“Antonio De Curtis, napoletano per caso e per scelta, aristocratico e plebeo, spietato, candido, giullare, beffeggiò poveri e ricchi, umili e potenti, rendendo a tutti la vita più leggera.”
“Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente!” Una tra le tante celebri frasi del compianto Antonio De Curtis, a tutti noto semplicemente come Totò, il cui nome per intero è Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio. Nato a Napoli nel Rione Sanità il 15 febbraio 1898 da una relazione clandestina tra Anna Clemente e Giuseppe De Curtis, fu riconosciuto dal padre solo agli inizi degli anni venti. Il piccolo Antonio crebbe in condizioni estremamente disagiate e fin da bambino mostrò una grande passione per la recitazione. Poco avvezzo allo studio, da giovanissimo iniziò a frequentare piccoli teatri di periferia. Trasferitosi poi con la famiglia a Roma, provò a farsi notare ma con esiti non favorevoli. Riuscì a riscuotere i primi successi anche a livello nazionale solo tra il 1923 e il 1927, esibendosi in diversi caffè italiani. Nel 1927 fu scritturato da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie, e nel 1929 fu contattato dal barone Vincenzo Scala, che gli diede l’opportunità di recitare come protagonista in “Miseria e nobiltà”, “Messalina” e “I tre moschettieri”. Gli anni trenta rappresentarono un periodo di grande successo per il comico. Diceva: “La miseria è il copione della vera comicità” e “Non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita.” La guerra, lui, la fece anche in amore. Conosciuta Liliana Castagnola, dopo un primo periodo di frequentazione, si imbatterono in numerose problematiche legate soprattutto alla gelosia. La donna, non riuscendo ad accettare l’idea dell’abbandono, si suicidò in una stanza d’albergo ingerendo un tubetto intero di sonniferi. Fu ritrovata con accanto una lettera d’addio per Totò: “Antonio, potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano… Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l’ho giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù per la strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero?… Addio. Lilia tua.” Evento questo, che lo devastò immensamente e quando nacque sua figlia avuta da Diana Rogliani, divenuta poi sua moglie nel 1935, la chiamò Liliana. L’attore fu anche iniziato alla Massoneria nel 1945 nella Loggia Palingenesi della Gran Loggia d’Italia, e poi fu fondatore e Maestro venerabile della Loggia Ars et Labor e conseguì il 30simo grado del Rito scozzese antico ed accettato. Uomo dalle infinite sfaccettature, notoriamente generoso e a tutti noto come “il principe della risata”, in quasi 50 anni di carriera lavorò in teatro (con oltre 50 titoli), al cinema (con 97 pellicole) e in televisione (con 9 telefilm e vari sketch pubblicitari). Non solo, si distinse anche come drammaturgo, poeta, paroliere, compositore e cantante. Spesso disapprovato da molti critici cinematografici, la sua figura fu notevolmente rivalutata post mortem. È infatti diceva: “Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però, per venire riconosciuti in qualcosa, bisogna morire.” Si spense il 15 aprile 1967 a Roma, all’età di 69 anni. Tre furono i funerali: il primo nella capitale, il secondo a Napoli e il terzo pochi giorni dopo il suo trigesimo nel suo quartiere natale, il Rione Sanità. Umberto Eco si è espresso sulla importanza di Totò nella cultura italiana dicendo: “In questo universo globalizzato in cui pare che ormai tutti vedano gli stessi film e mangino lo stesso cibo, esistono ancora fratture abissali e incolmabili tra cultura e cultura. Come faranno mai a intendersi due popoli (cioè cinesi e italiani) di cui uno ignora Totò?”
Fabiana Manna