L’arte della gioia, Goliarda Sapienza

L’arte della gioia, Goliarda Sapienza. Einaudi editore

“La memoria del cuore elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli buoni, e grazie a questo artificio, siamo in grado di superare il passato.”

Gabriel García Márquez

“L’arte della gioia” è un romanzo dalle variegate sfaccettature, scritto da una donna che non vedrà mai pubblicata la sua opera, la cui protagonista, nata con in seno il verbo rivoluzionario, tramuta un semplice libro in un’opera d’arte.

Siamo agli inizi del ‘900. Modesta, nata povera in una terra povera, narra la sua vita, infelice, grama, quasi vuota. Ha una sorella, Tina, che non parla perché venuta alla luce con un grave disturbo. E anche la madre è di poche parole: se ne sta in un angolo, col capo chino, a cucire e a rammendare. Nessuna carezza per Modesta, nessuna considerazione per una figlia che si sta affacciando alla vita. Solo parole taglienti e frasi amare…

“È una disgrazia nascere femmine, ti viene il sangue e addio salute e pace! Quelli non cercano che il loro piacere, ti squartano da cima a fondo e non si saziano mai.”

Ma Modesta vede orizzonti dove le impongono confini: quella miseria, non solo di vestiti nuovi e di cibi succulenti, ma anche e soprattutto di dialogo, di idee, di sapere, la soffocano. Lei è donna, certo, ma non vuole essere relegata a un ruolo limitato e atavico, che mortifica la sua innata intelligenza. La ribellione divampa come un incendio. E un incendio le porterà via madre e sorella, zavorre per la sua seta di libertà. Per Modesta di apriranno le porte del convento e finirà sotto l’ala protettrice di madre Leonora.

“Devi sapere che madre Leonora è di una di quelle casate più antiche per nobiltà e ricchezza della nostra isola. Il nome non te lo posso dire perché, come tu sai, noi prendendo i voti non abbiamo più parenti. Ti meravigli? Questa tua meraviglia mi conferma quanti atti di umiltà madre Leonora ha dovuto fare dentro di sé per levarsi quella superbia che doveva avere.ho visto sua madre io, una volta. Che superbia! Bella come lei, con gli stessi occhi, la stessa fronte, lo stesso naso. E poi, anche tu, come credi che avresti potuto restare qui dopo quella notte che Tuzzu e suo padre ti portarono? Loro dicono perché il convento era vicino, ma io credo per paura della forza pubblica. Allora come credi che sei rimasta qui? Ma per la potenza di madre Leonora! Se sapessi quanto ha lottato, dopo, per tenerti qua e non mandarti in qualche orfanotrofio pieno di cimici e di fame. Certo, non lo dovrei dire, perché pure gli orfanotrofi sono tenuti dalle suore, ma tu lo sai come sono io: non posso non dire pane al pane e vino al vino. Il fatto è che questi orfanotrofi sono tenuti da suore povere, di bassa estrazione. Gentuccia che viene o dalle campagne o dagli stessi orfanotrofi pezzenti. Non è come qui da noi. Anche questo non lo dovrei dire, che Dio mi perdoni, ma qui non ce n’è una che non sia almeno figlia di un barone. Anche le straricche qui piede non ce l’hanno mai messo e non ce lo metteranno mai.”

I pregiudizi sono come la gramigna: spuntano ovunque e sono difficili da sradicare e comunque, anche qui, Modesta fa presto a riconoscere atteggiamenti ambigui e sicuramente non consoni al contesto e, sfacciatamente, li rivela senza esitazioni. Questo suo modo di fare la metterà in cattiva luce, ma la giovane è astuta e non vuole allontanarsi da quelle mura che la isolano dal mondo, non fosse altro che per continuare a studiare e a formarsi. La brama del sapere si è impossessata di lei e non le lascia scampo.

“…dovevo studiare per conto mio. Io povera sono. Povera, e devo farmi forte col leggere e studiare, cercando in me e negli altri la chiave per non soccombere. Ce ne erano stati tanti che, nati poveri, si erano salvati con l’ingegno e la forza che dà il sapere.”

Ma Modesta è anche molto ambiziosa, e non si fa scrupoli. La sua sopravvivenza, la sua voglia di emergere prevale su tutto e tutti. E quando madre Leonora muore, la giovane è contemplata nel testamento della religiosa: prima di far parte della schiera del Signore, la suora vuole che Modesta conosca il mondo, in modo da poter decidere liberamente. Ed è così che si ritrova nella villa appartenente ai Brandiforti, casata importante, dove conosce la principessina Beatrice con cui instaura un rapporto particolare…

“Abbandonandomi a lei, uscivo da quell’inferno di dubbi e bende e muri di lava. Il convento s’allontanava quando la fissavo negli occhi, sprofondava dietro di me e rivedevo le stelle. Che fosse quello il Paradiso, l’amore? Certo, quando mi abbracciava tutto girava intorno a me. Non era come con Tuzzu o con madre Leonora. Una tenerezza mai conosciuta mi faceva essere tranquilla fra quegli alberi che giravano intorno al sole, sicura di non sprofondare. Se mi spogliava sapevo da lei che colore aveva la mia pelle, quanti nei la mia schiena (…). Non volevo più andare via adesso che Beatrice mi baciava tutto il corpo nudo, e che anch’io potevo baciarla sempre e quando volevo. Che importava se anche quella casa non era in fondo che un convento, e se non c’erano uomini? Che mi importava degli uomini ora che avevo lei? Là dove dovevo tornare avrei avuto solo quell’amore solitario che ora sapevo come si chiamava: masturbazione. Che cosa triste, da monaca pensai…”

Ancora troppo giovane, anche se scaltra, Modesta non può non sovrapporre avvenimenti del presente con eventi del suo passato. I ricordi si fanno strada, prepotenti, e la inducono a pensare e a riflettere…

“Ecco come tornava il passato, non con gli stessi personaggi, come nei romanzi, ma con altri nuovi che ci portano il ricordo di paure non cancellate. E questo era molto pericoloso. Non dovevo cercare di dimenticare il passato, ma anzi ricordarlo sempre tutto, così da tenerlo sotto controllo e farmene una forza contro i nuovi incontri che sicuramente mi aspettavano al varco (…). Ecco la strada giusta: bisognava, così come si studia la grammatica, la musica, studiare le emozioni che gli altri suscitavano in noi.”

E quando non si hanno barriere mentali, ci si lascia andare senza indugi né remore: ecco, Modesta è fatta così. E non può non cedere alla passione che nasce con Carmine, un uomo maturo, che in quella tenuta si occupa dei cavalli e dal quale avrà un figlio che chiamerà Eriprando. Ma ancora una volta la sorte la assiste, e un matrimonio fittizio la vedrà a capo di una delle famiglie più in vista dell’epoca. E l’amore?

“…di fronte al ricordo di una delle tappe d’obbligo che la vita ci impone: quella di essere abbandonati o di abbandonare, di tacere l’episodio dell’abbandono di Carmine (…). Soffrii esattamente come tutti. Ma l’amore non è assoluto e nemmeno eterno (…). Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali. E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizioni, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe giorno per giorno: l’odio di scoprirsi ingannati.”

Intanto gli anni passano, inesorabili, e Modesta si ritrova a vivere lo spettro della guerra. Dopo il primo conflitto mondiale, subentra anche la guerra voluta da despoti come Hitler e Mussolini, che tutto muta e distrugge: territori, strutture, animi e persone. E lei è lì a combattere la sua personale e forse, inconsapevolmente, quella di tantissime altre donne.

“…la guerra si sposta lenta, ma tutto cancella, tutto fa deserto: case, colture, sentimenti. Com’è la guerra? Schifosa! Quanto sangue ho visto! Schifosa, ma anche entusiasmante a volte. È uno stordimento eccitante, una grande sfida a te stesso e alla natura tutta, quando esci dalla trincea, intendo, e vai all’attacco tutti insieme. Poi viene la grande calma della trincea, del fango, della polvere, come una sonnolenza che cova l’ansia dell’azione. Mentre aspetti, credi di riposare, di essere contento del silenzio, ma quando cominciano a sparare in un lampo capisci che solo quello aspettavi, che avevi fame di gridi e di colpi di granata. Eh! È anche bella la guerra. A volte sta vita mi pare tutta un’attesa in una trincea melmosa.”

In una storia cadenzata a ritmo lento ma estremamente profondo, si fa largo quasi con prepotenza la storia di una donna dal temperamento forte e ribelle, che non accetta di piegarsi alle tradizioni maschiliste che limitano e mortificano l’anima. È rivoluzionaria, fuori e dentro casa, fuori e dentro sé stessa. Viaggia, esplora, intrattiene dialoghi e rapporti di varia natura con uomini e donne, subisce l’umiliazione del carcere per poi tornare a riassaporare la libertà e la bellezza del cielo terso e del mare cristallino della sua terra, quella terra che è un po’ come la sua anima: martoriata, ferita, talvolta sanguinante, ma sempre fiera e orgogliosa. Durante il corso della sua vita ha appreso tanto, sia dalle esperienze, sia dai libri, sia anche dai posti sconosciuti che ha visitato. Ma ancora e sempre si interroga sull’amore, sul senso del termine, sulla profondità del sentimento. Inaspettato arriva, incomprensibilmente se ne va. Imprevedibile, ingestibile, travolgente o quieto, non lo si può comprendere a fondo. Anche ora come allora e, forse, come sempre.

Un romanzo appassionate, erotico ed eroico, che fa di una donna qualunque la donna per eccellenza.

E qui è la differenza…

L’arte della gioia è un libro postumo: giaceva da vent’anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato dai principali editori italiani, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscí all’estero – in Francia, Germania e Spagna – ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo, tutto ruota intorno alla figura di Modesta: una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana, una «carusa tosta» in cui si fondono carnalità e intelletto, che attraversa bufere storiche e tempeste sentimentali protetta da un infallibile talismano interiore: «l’arte della gioia». Modesta nasce il primo gennaio del 1900 in una casa povera, in una terra ancora piú povera. Ma fin dall’inizio è consapevole, con il corpo e con la mente, di essere destinata a una vita che va ben oltre i confini del suo villaggio e della sua condizione. Ancora ragazzina è mandata in un convento e da lí, alla morte della madre superiora che la proteggeva, in un palazzo di nobili. Qui il suo enorme talento e la sua intelligenza machiavellica, le permettono di controllare i cordoni della borsa di casa, e di convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza mai smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale.

Goliarda Sapienza nacque a Catania da famiglia socialista rivoluzionaria. A partire dai sedici anni visse a Roma, dove studiò all’Accademia di Arte Drammatica. Negli anni Cinquanta e Sessanta recitò come attrice di teatro e di cinema lavorando, tra gli altri, con Luchino Visconti (in Senso), Alessandro Blasetti e Citto Maselli. Al suo primo romanzo, Lettera aperta (1967), seguirono Il filo di mezzogiorno (1969), L’Università di Rebibbia (1983), Le certezze del dubbio (1987) e, postumi, L’arte della gioia (Stampa Alternativa 1998 e Einaudi 2008 e 2009), Il destino

Autore: Goliarda Sapienza
Editore: Einaudi
Collana: Super ET
Anno edizione: 2014
Formato: Tascabile
In commercio dal:10 febbraio 2014
Pagine: 540 p.
EAN: 9788806219673

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.