“La vita è come una commedia: non importa quanto è lunga, ma com’è recitata” (da De Brevitate Vitae)
“Profondità non espresse”, è un testo drammaturgico scritto e diretto dall’attore e scrittore messinese Lucio Cucinotta e diretto da “La compagnia in valigia“. Otto i protagonisti delle spettacolo andato in scena mercoledì 08 maggio al Piccolo Teatro Patafisico di Palermo; oltre allo stesso Lucio Cucinotta, in scena gli attori Dario Scarpati, Francesca Vaglica, Laura Gestivo, Samuele Lindiner, Francesco Russo, Francesco Maria Grisafi e Sergio Coffaro.
Il Piccolo Teatro Patafisico è un Teatro particolare, capace di ospitare un centinaio di persone in una location originale, essenziale e minimalista, dove tutto è ricavato con materiale di recupero dallo stile vintage, all’interno di una sala ubicata in uno dei padiglioni dell’ex Ospedale Psichiatrico di Palermo. Chi pensa, quindi, di andare al teatro nel senso canonico del termine, cogliendo magari l’occasione per sfoggiare vestiti sontuosi e accessori di tendenza, è completamente fuori luogo…
Ma partiamo proprio dal Teatro e dal nome che porta. Che vuol dire “Patafisico”? Lo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry definì la patafisica come “la scienza delle soluzioni immaginarie”. E’ la scienza quindi, che non si occupa delle regole bensì delle eccezioni, contraria a qualunque stereotipo e/o pregiudizio, e guarda all’individuo in quanto tale e in veste di essere eccezionale e singolare, fuori da schemi, luoghi comuni e massificazione, arrivando a volte a rasentare il non-sense, l’ironia e l’assurdo. Chiarito pertanto il concetto di Patafisico, “Profondità non espresse” non poteva essere accolto in una location più adatta.
La pièce, andata in scena in total sold out in una sala gremita di spettatori tra i quali, confuso in platea a godersi lo spettacolo, anche il noto attore e regista teatrale Mario Pupella, è una sorta di moderno teatro dell’assurdo in chiave pirandelliana. Un viaggio attraverso le “profondità” della mente umana, quelle note ma soprattutto quelle sconosciute, attraverso quei cunicoli e quei meandri oscuri e contorti nei quali risiedono traumi infantili e/o adolescenziali, che la psiche prova a tenere sotto chiave ma non sempre ci riesce. Ferite più o meno importanti che ognuno si porta dentro e che influenzano inevitabilmente e in maniera incisiva la vita personale e di relazione, conducendo spesso l’essere umano ad una condizione borderline che oltrepassa il limite di un equilibrio già precario, sfociando nel patologico. I personaggi sono variegati e brillantemente presentati, le tematiche affrontate non sono solo frutto della fantasia partorita dall’autore, bensì “scene” di vita quotidiana: abusi su minori, omicidi, follia, disturbi della personalità, ossessioni e schizofrenia, suicidi dettati dal fallimento e dalla perdita del lavoro, ambiguità sessuale e dolore dietro al bisogno estremo di accettarsi prima ancora di essere accettati, immigrazione e ricerca di un futuro migliore, tradimenti e condanna a morte, mafia e tentativi di riscatto, prostituzione e tutto ciò che ruota intorno…
Diversità in senso lato e concetto di normalità stereotipato da bigottismo, falso moralismo e incapacità di guardarsi e guardare il mondo con occhi giusti e imparziali. Uno spettacolo di denuncia sociale dal forte impatto emotivo; i messaggi, celati ma non troppo, dietro ogni monologo colpiscono duro, non ti danno il tempo di respirare, conducono in un vortice di riflessione alla stregua di un labirinto fatto di specchi costringendo a guardarsi dentro, a scrutare l’interno più recondito per capire l’esteriorità fatta di quotidiana abitudine e modus vivendi colmi di pregiudizi e preconcetti, dove tutto ha una spiegazione e un perché, ma troppo spesso ci si sofferma alla “normale apparenza”.
Attori e spettatori interagiscono anche fisicamente, l’imprevedibilità è una costante; si viene assorbiti all’interno della rappresentazione al punto tale da sentirsi contemporaneamente vittima e carnefice di ogni situazione. L’attenzione è totalmente rapita; frasi, parole, gesti, sguardi, tutto riecheggia nelle orecchie e danza nella mente dello spettatore che, viene indotto a riflessioni profonde e quasi “costretto” inconsapevolmente a porsi quesiti mai espressi prima … Uno spettacolo dai toni forti, caldi, accesi, coloriti a volte, e proprio per questo non adatto ai minori di anni sedici. Un grido di denuncia contro ogni forma di pregiudizio o concetto di diversità… Cos’è normale? Chi stabilisce cos’è la normalità e cosa sia la diversità? Diversi o normali rispetto a chi o a cosa? Uno spettacolo che non lascia indifferenti e sorprende a partire già dal tipo di accoglienza riservata agli spettatori…
La mente ha bisogno di liberarsi da tutti quei pesanti fardelli che quotidianamente ci portiamo dietro, di eliminare quei mattoni serviti a costruire muri dietro ai quali trincerarsi per sfuggire anche da se stessi … Occorre imparare ad accettare e a guardare gli altri come se ci guardassimo allo specchio. La diversità è un pregiudizio insito nella nostra mentalità e solo liberandoci da inutili e dannosi stereotipi primordiali, saremo in grado di librarci in volo come una farfalla, simbolo per antonomasia di trasformazione e di guarigione da quella sofferenza dell’anima di cui spesso siamo la causa principale, e un battito d’ali dopo l’altro si compirà il miracolo della rinascita interiore…
… L’impossibile diventa possibile ma per renderlo possibile occorre fare l’impossibile…
Uno spettacolo positivo che merita i giusti riconoscimenti. Un plauso va a tutti coloro i quali si sono spesi affinché ogni cosa venisse svolta nel migliore dei modi arrivando a toccare il cuore e l’anima di quanti, come me, hanno avuto l’onore di assistere all’opera prima… L’augurio è che “Profondità non espresse” possa spiccare il volo anche all’esterno del Piccolo Teatro Patafisico, non necessariamente all’interno di teatri “classici” ma in luoghi non luoghi, dove il confronto e lo scambio interattivo tra attore e spettatore possa essere diretto e immediato. Auspicabile per le tematiche affrontate portarlo a conoscenza dei ragazzi delle ultime due classi degli Istituti Scolastici Superiori. Da vedere e rivedere perché, assorbito e metabolizzato il meccanismo dentro al quale si è catapultati la prima volta, tutto ha un sapore “diverso” e il feedback lascia una traccia indelebile che mette in discussione status e modus vivendi.
Innovativo, originale, uno spettacolo nello spettacolo, dove una porta dopo l’altra, un passo dopo l’altro, la crisalide giunta a maturazione diverrà farfalla… Assolutamente da non perdere…
Teresa Anania