Autore: Giorgio Saviane
Titolo: L’inquisito
Editore: Lerici Editore
Anno: 1961
Pagg. : 137-Tascabile
Romanzo breve, pubblicato nel 1961, in cui Giorgio Saviane affronta un delicato tema sociale, quello della giustizia e del sistema processuale fondato sul rito inquisitorio.
“In un processo come il suo, le chiacchiere sono prove” …… […..] ….. ” Sa, il giudice istruttore ha depositato la sentenza. Vittoria completa, assolto perché il fatto non sussiste…….. “
L’Inquisito racconta con stile quasi kafkiano, l’uomo coinvolto nell’infernale macchina della legge, che diventa essenzialmente il testimone d’accusa contro i suoi stessi giudici.
Un romanzo su due livelli, dove si ha la sensazione di leggere due racconti contemporaneamente: quello relativo a come sono realmente andati i fatti, e quello onirico, fantasioso, di un uomo indagato e accusato ingiustamente che, in una sorta di delirio introspettivo, in bilico tra vergogna e dolore, frustrazione e rabbia, angoscia e paura, al limite di una alterazione psichica dettata dall’infamia pubblica che lo condanna prima di una sentenza giuridica, con tutte le conseguenze che ne derivano sia a livello personale che sul piano lavorativo e sociale, sogna la vendetta. Immagina di farsi giustizia da sé uccidendo, dopo aver comprato una rivoltella, all’interno del Palazzo di Giustizia, il giudice istruttore che lo ha condannato senza sentenza facendo trapelare infamità e notizie false sul suo conto.
“Mi alzai quella mattina, sicuro: la decisione era maturata nell’insonnia. ….. Uscii diretto al negozio d’armi, in via Condotta. ……. Chissà se mi avrebbero venduto la rivoltella: forse avevano l’obbligo di chiedere il porto d’armi. …. In bell’ordine, erano esposte in vetrina le rivoltelle. Le esponevano, le avrebbero anche vendute: ero un cliente per loro, non un assassino. …… dovevo liberarmi dall’ingiustizia. ……”
Il lavorio mentale di Luca, protagonista principale del romanzo, va oltre, galoppando sulle conseguenze di un tale gesto e alternandosi tra incubi, deliri e realtà finisce col mostrare la linea sottile tra accusa e difesa, oltre che rivelare la caducità dell’essere umano e la lotta spasmodica e assurda per dimostrare la propria innocenza, al di là delle apparenze, senza tralasciare le cicatrici morali che un atto di ingiustizia lascia nel cuore e nell’animo di ignare vittime di un potere frettoloso e poco incline alla tutela del debole. Un racconto che fa riflettere anche e soprattutto su quanto, a quasi 60 anni dalla pubblicazione, in realtà poco o nulla sia cambiato.
Teresa Anania
Giorgio Saviane, scrittore italiano nato a Castelfranco Veneto il 16 febbraio 1916 e morto a Firenze, il 18 dicembre 2000, dove è sepolto nel cimitero monumentale delle Porte Sante. Nel Veneto trascorse l’infanzia e l’adolescenza e compì i suoi studi, prima in un collegio di Treviso gestito da religiosi, poi nelle scuole pubbliche di Padova. Il breve ma intenso e travagliato soggiorno in collegio segnò profondamente la formazione del giovane Saviane, Da qui una prima giovanile ribellione al conformismo d’ogni genere, anche politico, con conseguenze pratiche piuttosto clamorose». Tra queste, l’espulsione dal Partito nazionale fascista. Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita all’università di Padova, gli fu interdetta l’iscrizione all’albo dei procuratori. Durante la seconda guerra mondiale, partecipò alla guerriglia partigiana in Valtellina. Al termine del conflitto si trasferì a Firenze, dove avrebbe trascorso il resto della sua vita. Dopo aver trovato lavoro come avvocato civilista presso uno studio legale, ben presto si affermò e svolse una brillante attività professionale. Non altrettanto fortunati furono i suoi tentativi di dare alle stampe i suoi primi lavori letterari. Gli riuscì infatti molto difficile ottenere un minimo di attenzione da parte degli editori, almeno fino alla pubblicazione da parte di Guanda del suo primo romanzo Le due folle (1957), che ebbe peraltro una diffusione modesta. Quattro anni dopo, ebbe invece una vasta risonanza il romanzo L’inquisito, grazie anche al contenuto giuridico e, in particolare, alle problematiche di tipo inquisitorio con amare riflessioni sulla precarietà della giustizia, se non sulla sua inattingibilità. Il successivo romanzo Il Papa (1963) fu finalista al Premio Strega e vincitore del Campiello. Da questa narrativa emerge una sofferta introspezione spirituale che contraddistinguerà anche la sua produzione successiva. Con la notorietà ebbe inizio anche la collaborazione a quotidiani come Il Tempo e Il resto del Carlino e a riviste come Uomini e libri e La Fiera letteraria. Seguirà un lungo periodo di studi e letture storiche, filosofiche e antropologiche, che saranno di supporto al nuovo romanzo Il mare verticale (1973) pubblicato da Rusconi con ampia introduzione di Carlo Salinari. Dal romanzo Eutanasia di un amore edito nel 1976 fu tratto due anni dopo il film omonimo, diretto da Enrico Maria Salerno, che suscitò reazioni controverse. Il libro fu invece premiato con il Premio Bancarella nel 1977. Qualche suo romanzo è stato tradotto in diverse lingue e molti suoi racconti furono inseriti nei testi scolastici negli anni ottanta del secolo scorso. Oltre alle lacerazioni psicologiche, nella narrativa di Saviane è ben riconoscibile una forte carica ideologica .Nei romanzi e nei racconti che seguirono negli ultimi due decenni dello scorso secolo (anni ottanta e novanta), l’ispirazione e l’intensità rappresentativa si affievolirono di molto, rispetto alla precedente produzione. Tuttavia, ciò non basta a spiegare il totale oblio seguito alla morte di questo autore, avvenuta poco prima del Natale del 2000.
TRAMA:
“Vorrei essere colpevole per respirare” afferma il protagonista coinvolto in un processo per l’accusa di un militante in un partito scandalistico. Nessun tormento equivale a quello dell’inquisito innocente. Il rogo ha una fine, l’innocenza non finisce mai di immolarsi: “per tutti gli anni del processo, ma anche dopo. Dovevo continuare a difendermi. Ma cosa vuol dire difendersi? E’ la storia degli uomini, dei lupi, dei petali. Ogni tanto giacciono nei colori dell’abbandono”