Nunsfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe, viene detto a chi fa di tutto per mettere alla prova la pazienza di un’altra persona,
Oggi Lucio Sandon ci parla della pazienza di San Giuseppe.
La mattina del 6 gennaio 1734, don Francesco Cerio, don Domenico Orsino e don Nicola Antonio Carafa, a causa di un acquazzone imprevisto si videro costretti a rinunciare al programma di una gita in campagna. Rifugiatisi presso il chiostro del monastero dei Padri Carmelitani Scalzi, sito all’altezza dell’odierno Museo Nazionale, venne loro l’idea di destinare il denaro previsto per la scampagnata a una qualche opera di bene, e iniziarono con un mendicante coperto di stracci e assai sofferente, seminudo sotto le sferzate della pioggia, poi continuarono dando vita a un sodalizio destinato a rivestire i poveri nudi e vergognosi.
La chiesa di San Giuseppe de’ Nudi, sulla collina di san Potito è uno scrigno di arte e di tesori: oltre centotrenta dipinti, con opere del Parmigianino, di Luca Giordano, di Andrea Vaccaro, e poi una raccolta di reliquie unica in Italia: paramenti, calici e candelabri antichi e ricchi di storia. Però la reliquia più importante si trova in una bella teca di legno: protetto da un cristallo lucidissimo c’è il bastone che il marito della Vergine Maria usò per aiutarsi durante il percorso che lo condusse a Betlemme.
San Giuseppe viene da sempre descritto come un uomo anziano, buono e gentile, paziente più di ogni altro e sempre umile con tutti, e spesso raffigurato con una lunga barba ed un bastone di legno, a indicare la sua età avanzata rispetto alla consorte. Cosa centra allora il bastone di San Giuseppe con la pazienza?
Il Protovangelo di Giacomo descrive il primo incontro fra Maria e Giuseppe, lui piuttosto avanti con gli anni, mentre Maria era una fanciulla che viveva nel tempio di Gerusalemme: quando Maria ebbe raggiunti i sedici anni, il Sommo Sacerdote chiese a Dio cosa fare della ragazza, e Dio gli ingiunse di convocare al tempio tutti gli scapoli della Giudea: un segno miracoloso avrebbe indicato lo sposo per Maria. Anche Giuseppe si presentò, e non appena varcata la soglia del tempio,dal suo bastone cominciarono a sbocciare dei gigli. Nonostante le sue proteste, Giuseppe dovette accettare la volontà di Dio che si era manifestata in modo così evidente. Tale episodio ha sempre stuzzicato la fantasia popolare, e in uno dei canti più originali del repertorio della Chiarastella, Giuseppe spinto dall’ira, chiede di trasformare il suo bastone in spada per colpire Maria, allorché ritornato dopo un viaggio la scopre incinta. In dialetto napoletano, il geloso Giuseppe parla così alla giovane consorte:«Comme hai fatto chisto tradimento cu sta faccella doce e ’mmaculata? Je t’accidesse dento a stu mumente, cu sta spada grossa e affilata».
Per fortuna l’intervento dell’Angelo rassicurò Giuseppe, che di fronte alla volontà di Dio si pentì umilmente e baciò con dolcezza la Vergine.
Nel 1712il famoso cantante castrato Nicolò Grimaldi in arte Nicolini, portò a Napoli dall’Inghilterra una preziosa reliquia: il vero bastone appartenuto a San Giuseppe. Lo aveva ricevuto con atto notarile rogato a Londra dagli eredi del conte Hampden del Sussex, il quale a sua volta l’aveva sottratto ai carmelitani che lo custodivano per conto di un crociato tornato dalla terrasanta. L’autenticità del reperto era avallata da un episodio miracoloso che vide salva in un rovinoso incendio la sola stanza in cui il bastone si trovava. Grimaldi custodiva la reliquia nella cappella privata del suo palazzo e per far fronte alle pressanti richieste, esponeva alla venerazione dei fedeli il bastone di San Giuseppe. Naturalmente ognuno voleva vedere la reliquia e perfino il vicerè austriaco, Maurizio d’Elboeuf principe di Lorena, si mise in fila per poterla sfiorare. C’era però chi sfregava con forza il bastone nel tentativo, spesso riuscito, di staccarne un pezzetto. A gestire l’ostensione della reliquia era ilmaggiordomo di Nicolini, un venezianodi nome Andrea Mosciano, il quale quando qualcuno diventava troppo insistente nelle effusioni verso il prezioso legno, faceva la voce grossa, e con marcato accento veneto invitava i fedeli a No sfregolar la massarella, a non sfregare la mazzarella. Nel 1734 Nicolini in punto di morte, decise di affidare il bastone a suo cognato, chiedendogli di tutelare in ogni modo la reliquia: costui pensò che il modo migliore per proteggerla sarebbe stata affidarla ai Carmelitani di San Giuseppe de’ Nudi. Da quel momento però, la Mazzarella di San Giuseppe non venne più esposta al pubblico, anche se si continuò a nominarla per descrivere casi di particolare petulanza: Nunsfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe, viene detto a chi fa di tutto per mettere alla prova la pazienza di un’altra persona, magari insistendo nel parlare di argomenti imbarazzanti per l’interlocutore. Può essere anche inteso come un “andarsela a cercare” cioè persistere in un’attività pericolosa, come dare fastidio ad un cane mordace, oppure provocare qualcuno particolarmente incline alla collera.
Ora, dopo diversi secoli il bastone di San Giuseppe, quel legno lavorato con forme di gemme e restaurato per cancellare i segni degli sfregamenti di trecento anni fa, appartenuto al compagno di viaggio della Madonna e finito a Napoli in circostanze misteriose, e infine trasformato in motto popolare ha ritrovato il posto che gli compete nell’immaginario collettivo, nella sede del Real Monte e Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di San Giuseppe de’ Nudi.