La mia notte lettera mai spedita a Diego Rivera
La mia notte è senza luna.
La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre.
La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo.
La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta.
La mia notte mi precipita nella tua assenza.
Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore.
La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine.
Cerco un punto di contatto: la tua pelle.Dove sei? Dove sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie.
Non è possibile che tu non sia qui. La mie mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. Il mio corpo ti vorrebbe. Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità.
La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio.
La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo.
La mia notte mi soffoca per la tua mancanza.
La mia notte palpita d’amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra. La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce.
Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra.
Il mio corpo non può comprendere.
Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt’uno.
Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita.
La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale,
la mia notte mi brucia d’amore.
Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me.
Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero.
La mia notte non porta consiglio.
La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti.
La mia notte si intristisce e si perde.
La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori.
La mia notte è lunga, lunga, lunga.
La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta.
La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte.
Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno.
La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo.
Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco.
La mia notte mi osserva il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa.
La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza.
La mia notte ti aspetta, il mio corpo ti attende.
La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua.
La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere.
La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio.
La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo.
La mia notte diventerebbe dolce.
La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te.
La mia notte è lunga, lunga, lunga.
Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio.
Sta morendo perché non sei qui e mi uccide.
La mia notte ti cerca continuamente, il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi.
Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra.
Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno, il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio.
La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile.
Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole, il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole.
Città del Messico 12 settembre 1939
Lettera mai spedita a Diego Rivera di Frida Kahlo
Frida Khalo, la biografia
Frida Kahlo era nata nel 1907 a Coyoacán, all’epoca un sobborgo di Città del Messico. La madre aveva origini meticce, il padre, fotografo, era nato a Baden-Baden. I suoi genitori, infatti, ebrei ungheresi, erano emigrati in Germania.
A sei anni Frida si ammalò di poliomelite. La gamba e il piede destro divennero molto esili, provocandole un’andatura claudicante che le fece guadagnare il soprannome di “Frida gamba di legno” al quale reagì diventando molto spericolata, dimostrando di saper compiere vere e proprie acrobazie su biciclette e pattini, arrampicandosi su alberi e scavalcando muretti.
u in quel periodo che, per nascondere il suo lieve difetto fisico, iniziò a indossare pantaloni e poi lunghe gonne messicane. Nel 1922, dopo avere frequentato il liceo, Frida, volendo diventare medico, fu ammessa al migliore istituto superiore del Messico, la Escuela Nacional Preparatoria. Fu l’unica ragazza che fece parte del gruppo studentesco dei Los Cachuchas,
Il 17 settembre 1925 l’autobus con il quale Frida stava tornando a casa da scuola, si scontrò con un tram. Diverse persone morirono sul colpo e Frida rimase gravemente ferita.
L’incidente la costrinse in ospedale per tre mesi e successivamente, a causa delle fratture alle vertebre lombari, a indossare per nove mesi diversi busti di gesso. Fu in questo periodo che, dovendo rimanere sdraiata, per ingannare il tempo, iniziò a dipingere. Si fece costruire una specie di cavalletto e un baldacchino sul quale fissò uno specchio in modo da potersi vedere e utilizzare la sua immagine come modello.
trascorrendo molto tempo da sola, iniziò a dipingere gli autoritratti, sostenendo essere quello il soggetto meglio conosciuto. L’essere sfuggita alla morte le impose una rinascita. Frida fu costretta a confrontarsi con la sua immagine allo specchio, con il dolore per le sue gravi condizioni di salute, con l’angoscia e la disperazione, e decise con coraggio di ricominciare daccapo, di dipingere le cose come le vedeva, animate da un sentimento positivo e da un’esigenza di bellezza che riversava sui soggetti dei suoi dipinti, quali la natura, gli animali, i colori, i fiori e anche i suoi autoritratti.
Verso la fine del 1927, poi, Frida riprese una vita “normale”, ritrovò i suoi compagni che, nel frattempo, frequentavano l’università, svolgevano attività politica e partecipavano a incontri con Julio Antonio Mella, comunista cubano in esilio in Messico, compagno della fotografa Tina Modotti. Tramite lei, nei primi mesi del 1928, Frida conobbe Diego Rivera, determinante per la sua vita e per la sua produzione artistica. Lei gli mostrò le sue tele, lui la spronò a continuare a dipingere, intuendo che si trattava di una vera artista.
L’irruzione di Rivera nella sua vita la aiutò ad avere più fiducia in se stessa e a nutrire una sorta di orgoglio di esistere, rappresentato anche nello splendore di alcuni disegni e dipinti. In quell’anno Frida si iscrisse anche al Partito Comunista, sostenendo la lotta di classe armata del popolo messicano.
Frida e Diego si sposarono il 21 agosto del 1929, lui aveva 42 anni lei 22. Frida entrò in contatto con artisti e intellettuali che sostenevano un’arte messicana indipendente e raffigurò nei suoi autoritratti abiti, orecchini e collane che testimoniavano gli influssi culturali precolombiani e coloniali.
Frida Kahlo morì la notte del 13 luglio 1954, a 47 anni, a causa di un’embolia polmonare. La sera prima aveva dato a Diego Rivera il regalo per le nozze d’argento che avrebbero festeggiato il 21 agosto successivo.