La Maligredi, di Gioacchino Criaco

Autore: Gioacchino Criaco

Titolo: La Maligredi

Editore: Feltrinelli

Collana: I Narratori

Anno : 2018

Pagg. 320-Brossura

Prezzo:€. 18,00

A dieci anni dall’esordio di “Anime Nere”, Gioacchino Criaco torna con un romanzo ambientato ancora nella sua Terra (la nostra), la Calabria. Parla del suo paese natale, Africo, un paesino in provincia di Reggio Calabria, che conta poco più di tremila abitanti. Un paese diviso in due porzioni (Africo Vecchio e Africo Nuovo) distanti tra loro, la più vecchia delle quali si trova alle pendici dell’Aspromonte. Ambientato nella seconda metà del secolo scorso, quando altrove, in Italia, si iniziano ad intravedere i primi barlumi di una ripresa economica post-bellica, altrove appunto, ma non nel profondo Sud Calabrese dove tutto arriva dopo….  Partendo da uno spaccato sociale, reale e non inventato, sviluppa un romanzo duro, forte, che narra con crudezza e senza far sconti, di un background dalla mentalità arcaica, con una economia di stampo medievale, di povertà, di ignoranza, di tradizioni, di Santi Protettori, processioni, miracoli e feste locali, di “rispetto” ,di “dritti” e di “malandrini”.  Racconta di un popolo ingenuo, credulone ed innocente; di una comunità che condivide gioie e dolori, bisogni, necessità, tragedie; nelle “rughe” dove ci si conosce tutti e dove non è necessario chiudere la porta di casa    “……..Quando c’era una preoccupazione in una casa, tutte le donne della ruga rimanevano sopra i ballatoi a spartirselo……”  ;  dove si cresce con i “cunti” delle persone anziane, analfabete, ma degne di una cultura orale tramandata da sempre di generazione in generazione e il cui valore è inestimabile.  Narra di emigrazione, di valigie pronte per la Germania, meta di pellegrinaggio, in cerca di un futuro migliore,  per la stragrande maggioranza dei padri di famiglia dell’epoca. Famiglie spesso divise inizialmente dalla necessità di “fare fortuna” per poi, col tempo, disgregarsi definitivamente.  Criaco racconta la vita reale di un Sud Calabrese troppo spesso riportato in maniera distorta, proprio perché non sempre riferito dall’interno.   La Maligredi è una specie di maledizione, che in un modo o nell’altro, complice lo Stato, impedisce l’evolversi di un popolo che non si è mai sottratto alla lotta. Ed è proprio la rivoluzione il cuore pulsante di tutto il romanzo. La ventata di aria nuova, di idee innovative, arriva da Papula, personaggio realmente esistito, Rocco Palamara, che figlio di fornai emigrati in Germania, torna nel suo paese e non lo riconosce. Dopo l’alluvione del 1951 infatti, la gente di Africo, dai piedi dell’Aspromonte viene sradicata e reimpiantata sulla costa jonica calabrese, creando una sorta di moderno campo profughi dove il mare e il vento, il libeccio, promettevano l’inizio di una vita migliore.    “…….dove il Libeccio portava la vita che strappava alla Libia…….”  In tutto questo conosciamo tre ragazzi, Nicola, Filippo e Antonio, che vivono le loro avventure adolescenziali marinando la scuola e avvicinandosi pian piano, e forse anche inconsapevolmente, alla criminalità.  Un romanzo ricco di persone che restano nella mente e nel cuore; un romanzo che parla di donne, di mogli e madri quali colonne portanti delle famiglie, che lottano affinché le cose possano cambiare.  Donne che insieme ai figli e per i figli danno vita alla rivoluzione per i propri diritti,  contro lo sfruttamento, i compari, i caporali, gli “gnuri” della terra  e contro lo Stato che sta dalla parte dei malandrini.     “…… Il potere stava al potere perché ragionava; capì che non poteva lasciarci liberi di portare la nostra guerra ovunque, invertì gli elementi e ci creò la guerra in casa. E lo fece nel modo solito, ci aizzò contro i malandrini locali……..”           “…… La rivoluzione è cambiare tutto quello che non ci piace, fare le cose che non possiamo fare, avere diritti senza passare da un compare. La rivoluzione non è prendere le mazzate dai carabinieri solo perché così gira al maresciallo……..”    Il sogno di cambiare un paese, e tutto il sud, attraverso il racconto di una pagina storica forse non troppo nota, quella della rivoluzione aspromontana del 1968, dove le donne hanno avuto un ruolo fondamentale eroine dimenticate di un passato complicato dove la”sopravvivenza” è stata un braccio di ferro tra Legge e Stato in senso lato, e una popolazione che ha lottato con tutte le sue forze per superare l’ostacolo della povertà e del pregiudizio,  “……solo chi c’è stato nella pancia del popolo calabrese può saperlo che ci abbiamo provato ad essere migliori….” Persone, personaggi e  luoghi che si scolpiscono nella mente: i ragazzi, Papula, le madri, Don Santoro, Cata a papa, l’ex maresciallo Giannino….  Criaco racconta la Calabria con la rabbia e la speranza che, forse,  solo noi calabresi amanti della nostra terra e legati alle nostre radici, possiamo capire.   Un romanzo struggente, che fa male, e che ti pone davanti agli occhi la visione reale di ciò che stai leggendo; le parole si staccano dalla carta ,ti danzano in testa trasformandosi in tante immagini, una dietro l’altra come diapositive, senza tregua, avidamente, perché è così che ti ritrovi a leggere. Non riesci a riporre il libro, hai bisogno di capire cose che forse il tempo ha riportato in maniera travisata, facendo conoscere solo quel lato “cattivo” che ,sì, è presente, esiste e nessuno lo può negare, ma forse nessuno si è mai soffermato a guardare oltre, a leggere tra le righe e  a capire il vissuto di chi ha dovuto lottare il triplo per ottenere la metà. E comunque non vuole essere una giustificazione, alcune vicissitudini hanno fatto storia e nessuno potrà cancellare pagine di cronaca nera…..    E’ un racconto animato da piccole vittorie e ricolmo di tante sconfitte; da leggere non a cuor leggero,ma da assaporare una pagina dopo l’altra,assimilando e facendo proprie espressioni,parole e frasi trascritte in dialetto che brillantemente si sposano con un linguaggio sapiente e scorrevole e tutto narrato in prima persona.     Ed è proprio questa la motivazione per la quale ho evitato di entrare nel vivo del romanzo, sarebbe stato facile recensire classicamente spoilerando qua e là tra le dinamiche della narrazione; ma sarebbe stato troppo riduttivo, distruggendo,a mio avviso, gran parte dell’anima del racconto, quella che l’autore ha saputo egregiamente riportare nero su bianco una pagina dopo l’altra .   E’ un romanzo che va e deve essere letto!

Teresa Anania

Gioacchino Criaco nasce ad Africo, (RC) un piccolo centro della costa ionica calabrese. Figlio di pastori, in giovane età inizia a meditare su una nuova trattazione letteraria dell’Aspromonte e luoghi limitrofi, data la scarsa divulgazione degli stessi. Si diploma presso il liceo scientifico “Zaleuco” di Locri, e si laurea in Giurisprudenza a Bologna. Esclude l’attività forense per avvicinarsi al mondo della letteratura calabrese, in quel momento assai sparuto. Dopo anni di sperimentazione, nel 2008 pubblica Anime Nere il suo primo romanzo, di grande impatto socio-culturale. Inaugura così il noir di matrice calabrese. Criaco racconta e descrive quelle realtà minori al limite della civiltà che, nonostante facciano parte di un contesto territoriale inserito in una nazione sviluppata e democratica, sembrano continuare a vivere di leggi e tradizioni proprie, a dimostrazione di una distanza fisica e politica forse irriducibile.  Pubblica in seguito i romanzi Zefiro,  American Taste e Saltozoppo.

Trama:

Esiste una generazione di calabresi cresciuta fra cunti, miracoli di santi e dèi. A quei tempi il furto era vergogna, il sopruso arroganza e nelle rughe di Africo insegnavano a non frequentare i peggiori. E la mafia, che c’era stata, che c’era, vedeva restringersi rancorosa il proprio spazio. A quei tempi cresce Nicola, e con lui gli amici Filippo e Antonio, compagni di avventure. Ragazzini che vanno a scuola, o, meglio, che marinandola si avvicinano alla piccola criminalità. Ma l’arrivo improvviso di Papula, un ragazzo più grande, che lavora in Germania e torna in paese parlando di rivoluzione, solleva un vento nuovo per tutto l’Aspromonte e fa sognare gli uomini, le donne e i ragazzini. E allora a San Luca prende a pulsare la protesta operaia e Platì diviene la patria del cooperativismo contadino. È il Sessantotto aspromontano – in pochi lo conoscono, ma c’è stato. Fa nascere la speranza di fondare un mondo nuovo, di ottenere diritti: i poveri scoprono di aver bocca e idee; le donne trovano il coraggio di scioperare contro gli gnuri; i figli si rivoltano contro i padri, i fratelli contro i fratelli. E poi tutti, insieme, contro i compari. Lo Stato, invece, si mette dalla parte del potere locale, dei malandrini, di coloro che, per mantenere i propri privilegi, sono pronti ad azzannare al collo i migliori. È così che nell’ Aspromonte arriva la maligredi, ossia la brama del lupo quando entra in un recinto e, invece di mangiarsi la pecora che gli serve per sfamarsi, le scanna tutte. E, quando arriva, racconta Criaco, «la maligredi spacca i paesi, le famiglie, fa dei fratelli tanti Caini, è peggio del terremoto e le case che atterra non c’è mastro buono che sa ricostruirle».

Pubblicato da Teresa Anania

Eccomi..... Sono Teresa Anania, e ho una passione sfrenata per i libri. Un amore iniziato ad otto anni e cresciuto nel tempo. Amo scrivere e riversare, nero su bianco, emozioni, sentimenti e pensieri concreti e astratti. La musica è la colonna sonora della mia vita. Ogni libro lascia traccia dentro di noi e con le recensioni, oltre a fornire informazioni "tecniche", si tenta di proiettare su chi le leggerà, le sensazioni e le emozioni suscitate. Beh..... ci provo! Spero di riuscire a farvi innamorare non solo dei libri ma della cultura in senso lato.

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