di tutte le notizie, vere e aberranti: oltre ai campi di battaglia, esistono altri campi dove si muore in modo assurdo, atroce, infernale…
“Si moltiplicarono i campi di concentramento e si ampliarono quelli già esistenti. Da luoghi di raccolta o di lavoro, virarono ben presto in campi di sterminio. Molti medici SS furono mandati lì (…). Auschwitz fu il primo campo in cui si fece uso di un potente gas, lo Zyklon B, molto più efficace e più facile da maneggiare del monossido di carbonio fino a quel momento utilizzato per eliminare i prigionieri. Lo Zyklon B era un antiparassitario, e fu lo zelo di un membro delle SS che condusse all’idea di provarlo anche sugli uomini. I prigionieri erano stipati in gran numero nelle camere a gas e poi inceneriti nei forni crematori evitando i luoghi all’aperto (…). Ad Auschwitz-Birkenau la macchina della morte aveva raggiunto la massima efficienza.”
La vita di Olga diventa sempre più un calvario: si susseguono i lutti, e il timore per quel figlio diverso e speciale l’affligge e la preoccupa in modo drammatico, tanto che a un certo punto, decide di allontanarsi da quei luoghi che non le danno più né certezze né sicurezze. Mentre la morte continua a mietere vittime in modo inarrestabile, Olga cerca per sé per i suoi amati figli uno sprazzo di vita.
“Nella primavera del 1944 Auschwitz era al massimo. Con i suoi tre campi principali e innumerevoli campi secondari era il più grosso aggregato concentrazionario del Terzo Reich. Si apprestava ad accogliere la più numerosa carovana di ebrei mai vista, quasi mezzo milione provenienti dall’Ungheria. La maggior parte di loro non avrebbe avuto bisogno di vitto e alloggio perché nel giro di poche ore sarebbe diventato cenere. Bruno era sempre lì. Da alcuni mesi, come altri suoi colleghi, aveva iniziato una ricerca scientifica in un luogo in cui non sarebbero mai mancate le cavie da laboratorio. Stava a misurare crani, nasi e distanza tra gli occhi. Riempiva tabelle, disegnava grafici. Conduceva uno studio antropometrico sulla razza ebraica che no avrebbe avuto eguali per vastità (…). La ricerca lo faceva sentire uno scienziato, allontanandolo dall’idea di fallimento che sempre più spesso gli rovinava le giornate (…). A giugno del 1944 gli alleati sbarcarono in Normandia senza essere ricacciati in mare come Hitler aveva sperato. Per quasi un anno ancora la Germania resistette a modo suo, sebbene accerchiata da ogni punto cardinale. Non aveva scampo, ma la sua ostinazione provocò ancora morte e distruzione su molti fronti. E in quello stesso anno non ci fu scampo nemmeno per i troppi ebrei torturati e uccisi nell’unica guerra che i tedeschi stavano vincendo: quella contro gli inermi. A luglio del 1944 un attentato a Hitler fece sperare in una conclusione imminente della guerra, ma, come sempre, si salvò. La guerra continuava. Molto prima che finisse in tutta Europa, Bruno decise che la sua guerra era conclusa. Era novembre, il novembre del ’44. Himmler, il capo supremo delle SS, aveva dato ordine di far esplodere le camere a gas e i forni crematori e di nascondere o di distruggere le prove degli eccidi e delle gasazioni (…). Il crollo del mondo di Bruno era alle porte e lui non sarebbe rimasto ad affondare con la nave, doveva abbandonarla in quella fase, mentre ancora galleggiava. Era una certezza. Non l’avrebbero fatto prigioniero (…). In Italia la prima cosa da fare era procurarsi documenti falsi per poi prendere una nave da Genova alla volta del nuovo mondo. Era una via che qualcuno aveva già segnato e che tanti avrebbero seguito. Tutto andò liscio. Bruno sbarcò a Long Island, New York. Roma fu liberata nel giugno del 1944. L’Italia tutta fu liberata nell’aprile del 1945.”
Ho deciso di estrapolare molti stralci del romanzo, ritenendo che fossero cruciali e indispensabili.
Come sempre, quando si parla del secondo conflitto mondiale, è impensabile trascurare la vicenda delle deportazioni e di tutti gli orrori che ne sono derivati. Famiglie intere distrutte, persone annientate prima nell’anima poi nel corpo. Gente completamente disumanizzata, colpevole solo di appartenere ad un credo in quel momento storico ritenuto sbagliato, a minoranze etniche, a ideali politici “non conformi” al sistema allora vigente.
E poi ci sono i “diversi”, quegli individui speciali nati “difettosi”, con tare e/o malformazioni. Persone che rappresentavano un peso per la società e per i bilanci dello stato, che non avevano alcun diritto a vivere e che potevano rappresentare addirittura un pericolo per la purezza della razza. Gente da evitare e magari, possibilmente, da eliminare.
Sono storie che fanno parte della Storia, che con essa si intrecciano in una trama di amore e di dolore, di speranza e di delusione, di giustizia e di orrore.
Personalmente, ripercorrere quegli anni di battaglia, mi fa sentire sempre un nodo che mi si stringe alla gola. Solo l’idea di quegli abomini, mi atterrisce e mi inorridisce. Ma è ciò che è stato, e tutti abbiamo il dovere di ricordare e di sensibilizzare le generazioni future.
La lettura di questo romanzo mi ha profondamente emozionata. Una narrazione perfetta che entra nel cuore. Un libro in cui la protagonista è una donna che, a modo suo, cerca di contrastare e di opporsi a un sistema che tende ad escludere il concetto primordiale di amore, di appartenenza, di cura. Una donna che vuole amare e lo fa, con ogni mezzo e a dispetto dei principi legali e morali.
Un bellissimo romanzo, appassionante, cocente, emozionante, di cui consiglio vivamente la lettura.
Nel 1932 una ragazza romana, Olga Alberghera di Valcastello, conosce Dieter von Beurst, un affascinante tedesco. Complice l’aria vacanziera di Capri, dove trascorrono una parte della loro estate, i due si innamorano. L’anno successivo si sposano e la giovane italiana si trasferisce a Berlino. Lì apprende che suo marito e suo suocero hanno aderito al Partito nazionalsocialista, il cui leader, Adolf Hitler, è appena diventato cancelliere del Reich. La vita di Olga in Germania procede senza scossoni e anche con una grande gioia: la nascita di Anna, la sua prima figlia. Ma a un certo punto alcuni episodi cominciano a renderla inquieta, come il trattamento riservato alla figlia disabile della governante di casa. E quando tra i nazisti si parla già di eugenetica, di igiene razziale, un evento lieto nell’esistenza di Olga si trasforma in un incubo.
Autore: Mavie Carolina Parisi
Editore: Ianieri
Collana: Le dalie nere
Anno edizione: 2023
In commercio dal: 6 ottobre 2023
Pagine: 332 p., Brossura
EAN: 9791254880821
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