Miwgu di Gianluca Gualano

Miwgu di Gianluca Gualano

Miwgu

Una mattina Miwgu, giovane ingegnere milanese, si chiede angosciato, guardandosi allo specchio: “Chi sono io?”. Inizia così lo “squarcio” interiore che lo porterà a lasciare famiglia e lavoro per partire alla volta dell’Asia. Spinto da una forza misteriosa, dopo un lungo viaggio giungerà nel villaggio della tribù Akha, in una regione inaccessibile del Triangolo d’Oro. Con loro impara a vivere in un mondo ancestrale semplice e pacifico, scandito da ritmi naturali e riti collettivi. Tra gli Akha conosce per la prima volta in vita sua l’accoglienza e l’accettazione totale, grazie ai colloqui con l’anziano capo villaggio, guida autorevole che sa ascoltare senza giudicare. Miwgu capisce così che l’esistenza è continuo mutamento e che ogni persona deve rispondere al proprio richiamo interiore. Il protagonista non accetta più dogmi a lui estranei, ma ricerca la conoscenza autentica di se stesso, della realtà visibile e invisibile. Superando i limiti e le paure umane, vive esperienze straordinarie e sconvolgenti. Eroe libero e solitario, disposto ad “errare”, dopo aver trascorso la seconda parte della sua vita in quei luoghi, tornerà a casa per affrontare fino in fondo il suo Destino.

Introduzione

Il divenire e il mutevole. Con Aristotele voglio introdurre questo romanzo, breve ma intenso, in cui l’autore vuol farci intendere che l’essere umano è obbligato nel suo incedere, spinto dalla forza del destino, che sempre lo induce a modificare il suo stato, se non altro perché corre il tempo.

Recensione

Miwgu, ingegnere dal nome curioso, ha seguito fino a un certo punto della sua vita tutte le tappe che si era prefisso, raggiungendo il suo obiettivo di avere un lavoro a lui consono, una casa e una moglie da amare. Uno status, quello del protagonista, che appare come un modello da manuale. Chi non vorrebbe vedere realizzati i propri progetti anche a costo di rinunce e fatiche? Chi non vorrebbe prima o poi conoscere una persona con la quale condividere la propria vita? Chi non vorrebbe avere tranquillità economica al fine di condurre una vita perlomeno dignitosa e senza grossi problemi? Non tutti, ma molti di noi: la maggior parte. Tra questi c’è Miwgu, stimato collaboratore di una grande azienda, amatissimo da sua moglie e alla fine padre di un bellissimo bambino.
Però succede qualcosa e Miwgu inizia a provare un malessere interiore. La sua vita modello vissuta fino ad allora comincia a pervaderlo di un qualcosa che non riesce a spiegare. “Vivrò così per sempre, ascoltando il silenzio freddo degli uffici in cui lavoro, dove altri uomini macchina, come me, prestano tre quarti della loro vita, poi tornerò a casa nel mio ruolo di padre e marito”, pensa. E una mattina il simbolo del nostro io – lo specchio – restituisce al protagonista un’immagine inquietante, tanto da non riconoscersi più. Un volto dipinto di angoscia lo guarda e lui scava con gli occhi quell’immagine di se stesso, compiendo un’introspezione profonda che lo porta ad assaggiare il gusto amaro dell’infelicità. Qualcosa si è svegliato in lui, lo ha scosso; si sente fuori posto perché avverte che la sua vita è altrove, senza sapere dove: vuole scappare. Miwgu decide così di licenziarsi e il suo direttore, dispiaciuto questi peraltro della sua decisione, avalla, con sorpresa, il motivo della sua scelta. Poi l’addio alla moglie e al figlio con un bagno di lacrime di lei, non adirata, ma preoccupata. Una fuga lontana ha in mente Miwgu, dove nulla deve ricordagli la sua vita passata. Su consiglio della moglie, il protagonista si unisce a due amici che vogliono trascorrere le vacanze in estremo oriente, passando dalla Thailandia e dal Laos. E proprio in uno sperduto villaggio Akha del Laos, in cui si respira ancora un’aria primordiale, Miwgu vivrà la sua palingenesi esistenziale spogliato di tutto, lontanissimo da quel mondo civile e occidentale in cui aveva fino a poco prima vissuto. Lì riscopre l’essenza della vita e il Tutto come completa compensazione tra individuo e natura, dove il tempo è scandito dalle stagioni, dal sole e dalla luna. Una riscoperta di se stesso, un reset totale. Suo mentore in quel luogo remoto sarà il capo del villaggio, saggio e profondamente umano. Miwgu riscopre che l’uomo fa parte della natura e che questa non è un qualcosa di lontano da depredare e distruggere. Lì non ci sono uomini-macchina, ma semplicemente uomini e donne che vivono accontentandosi di quanto necessario per la loro sussistenza tratto direttamente dalla natura. Vent’anni trascorsi in quel villaggio, dopo aver sofferto per la morte della sua nuova compagna di vita – indigena del luogo – e del loro bambino, Miwgu decide di tornare a casa, ma per sette anni vivrà con un branco di lupi nel bosco, incontrato subito dopo aver abbandonato il villaggio. Ci tornerà? Lo scopriranno i lettori di questo bel libro.

Conclusioni

Miwgu è un romanzo ad alta intensità introspettiva, in cui costante è la presenza del dubbio. L’interrogarsi sforzandosi a fornire tesi alle ipotesi, tentando di fare sintesi sulla nostra esistenza fa parte di quel triangolo filosofico che esula dalla normale tangibilità della vita, facendo ricomprendere questa in una dimensione astratta ma complementare al mondo sensibile.
La cifra stilistica è piacevole, dall’andamento incalzante, ma non troppo. Molto interessante la parte fantastica in cui il protagonista si trova a vivere con un branco di lupi riuscendo a comunicare con loro. È difficile perdere il filo del discorso, anche dopo aver ripreso il libro in mano magari dopo qualche tempo. Durante la lettura, intensa è l’adrenalinica brama di conoscere il volgere della storia e in questo il lettore è sostenuto dalla relativa brevità del romanzo.
È sicuramente un romanzo con molti contrasti: dalla iniziale, apparentemente incomprensibile, rinuncia alla vita attuale del protagonista, che con l’amore viscerale per la moglie; all’ancestrale ambiente dello sperduto villaggio laotiano, in cui sembra che il tempo, il divenire, si sia fermato, contrapposto al tecnologico, mutevole e frenetico mondo occidentale in cui l’uomo, all’apparenza libero, vive in una inconsapevole schiavitù legata proprio al tempo e al suo progresso.
E non sia mai che proprio un tuffo nel passato, presente ancora in qualche angolo di questo mondo, possa farci veramente comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo? Buona lettura.

Pubblicato da Giovanni Margarone

Sono Giovanni Margarone, sono nato nel 1965 e scrivo narrativa. I miei romanzi rientrano maggiormente in quelli di formazione, per via dell’evoluzione che fanno compiere (innanzitutto interiore e non solo) ai protagonisti (dall’infanzia all’età adulta, risalendo sovente alle origini, scavando nella storia del personaggio). Forte è la componente introspettiva e psicologica, per cui il personaggio resta sempre e comunque l’elemento centrale delle narrazioni, che potrebbero essere quindi ambientate in qualunque luogo. Sono un autore che vuole scrivere per gli altri, perché diversamente la mia sarebbe un’attività monca, fine a se stessa. Interpreto la scrittura come il mezzo più efficace per trasmettere sentimenti, emozioni e per indurre alla meditazione. Questa interpretazione trascendentale della scrittura mi è assai cara, perché ritengo che la spiritualità faccia parte di noi stessi e che lo spirito vada nutrito. Ho finora scritto e pubblicato quattro romanzi: “Note fragili” (2018, seconda edizione), “Le ombre delle verità svelate (2018, seconda edizione), “E ascoltai solo me stesso” (2019, seconda edizione) e “Quella notte senza luna” (2018). Inoltre, nel 2019 un mio racconto “Il segreto del casone” è stato inserito nell’antologia “Friulani per sempre” – con postfazione di Bruno Pizzul - edito da “Edizioni della sera”. Nel novembre 2019 sono stato insignito di una “Benemerenza” dal Comune di San Giovanni al Natisone (UD) (dove risiedo) per meriti letterari. Sono membro della Commissione Cultura del Comune di San Giovanni al Natisone (UD). I miei romanzi hanno ricevuto numerosi premi letterari. Il mio sito ufficiale è https://margaronegiovanni.com/

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