Federico Fabbri nel suo nuovo libro ci torna a parlare di quegli argomenti che ormai i suoi lettori conoscono: l’amicizia e la diversità ma lo fa in una storia avventurosa che si svolge tra l’Italia e l’Africa.
Il romanzo “L’inferno non ha nuvole” può essere suddiviso in due parti: in una si parla di Santa Sofia e della Romagna da cui traspare il legame dell’autore con la propria terra e le proprie origini. Santa Sofia si impara a conoscerla per la sua accoglienza e calore, un piccolo paese che accoglie chi è straniero di quei luoghi invitandolo a farne parte integrante coinvolgendolo nelle varie tradizioni e abitudini. Il piccolo paese quindi è metafora di apertura, condivisione e collaborazione e non come spesso accade di chiusura.
Da questa prima parte introduttiva e tranquilla si passa a un racconto più avventuroso in Africa e precisamente nel deserto del Kalahari dove a guidare il protagonista saranno l’istinto di sopravvivenza, il desiderio di riabbracciare la propria famiglia e l’amicizia con due indigeni.
Il protagonista del romanzo è lui stesso: Federico che inizialmente rende omaggio al suo amico scomparso in un tragico incidente descrivendolo parte integrante del romanzo.
La scrittura è semplice e scorrevole. Ho apprezzato molto le descrizioni del deserto, del cibo e degli indigeni. Sembrava davvero di essere lì. Leggendo questo libro ho anche avuto la possibilità di approfondire alcuni temi e conoscere nuovi argomenti.
Il titolo del romanzo è senz’altro una metafora. Per me l’inferno in questo racconto può essere il deserto perché come dice lo stesso autore: “Non ci sono nuvole nel cielo africano nessun paradiso solo un inferno sotto una terra che brucia.”
Miriam Salladini
Titolo : L’inferno non ha nuvole
Autore : Federico Fabbri
Editore : Les Flaneurs Edizioni
Collana : Bohemien
Prezzo : € 16
Federico Fabbri, nato nel 1978 a Santa Sofia, nel cuore della Romagna, si avvicina alla scrittura sin da ragazzo, quando inizia a fissare su carta pensieri ed emozioni. Quelle pagine vengono pubblicate, a distanza di anni, nella sua prima raccolta di poesie, “Sino alla fine”, dedicata al ricordo dell’amico fraterno Denis. Segue un secondo lavoro intitolato “PerSino poesie”. Nel 2014 lascia la poesia per cimentarsi in una autobiografia ironica nella quale i confini fra verità e finzione sono molto labili: “La mia vita durata 90 anni”, scritta a 36, finita di scrivere a 37, un’opera che sfugge alle regole della comprensione, che si beffa del tempo, che si riscatta in un finale inaspettato, profondamente radicato.
La trama
Denis arriva in un piccolo paese di montagna in un caldo pomeriggio d’estate. Solo, con uno zaino semivuoto, viene accolto a braccia aperte dalla comunità e si sente subito a casa. Sfogliando le pagine della sua vita, alcune cancellate dal tempo, ritroverà affetti e verità a lui sconosciute. Raggiunta la tranquillità e una vita stabile, sente però il richiamo di una terra lontana, che lo porterà ad affrontare nuovamente sé stesso in un’avventura ai limiti della resistenza fisica e psicologica. In quella perenne ricerca di sé e dei propri limiti