Quando l’amore non basta, Chesil Beach

Ian McEwan, il grande scrittore inglese, è nelle sale cinematografiche in questi giorni con due dei suoi romanzi, Il verdetto e Chesil beach.

Ho visto il secondo senza aver letto il libro, cosa che in genere non faccio, ma, essendomi incuriosita, sono andata di corsa a provvedere, anche perché in questo caso autore del romanzo e sceneggiatore coincidevano ed ero perciò curiosa di cogliere a caldo analogie e differenze tra i due diversi linguaggi, letterario e cinematografico.

A spingermi, in particolare, a leggere questo romanzo del 2009 è stata la scena finale del film: piuttosto strana mi appariva, infatti, quella conclusione un po’ melensa su cui scorrono i titoli di coda. Banale mi sembrava che l’autore avesse concluso così e non mi sbagliavo. Ma occorre fare un passo indietro.

Florence e Edward sono una giovanissima coppia inglese che nel 1962 si ritrova a cena in una camera albergo in riva al mare per l’avvio della luna di miele.

I due giovani si sono appena sposati, ma dell’amore non sanno nulla.

Per cui si trovano qui, uno di fronte all’altra, felici si per la libertà finalmente conquistata e per il paradiso che si aprirà loro dinanzi, ma spaventati dalla messa in pratica dell’amore.

Si, proprio dalla sua messa in pratica, perché fino a quel momento tra di loro non c’è stato assolutamente nulla, se non qualche bacio rubato da Edward e mai del tutto corrisposto da Florence, qualche tentativo di approccio più ardito di lui, sistematicamente respinto da lei e poco altro.

Entrambi sono assolutamente certi dell’amore reciproco e del passo fatto, ma su di loro gravano una serie di fattori atti a complicare il naturale divenire del rapporto.

Innanzitutto la differente estrazione sociale: Edward proviene da un piccolo villaggio di campagna e da una famiglia modesta, in cui la madre è malata di mente e il padre un brav’uomo, impegnato faticosamente a mettere in scena ogni giorno da anni la normalità per portare avanti la famiglia; Florence, invece, proviene da una famiglia colta, benestante e snob di Oxford. Nulla di più distante, insomma. Però i due ragazzi, incontratisi per caso ad una riunione sul disarmo nucleare, provano immediatamente un’attrazione reciproca, fondata proprio sulle rispettive diversità.

Lei rimane affascinata da questo ragazzone di campagna, che conosce a memoria i nomi di tutti gli uccelli, dei fiori, dei papi e dei re (Edward, infatti, si è appena laureato con lode in storia), che gira sempre con un libro in tasca e le ripete di continuo, guardandola estasiata, che è bellissima.

Lui, dal canto suo, rimane catturato da lei che non abbassa lo sguardo come le altre, è sicura della sua musica (Florence, infatti, suona il violino), tiene dritta la schiena e si muove con disinvoltura nel lusso.

Ma siamo alla cena in questa camera d’albergo in stile giorgiano. Al di là della porta un letto a baldacchino incombe minaccioso con il suo ordine innaturale a rovinare la cena e al di qua del balcone la vista della spiaggia e del mare incanta con le sue promesse e sembra alludere a una possibile via di fuga.

Si, perché entrambi sono vergini, entrambi hanno paura di restare da soli e di confrontarsi con la vita adulta. Entrambi hanno paura di deludere l’altro.

Perché fino a quel momento il loro rapporto è stato tutto un desiderare di stare insieme, tutto un innamorarsi dell’amore e vederlo riflesso negli occhi dell’altro, tutto un promettersi il futuro. Sequenze di baci a labbra serrate, di guance surriscaldate senza mai andare oltre e un guardarsi intensamente negli occhi a lungo e a distanza così ravvicinata da farlo sembrare quanto di più prossimo all’erotismo. Per cui in quella cena i due ragazzi, catapultati nella vita vera, senza più possibilità alcuna di dilazione, cercano di dissimulare il grande imbarazzo attraverso le parole, ancora una volta le parole. E, quindi, lungi dal mangiare, non fanno altro che parlare del loro amore, rammentarsi a vicenda come sia nato, sia cresciuto e li abbia portati sin lì, in quella camera d’albergo.

Insomma parole, solo parole a dire l’amore, a mimarlo, a ricordarlo a se stessi nel tentativo di radicare ulteriormente quella convinzione che si sente a tratti vacillare, di farne sostanza concreta e tangibile.

Ma le parole non bastano e il passo successivo è d’obbligo. E’ pur sempre la loro prima notte di nozze e Edward esige il tributo che gli spetta. Lei glielo ha promesso:” Con il mio corpo ti onoro” e lui, che tanta pazienza ha avuto durante il fidanzamento, non sa e non vuole più aspettare.

E così la loro prima notte di nozze si trasforma in un incubo prima e in un disastro poi.

A dividerli l’inesperienza di entrambi, il timore di deludere l’altro, il terrore di lei per il sesso, il disgusto conseguito alla lettura di un manuale preparatorio, la freddezza che si è respirata in casa di Florence a dispetto della perfezione formale, la rigida educazione ricevuta in famiglia, i tabù, la repressione. E’ la denuncia di un’epoca, insomma, puritana e ipocrita mentre nel mondo cominciava a farsi strada la rivoluzione sessuale.

Prima di allora loro due si erano sempre affrontati in punta di piedi, sottovoce, assentendo, imbrigliati dalla paura di offendere o deludere l‘altro.

Ma mai si erano spiegati per davvero. Lei aveva sempre resistito alla lingua di lui, che cercava di farsi strada nella sua bocca, serrandola in risposta, alla mano di lui che cercava un varco sotto la sua gonna, allontanandola. Lui aveva accettato in silenzio, attribuendo il tutto alla serietà di lei, convinto del fatto che dopo il matrimonio il rifiuto di lei si sarebbe sciolto in nome dell’amore.

Lei, di fronte all’incontinenza di lui, scappa e va a rifugiarsi sulla spiaggia. E’ sconvolta, non sa se chiedere perdono o esigere delle scuse, è confusa, vuole stare da sola, ma ha un’unica certezza, lo ama.

Lui, offeso, umiliato, imbestialito, la raggiunge e da quel momento la rabbia di entrambi e parole grosse segnano uno spartiacque dal quale non si può tornare indietro. Eppure lei ci prova, gli fa una proposta. Convinta com’è di essere lei ad avere un problema tra i due, gli chiede di rimanere insieme in nome dell’amore e gli lascia tutta la sua libertà. Lui potrà prendere da altre ciò che lei non è in grado di dargli. Volano parole grosse a quel punto. E’ davvero troppo, Edward l’accusa di averlo ingannato e in un crescendo di accuse violente “Tu, Tu, Tu“ le volta le spalle e s’irrigidisce. Lei per un attimo tentenna, aspetta. Le basterebbe solo essere certa dell’amore di lui, sentirsi rassicurare sul fatto che per lui non esiste alcuna fretta, avendo un’intera vita davanti. Amore e pazienza, quello sarebbe bastato. Perché da solo, invece, l’amore non basta.

E allora questo romanzo magnifico, in cui l’autore indaga in maniera quasi ossessiva sulla psicologia dei personaggi, diverge dal film proprio sul finale. Il libro ci consegna il rimpianto di entrambi per quell’amore non consumato, per quel matrimonio durato solo otto ore e ci mostra quello di lei, che sei anni dopo al primo concerto col suo quartetto di archi alla Wigmore Hall alza lo sguardo sulla terza fila, alla poltrona c, quella in cui  lui aveva promesso di essere al suo debutto e non lo trova; e quello di lui, che invecchiato, ripercorre ormai sessantenne, la strada che lei, tanti anni prima con in mano una mappa e un’arancia aveva messo sotto le scarpe per andarlo a trovare. Lui non ha mai amato nessuna così. Eppure l’ha lasciata andare quella ragazza col violino per orgoglio, per stupido orgoglio, quando a lei sarebbe bastato solo sentire il suono della sua voce, lei che non si era mai sentita tanto innamorata e sgomenta insieme. Tutto aveva preso una direzione diversa da quella sera sulla spiaggia in cui lui le aveva voltato le spalle. Tutto il corso delle loro vite era dipeso dal non fare qualcosa…

Perché a volte l’amore non basta.

Perché allora, vien fatto di chiedersi, il film ci ha, per volontà dello stesso autore, beninteso, consegnato un finale posticcio e melenso? La scena di loro due, entrambi assai invecchiati e pesantemente truccati, risulta davvero grottesca. A luci accese al termine del concerto, Edward e Florence si guardano negli occhi per un attimo fuggevole, lei dal palco col suo violino e lui dalla poltrona che aveva promesso di occupare per il debutto, e le lacrime sgorgano dolorose e incontrollabili dagli occhi di entrambi. Così si conclude il film, diversamente che nel libro, e pure ci strappa un attimo di commozione.

Certo difficile sarebbe stato rendere visibili le considerazioni di lui a 60 anni, quelle che si leggono sul finire del romanzo, ma forse sarebbe bastata semplicemente una voce narrante fuori campo sullo sfondo del viale di tigli, che accompagna il ritorno a casa di lui.

Strano, devo dire, non me lo sarei aspettato da Mc Ewan questo aggiustamento in limine, questa sorta di risarcimento tardivo per ciò che non c’è stato. Il film ha cercato insomma di ricomporre ciò che il romanzo ha lasciato in sospeso, ma non ne se ne sentiva il bisogno.

Se c’è una cosa certa, quella è che il lettore, spettatore in questo caso, non sempre vuole essere consolato. A volte preferisce essere lasciato senza risposte, senza chiarezza, in sospeso, come accade nella vita.

Donatella Schisa

Pubblicato da Donatella Schisa

Donatella è nata e vive a Napoli. Dopo gli studi classici, si laurea in Giurisprudenza coltivando parallelamente la sua passione per la scrittura. E' autrice di numerosi racconti pubblicati in diverse antologie; e si è classificata seconda alla XXV edizione del Premio Nazionale Megarls per la narrativa. il suo primo romanzo è " Il posto giusto"

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