Non so se vi è capitato di soffermarvi, magari senza volerlo, su di un libro, uno della vostra libreria, uno che avevate letto un po’ di tempo fa e che, improvvisamente, attira la vostra attenzione con la sua vecchia copertina.
Qualche settimana fa, mentre cercavo un volume della quadrilogia “L’amica geniale” della Ferrante sono stata catturata dal romanzo “L’uomo che guarda” di Alberto Moravia.
Dal 1989, anno in cui è entrato a far parte della mia biblioteca, l’ho riletto solo in questi giorni: echi di emozioni del passato si sono via via intrecciati con assonanze di scenari incredibilmente attuali.
“L’uomo che guarda” racconta di un professore universitario, Dodo, che vive “guardando la vita” nei rapporti e nelle vicende che “gli accadono”.
Un voyeur di trentacinque anni, convinto che l’osservazione di quello che giunge al suo intelletto mentre lui sta vivendo, sia il modo più gratificante di essere al mondo: un figlio che si relaziona col padre, barone dell’Università, spiandone i comportamenti, nonostante il sentimento di odio amore che prova per lui; un marito che, come uno spettatore curioso, segue con occhi morbosi il comportamento della moglie Silvia, ricostruendone gli indizi di un rapporto incestuoso; un uomo che cerca la trasgressione e il tradimento per potersi porre dinnanzi a quelle situazioni a guardarle con il puro intento di osservarne i comportamenti.
Attraverso la sua penna raffinata Alberto Moravia descrive il punto di vista di chi alla vita reale preferisce quella dello spettatore, quella di chi non trova gratificazione nelle emozioni derivanti dall’agire, preferendone la fruizione in terza persona.
“Bambino mi avveniva spesso di guardare a mio padre mentre si radeva e di essere colpito dalla precauzione con la quale passava il rasoio sulla verruca, attento a non tagliarsi. Ma il motivo vero del mio presente interesse per quella minima escrescenza della pelle è un altro. Poiché guardo alla guancia emaciata e tuttavia rossa, mi accorgo di provare inopinatamente e assurdamente l’impulso di colpire in faccia mio padre. Ma l’aspetto più curioso di questa tentazione è che essa appare slegata da qualsiasi sentimento ostile.”
Moravia è morto il 26 settembre 1990, qualche anno prima della nascita del voyeurismo a reti unificate, introdotto dalla televisione commerciale.
Un modo di fare televisione che si nutre di un atteggiamento alquanto simile a quello Dodo, il protagonista del suo romanzo: occhi che guardano altre persone che vivono, osservandone esistenze e incongruenze.
“Intanto Fausta si avvicina al letto e, pur tenendo per aria con una mano la siringa, con l’altra tira via con un solo strappo le coperte dal corpo disteso e immobile di mio padre. Troppo immobile, non posso fare a meno di pensare, perché lui dovrebbe almeno aiutare Fausta a slacciarsi i pantaloni del pigiama e ad abbassarli fino alle ginocchia. Invece inspiegabilmente resta fermo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre Fausta, pur sempre con una mano sola, gli scioglie il cordone del pigiama e, a piccoli strappi, gli abbassa i pantaloni. Ora lui dovrebbe finalmente voltarsi, porgendo la natica; ma non lo fa e rimane fermo per un momento che mi pare interminabile, nudo dalla vita fino alle ginocchia, con il membro, al solito, in stato di semi erezione, adagiato ben in vista, tra l’arruffio del pelo pubico, sulla borsa dei grossi testicoli.”
Con il medesimo spirito, ma non con il medesimo carisma, la televisione commerciale, ma anche talvolta quella cosiddetta di Stato, ci hanno abituato, nel corso degli ultimi venti, venticinque anni, a vivere di emozioni e situazioni altrui, osservate e studiate fino agli aspetti più intimi.
L’andata in onda di programmi televisivi quali “Il Grande Fratello”, “Temptation Island”, “L’Isola dei Famosi” e di tanti altri che sono ben saldi nei palinsesti televisivi, ha generato un pubblico di molto simile ai cosiddetti “guardoni” che, spiando ciò che altre persone fanno dietro gli schermi televisivi, trova sublimazione dei suoi stessi bisogni.
Come disse Giuseppe Pontiggia, “Il voyeurismo televisivo ha raggiunto dei vertici impensabili perché la tendenza al guardare nell’intimità degli altri è tipicamente umana. L’uomo ha una forte curiosità per l’intimità altrui anche perché sorprende l’uomo nella sua spontaneità, l’uomo che non sa di essere osservato.”
Ma il voyeurismo non trova la sua espressione solo nella televisione, allargando i suoi ambiti di azione anche attraverso i Social, di cui è strumento fondante.
Cosa sono le pagine Facebook di ognuno di noi se non vetrine dove viene messa in scena una vita costruita nei minimi dettagli, al fine di pilotare le convinzioni altrui?
Si sceglie di sembrare allegri o tristi, si sceglie di apparire solitari o in compagnia, si sceglie di essere belli o di mostrare la bellezza di quello che facciamo, dalle torte alle foto, dalle poesie ai maglioni fatti a mano.
E chi si affaccia sulla nostra bacheca legge le nostre frasi, conosce i luoghi e le persone che abbiamo frequentato, gli oggetti che abbiamo realizzato, le foto che abbiamo scattato.
Appunto…guarda! Guarda una vita che non è la sua. Spesso la frammenta nei dettagli e alcuni li fa propri. Copia una frase, condivide un commento, nei casi più spregiudicati… “ruba” elementi che finiranno su altre bacheche, sotto altro nome.
A fronte di un discutibile interesse di entrare nella vita privata degli altri, la tecnologia ci ha dato un’infinità di strumenti per farlo, Facebook, Istagram, Tv, Youtube per dirne solo alcuni.
Non so se Moravia quando ha scritto il suo romanzo avesse già intuito verso dove la società sarebbe andata, ma una cosa è certa: un po’ di Dodo c’è in ognuno di noi e ognuno di noi è stato, almeno per una volta, un voyeur, un osservatore passivo dei fotogrammi della propria vita o di quella degli altri.
Perfino adesso, che siamo costretti a stare a casa, soggiogati dall’ostilità della Natura Matrigna, seguiamo in maniera compulsiva lo svolgersi di trasmissioni, spesso confezionate per diffondere più paura e ostilità verso gli altri che per veicolare notizie: siamo ancora una volta osservatori passivi di ciò che succede attorno a noi, in un circolo vizioso nel quale siamo bisognosi di nutrirci di immagini e notizie e, allo stesso tempo, soffocati da essi.
Ma, direbbe qualcuno, anche chi legge un libro in effetti entra nella storia dei personaggi e ne è coinvolto.E qui torniamo al romanzo di Moravia, da cui siamo partiti: chi si abbandona a un libro, perfino se il protagonista è un voyeur, come nell’ “L’uomo che guarda”, è un viaggiatore che parte per una nuova destinazione da esplorare, alla scoperta di emozioni, facendole proprie.
L’osservatore passivo dei nostri tempi invece è colui che scruta emozioni e vicende riguardanti la propria esistenza e quella altrui senza viverle in forma attiva, con un atteggiamento surrealmente molto simile a quello di uno studioso, di fronte a un fenomeno. E’ l’esatta espressione della nostra società, una società consumistica, dove si guarda, se ne fruisce e poi si accantona.
E nulla riesce a diventare definitivamente nostro patrimonio, perché tutto è fumoso e fuggevole.