Mappa di un viaggio verso l’agnosticismo: le “Torri d’avorio” edificate dalla fede.

Le torri d’avorio edificate dalla fede.

Sfido chiunque a negare che la parola fede non sia una delle più affascinanti della nostra
lingua: fides, il vocabolo latino da cui proviene, significa fiducia, convinzione, ma anche
onestà, promessa, impegno: un universo di concetti assoluti che eleva l’essere umano in
una dimensione di perfezione
Non a caso la fede è il principio cardine delle religioni e costituisce la linea di
demarcazione fra chi crede e chi non crede.E proprio per tali peculiarità, quello verso la
fede è uno dei percorsi più complessi che l’essere umano possa fare, ma anche tra i meno
facili da realizzare.
Qualche sera fa ho terminato un romanzo molto particolare, “La torre d’avorio”, di
Vincenza D’Esculapio, che mette il lettore proprio di fronte a queste tematiche: un’opera
decisamente originale, in quanto già il titolo genera una sensazione di enigmaticità, ma,
allo stesso tempo, accende la consapevolezza di maneggiare qualcosa di prezioso.
Nel mio rituale psicologico di lettrice, alla fine dell’ultima parola dell’ultima pagina, si fa
spazio nella mente una domanda che prelude l’elaborazione delle riflessioni; quando sono
sono arrivata alla fine di “La torre d’avorio”, si è affacciato urgente un interrogativo di
questo tipo: la fede si basa sulla convinzione di fondarsi su una sua specifica razionalità,
ma per essere autentica deve andare oltre di essa?
“La torre d’avorio” narra una storia complicata, la ricerca di Evelina, protagonista centrale
della storia e della costellazione degli altri personaggi che ruotano attorno a lei, di un
epicentro interiore, apparentemente trovato attraverso la fede, all’interno di un movimento
religioso, quello dei Testimoni di Geova.
Evelina è sicuramente una ragazza segnata da profonde ferite che si porta dall’infanzia,
ma la maggior parte dei partecipanti al movimento delineati dall’autrice sono palesemente
persone che non hanno subito particolari traumi: l’immagine che si ha è piuttosto quella di
un coacervo di uomini e donne che decidono di vivere la propria esistenza all’interno di
una compagine che, se da un lato li sprona ad avere contatti col mondo esterno per finalità
di proselitismo, dall’altro li scherma con muri invisibili, costituiti da principi religiosi e regole
istituzionali, che li tengono completamente al di fuori della realtà.

Per chi, come me, ha una visione decisamente laica della vita, sarebbe stato sicuramente
più semplice prendere le distanze da un’impostazione di questo tipo e relegare le vicende
narrate, peraltro dallo sfondo autobiografico, nelle esasperazioni tipiche delle sette.
Eppure durante la lettura del romanzo della D’Esculapio ho sentito agitarsi dentro di me un
vortice di stati d’animo, come se le sinapsi collegate alle emozioni fossero
continuativamente ed insistentemente sollecitate.
E ogni volta che mi imbattevo nella descrizione di un’emozione che esplicitava il
meccanismo attraverso il quale i protagonisti vivevano il rapporto con la fede, avvertivo
sempre più forte il bisogno di provare quel senso di appartenenza e di protezione che solo
una comunità solidale sa dare. E che grazie alla fede condivisa riesce a creare.
In pratica, un fascino irrazionale verso quella capacità di essere parte di un progetto
condiviso e pieno di certezze, che sicuramente un movimento come i Testimoni di Geova
ha.
E’ stato perciò inevitabile chiedermi come mai ormai è da tanto tempo che non mi capita di
avvertire sensazioni di questo tipo quando entro in contatto la Chiesa cattolica, della quale
faccio parte dalla nascita.Forse a causa del mio modo di vivere la fede, mi sono detta.
Ma cos’è in definitiva la fede? Secondo San Tommaso d’Acquino, la fede è “la
disposizione ad accogliere come vere le informazioni di cui non si ha una conoscenza
diretta, basandosi sull’autorità altrui”.
E non è è proprio ciò che accade sia per la Chiesa cattolica che fra i Testimoni di Geova?
Eppure la lettura di “La torre d’avorio”, che oserei definire quasi un romanzo verità (la
narrazione attinge a piene mani ad esperienze vissute), genera inevitabilmente l’esigenza
di sottolinearne le diversità.
Se infatti per entrambi i percorsi religiosi può valere il concetto espresso da San Tommaso
è anche vero che, come sostiene Sant’Agostino,  “la fede illumina il cammino che deve
essere percorso dalla ragione, introducendo alla verità, che poi deve essere indagata,
chiarita e spiegata con la ragione. D’altra parte la ragione spiegando e vagliando
criticamente la verità rivelata dalla fede rafforza e giustifica la fede stessa”.
Ed è quando si arriva, ad un certo punto della vita, a questo bivio che, probabilmente, per
taluni fra gli adepti dei Testimoni di Geova, inizia il processo di rivisitazione: la ragione
permea la fede, dando la chiave di lettura per comprendere che l’appagante appartenenza
ad un nido protetto che scherma dalla crudezza del mondo esterno non può e non deve
alimentarsi e soprattutto avere come prezzo da pagare la rinuncia alla libertà morale e di
pensiero.

Ma è anche vero che di quest’approccio accentratore non è scevra neppure la religione
cattolica, con la sua dogmaticità, soprattutto su alcuni principi ancora oggi profondamente
radicati.
Ed è anche vero che probabilmente al modo di “fare chiesa” dei cattolici manca un aspetto
che rende invece decisamente forte il rapporto con la fede dei Testimoni di Geova: la
missionarietà; si ha spesso infatti la sensazione che essere cristiano sia più un dato
anagrafico che un compito da svolgere .
“La fede necessariamente ti porta fuori, ti porta a darla: perché la fede essenzialmente va
trasmessa. Non è quieta”, sostiene invece Papa Francesco.
Dunque la fede non basta. Né per i cattolici, né per i Testimoni di Geova, né per altre
confessioni.
Non basta ad accettare una sudditanza psicologica a regole e precetti che impediscono
all’essere umano di sbagliare, cadere e rialzarsi secondo il proprio discernimento.
Non basta a sentirsi parte di un cammino dove coloro i quali dovrebbero guidarti si
arrogano il diritto di blindarti in un percorso, durante il quale spesso ti senti solo e
incompreso.
E forse è per questo che, arrivati alla conclusione del romanzo di Vincenza D’Esculapio, ci
si sente profondamente in sintonia con l’evoluzione e l’epilogo del cammino di Evelina, la
protagonista, che si consacra in modo indiscusso personaggio iconico dell’agnosticismo di
cui sono permeati i nostri tempi.

Pubblicato da Rita Scarpelli

Sono Rita Scarpelli e vivo a Napoli, una città complessa ma, allo stesso tempo, quasi surreale con i suoi mille volti e le sue molteplici sfaccettature. Anche forse grazie a questa magia, da quando ero bambina ho amato la lettura e la scrittura . Nonostante gli studi in Economia e Commercio mi abbiano condotta verso altri saperi e altre esperienze professionali, il mio mondo interiore è sempre stato popolato dai personaggi e dalle storie dei libri che leggevo e ancora oggi credo fortemente che leggere sia un’esperienza meravigliosa. Parafrasando Umberto Eco, “Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria, mentre chi legge avrà vissuto 5000 anni…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Lo scorso anno ho vissuto l’esperienza incredibile di pubblicare il mio romanzo di esordio “ E’ PASSATO”, nato dalla sinergia dell’ amore per la scrittura con la mia seconda grande passione che è la psicologia. E poiché non c’è niente di più bello di condividere quello che ama con gli altri, eccomi qui insieme a voi!

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