La regina di Tebe, Annamaria Zizza

La regina di Tebe, Annamaria Zizza. Marlin Editore

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“Dove c’è stata devastazione, il racconto ricostruisce una forma, ritessere i fili, ristabilisce i collegamenti spezzati. Il racconto è zattera in mezzo al naufragio, arca di Noè dopo il diluvio, tenerezza al posto dell’orrore, voce anziché silenzio, giustizia contro la violenza, ordine nel caos, argine all’oblio. La vita continua nel tempo del racconto.”

Benedetta Tobagi

La magia del racconto sta nell’intenzione di far conoscere ai posteri fatti, eventi e circostanze che si sono verificati in un determinato momento storico, ma anche i retroscena che hanno contribuito a determinarne l’accaduto. Quasi sempre, la componente emotiva, sentimentale e passionale si somma con quella razionale, logica e che presenta finalità pratiche: di conseguenza, non di rado, i piani pragmatici possono saltare, lasciando al fato l’ultimo lancio di dadi…

Corre l’anno 1323 a. C., a Tebe, e qualcuno ha ritenuto opportuno prendere nota degli avvenimenti del momento, corredati da una serie di dinamiche ignorate dai molti.

“…sono nato nella lontana terra di Mesopotamia, in un oscuro villaggio di pescatori sulle rive dell’Eufrate. Il mio vero nome è Kirgash, ma nessuno mi chiama più così. Per gli egizi, che mi hanno accolto con qualche sospetto quando arrivai alla Casa della Vita, sono Menthuotep, lo scriba, lo straniero. Ma dentro di me non so bene chi io sia: se il giovane accadico arrivato pieno di speranze a Babilonia per studiare e fare fortuna, entusiasta della vita e delle sue opportunità, ambizioso e a volte arrogante come i giovani sanno essere; o l’uomo posato che sono diventato, rispettato da tutti ma in fondo solo. Eppure non è stato sempre così: ho avuto una famiglia, dei genitori e una sorella che mi hanno amato e che mi hanno lasciato andare, anche se con dolore, perché il destino dei figli e dei fratelli è spesso lontano. E ho avuto una moglie e un figlio che mi hanno lasciato troppo presto perché potessi farmene una ragione, sempre che della morte di un essere amato ci si faccia una ragione (…). Avevo imparato dai miei maestri tutti i segreti dell’astronomia, il moto delle stelle, le costellazioni, ma anche i caratteri sacri del lontano Egitto, la terra benedetta dal Nilo (…). Avevo scoperto casualmente gli effetti benefici della corteccia del salice: dopo averla raccolta, la facevo seccare e poi la pestavo nel mortaio fino a trasformarla in una polverina biancastra e sottile. Aggiunta in minima quantità ad un bicchiere d’acqua faceva sparire il mal di testa. Quella e altre erbe medicinali mi consentirono di essere invocato da ogni parte, persino da corte. Ero già diventato in pochi anni un medico importante, ma evitavo la chirurgia (…). Per questo mi ero specializzato nella medicina delle erbe e nell’ascolto dei miei pazienti, perché tutto risiede nell’anima, anche la malattia, che è figlia dell’infelicità.”

Una persona straordinaria e insolita, dunque, Menthuotep, che riesce a scrutare anche nell’animo umano, a carpirne le emozioni, le sensazioni ed eventuali indizi, testimoni di un malessere intimo che però si ripercuote sul corpo. E proprio per le sue molteplici doti, la Grande Sposa Reale, Ankhesenamon, vedova giovane e bellissima del faraone Tutankhamon, che non è riuscita ad avere figli, si rivolge a lui per un aiuto: vuole che sia proprio lo scriba a inviare una lettera al re degli Ittiti, Suppiluliuma, chiedendogli esplicitamente la possibilità di lasciarla sposare ad uno dei suoi figli, affinché il regno possa godere di pace e fratellanza e magari avere anche il tanto agognato erede al trono. Gli Ittiti si insospettiscono: può essere una trappola? Perché la giovane vedova non accetta di sposare il potente visir Ay? La mediazione di Menthuotep è provvidenziale: quel popolo ormai conscio della sua potenza, soprattutto sui campi di battaglia, nei quali si distingue perché è l’unico a conoscere il segreto della tempratura del ferro con cui si differenzia rispetto agli altri che costruiscono ancora le loro armi con il bronzo, accetta la proposta inviando uno dei suoi figli, Zannanza. E la scelta ricaduta sul giovane non è stata un caso: la babilonese Malnigal, sposa di Suppiluliuma, che ha preso il posto della madre dei figli del re ittita, esperta di magia nera, subdola e imprevedibile, con i suoi atteggiamenti ambigui ha concorso, in modo più o meno consapevole, nella decisione. Eppure, non di rado, gli dèi, il fato o chi per essi, giocano un ruolo determinante e mutano irreversibilmente tutti i piani…

Questo è stato certamente un romanzo che mi ha molto appassionata. La narrazione è perfetta, precisa, accattivante e la descrizione dei personaggi, dei luoghi, delle usanze, dei profumi, dei cibi e delle bevande, mi ha fatto catapultare indietro nel tempo, rendendomi una spettatrice presente che contemplava gli stessi panorami, che si soffermava sulla stessa bellezza dei colori della flora e della fauna, che udiva il medesimo sciabordio del fiume, che ammirava le fatture perfette e raffinate degli abiti indossati dai protagonisti. L’intreccio è straordinario, ricco di storia e di innumerevoli e immancabili colpi di scena. Un ruolo determinante è sicuramente occupato dalle due giovani figure femminili di spicco: da un lato Ankhesenamon, che vorrebbe garantire la pace nel suo Paese, ad ogni costo, dall’altro Malnigal, donna ambigua e scaltra, intenzionata a vivere un amore appassionato e “fresco”.

Una bellissima lettura, che esprime conoscenza, passione, entusiasmo e voglia di condividere un sapere antico, che a volte va anche oltre la comune nozione, oltre ogni passato…

“Perché l’anima ha i suoi tempi di guarigione, che gli uomini non conoscono, e a volte non guarisce mai.”

“…Stavo solo ricominciando a vivere, come accade ai mortali, perché siamo fatti per godere dei piaceri della vita e della luce del sole, finché splende. Dei profumi sprigionati dai fiori, dell’amicizia sincera, dell’amore per un uomo o una donna che duri per il tempo che gli dei concedono. Perché privarsi di tutto ciò e rimanere imprigionati, come un pesciolino nella rete di un pescatore, nelle memorie dolorose di un passato che non potrà tornare?”

“…anche io stavo cercando di liberarmi a fatica dalle catene del passato, ma attento a trattenere nel cuore ciò che del passato era ancora vivo in me e mi faceva respirare in tutta la sua bellezza e imprevedibilità.”

La storia inizia a Tebe, capitale dell’Egitto, nel XIV secolo a.C. La bellissima e giovane regina Ankhesenamon, vedova di Tutankhamon e senza figli, nel tentativo di pacificare il suo Paese e di dare un erede al suo regno, fa una mossa pericolosa e spregiudicata. Ordina allo scriba Menthuotep, un babilonese dal passato oscuro e doloroso, di inviare una lettera al re degli ittiti, affinché le lasci sposare uno dei suoi figli. Dell’iniziativa vengono lasciati all’oscuro sia il potente visir Ay, che il generale Horemheb, che ambiscono al trono. Gli ittiti sono sorpresi dal contenuto della lettera: pensano a una trappola da parte degli egizi e temporeggiano, ma alla fine vengono convinti da Menthuotep, inviato dalla regina in qualità di ambasciatore, e accettano la proposta. Aspettano da tempo di conquistare l’Egitto. Sanno di essere più forti in battaglia perché conoscono il segreto della temperatura del ferro ancora ignoto agli altri popoli. Il re ittita, che ha sposato la babilonese Malnigal, esperta di magia nera, pericolosa quanto ambigua, invierà uno dei suoi figli, Zannanza, ma la conclusione della vicenda sarà sorprendente per tutti i protagonisti. Tra intrighi e amori proibiti, drammi personali e avventure, si dipana una storia vera e affascinante, finora sconosciuta.

Autore: Annamaria Zizza
Editore: Marlin (Cava de’ Tirreni)
Collana: Vulcano
Anno edizione: 2023
In commercio dal: 10 marzo 2023
Pagine: 272 p., Brossura
EAN: 9788860431868

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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