Abbiamo varcato ormai la soglia del terzo decennio di questo nuovo secolo del terzo millennio. Il mio è un gioco di parole voluto, perché l’aggettivo terzo, che in questo caso titola il tempo, l’ho usato per richiamarne un altro significato, che non è un sinonimo come si potrebbe pensare: è una delle magie della nostra lingua italiana. È dal punto di vista semantico infatti che voglio evidenziare l’aggettivo terzo, in quanto assume un altro significato se inserito in un diverso contesto lessicale. Infatti, se associamo l’aggettivo terzo a paese, per esempio, ne evidenziamo la differente collocazione in ambito economico e sociale; se invece parliamo di terze persone, ci riferiamo a soggetti non appartenenti, per esempio, al medesimo contesto sociale.
Ma torniamo alla frase che ha introdotto quest’articolo, in cui volevo sottolineare quanto siamo ormai immersi in un’epoca sempre più lontana dal XX secolo, nel corso della quale stiamo assistendo a trasformazioni culturali, sociologiche e scientifiche, verso le quali credo sia quantomeno opportuno volgere la nostra attenzione.
Una delle trasformazioni più importanti credo sia quella linguistica, al di là di quella tecnologica, della quale se ne parla peraltro forse troppo. Di quella linguistica invece se ne parla poco, discussa dalla ristretta cerchia dei linguisti, che analizzano costantemente l’evoluzione dell’italiano, promanando avvertimenti spesso, purtroppo, inascoltati. Ne parla poco l’uomo comune, ne parlano poco le nuove generazioni, sempre più travolte, non per colpa loro, da una generale mancanza di “buoni esempi linguistici”. Il risultato di tutto ciò è un sostanziale impoverimento della nostra lingua, con il rischio di condurla, appunto, a una condizione di lingua terza. Ma di chi è la colpa?
Con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, il linguaggio è stato semplificato e imbruttito, sebbene non sia da esecrare l’utilità dei media in generale. Perché semplificato e imbruttito? Perché con le nuove tecnologie dalle quali sono nati il web, i social networks e altro, la società si è abituata a una comunicazione immediata, veloce e, per questo, fatta in fretta, senza le dovute cure alla lingua. Una comunicazione spesso linguisticamente appena accettabile. L’improprio uso dei modi verbali e la scarsa attenzione alla sintassi sono uno dei caratteri più ricorrenti e chi legge o ascolta, se non è attento o non è culturalmente all’altezza di riconoscere gli errori, si abitua a quella lingua scadente e nel linguaggio corrente, con l’andar del tempo, compirà gli stessi errori che diventeranno strutturali anziché incidentali. Lo stesso vale anche per la televisione e la radio, dove spesso non c’è attenzione per la lingua, con un’utenza che si abitua ad ascoltare un italiano sempre più povero.
In buona sostanza, non si fa che ingerire cattiva lingua e ciò si ripercuote sulla lingua stessa che man mano si degrada. Un’altra causa, molto nota peraltro, è la scarsa propensione alla lettura in generale. La statistica attesta che solo circa il 40% della popolazione legge, della quale solo circa il 13% sono lettori forti, mentre il restante del 40% legge appena un libro all’anno; questi dati devono necessariamente farci riflettere. Lasciando perdere discorsi retorici, non ci si rende conto che leggere non solo fa bene al proprio bagaglio culturale – ovviamente se volto a letture appropriate – ma è utile a fornire quel valore aggiunto al nostro modo di parlare e di scrivere, ma anche alla qualità della nostra vita.
Un altro fenomeno che incalza sempre più è l’inquinamento linguistico. Troppo spesso si fa uso di inglesismi – sovente senza una ragione plausibile – a scapito, ancora una volta, del patrimonio lessicale. E ciò si verifica, tra l’altro, in un paese come l’Italia dove la conoscenza generale dell’inglese è alquanto scarsa: un paradosso.
Per questo s’impone un urgente bisogno di recuperare la nostra lingua, di preservarla dalle insidie che la minano, affinché non diventi appunto lingua terza, un idioma cioè che rischia di perdere quella bellezza già osannata da Dante nel De vulgari eloquentia.
Rimedi? Leggere buone letture, l’offerta narrativa in questo senso è altissima, e indurre le nuove generazioni alla cura della lingua; in questo la scuola deve esserne la principale artefice con un insegnamento appropriato dell’italiano e una quanto mai necessaria educazione alla lettura, affinché l’italiano, appunto, non volga in un inesorabile declino. Dante si rivolterebbe nella tomba.
Giovanni Margarone