Tornano le storie del Dottor Gardenia
Questa è una storia rigorosamente vera. Certo ho cambiato i nomi delle persone come giustamente vuole la legge, anche se non credo che qualcuno potrebbe offendersi. Invece il cane, ma chiamarlo cane è molto riduttivo perché la buonanima era molto ma molto più intelligente ed educato di molte persone che conosco, si chiamava veramente Quares, e aveva un pedigree più lungo di quello della regina d’Inghilterra.
L’autostrada Napoli – Salerno è il primo tratto autostradale dell’autostrada del Mediterraneo, ma il primo tratto, cioè la Napoli – Pompei, seppur breve, fa talmente schifo che i gestori ne hanno cancellato perfino il ricordo dalle mappe e dal cervello dei viaggiatori, e l’ufficio stampa ne smentisce l’esistenza. L’autostrada fino a non moltissimi anni fa era a due carreggiate, di cui solo una sola completamente asfaltata. L’altra infatti presentava in gran parte ancora alcune imperfezioni da sanare, tipo fossi, valli alpine e bocche vulcaniche, quindi quasi tutto il tratto era ridotto a una corsia per senso di marcia, costringendo gli automobilisti a procedere costantemente a passo di lumaca. Un altro problema riguardava i nuovi tratti a tre corsie, dove vi erano ancora rimanenze dei vecchi cantieri, materiali dimenticati dalle maestranze che vi lavorarono, e che vi avevano gustato innumerevoli bottiglie marroncine di Peroni, come dimostrano i reperti lasciati sul posto.
Come che c’azzecca?
In quella rovente estate del novanta o giù di lì, il nostro giovane amico veterinario dottor Gardenia era nel suo ambulatorio, che pensava ai casi suoi, quando improvvisamente il telefono sulla scrivania gli squillò nell’orecchio destro.
«Pronto, studio veterinario».
«Salve, sono l’ingegner Sfaltini, della società autostrade, posso aver il piacere di parlare con il titolare?»
«Ha questo piacere mi dica.»
Dopo un attimo di silenzio interdetto, l’ingegnere chiese cautamente:
«Mi dicono che lei ha la possibilità di ospitare un certo numero di cani nella sua struttura… Corrisponde al vero la notizia?»
«Be’, certamente!»
In effetti, non solo lui aveva una pensione per cani, ma aveva anche la necessità di rientrare nelle spese.
«Lei senza dubbio ha la possibilità di fatturare alla nostra società, vero?»
«E come no, ma scusi perché queste domande, avete cani vaganti in autostrada?»
«No, si tratta di questo: dobbiamo costruire la terza corsia, e abbiamo la necessità di abbattere alcune case costruite abusivamente a lato della carreggiata e che sono state espropriate. In una di queste sono ospitati dieci cani, e il proprietario si rifiuta di lasciare l’abitazione, per cui tra pochi giorni dovrà intervenire la forza pubblica per lo sgombero. Abbiamo quindi il problema di ospitare temporaneamente gli animali nel suo canile, mentre troviamo una sistemazione definitiva per la famiglia e la canaglia. Se lei è disponibile, domani vengo al suo studio e ne parliamo di persona.»
Il mattino dopo, di buon’ora il bravo ingegnere, accompagnato da un geometra (riconoscibile per il suo teodolite gps), si presentò in ambulatorio:
«Salve, sono Sfaltini, questo è il geometra Metruccio.»
«Molto piacere, vi presento le mie collaboratrici, Alessandra e Marisa.»
Le due ragazze stavano sopraggiungendo in quel momento, tenendosi sottobraccio.
L’ingegner Sfaltini rimase abbagliato dall’avvenenza delle due donne, e dopo un attimo necessario a far ripartire il suo muscolo cardiaco e a riprendere la respirazione il professionista del pedaggio esordì con:
«Ee… ecco, volevo giusto chiedere se fosse possibile avere un veterinario sul posto per accertare la buona salute dei cani al momento dell’esproprio, ma queste signorine sono un po’ giovani, siamo sicuri che siano in grado di portare a termine la visita di dieci cani in condizioni un pochino, hem… estreme?»
Alessandra fece un passo in avanti, mentre l’ingegnere che era di mezza età, grassoccio e pallidino, fece due passi indietro per non urtare i respingenti della bionda. Il geometra Metruccio spalancò gli occhi, allarmato nel vedere i lampi che sprizzavano dagli occhi verde smeraldo della donna, però fu Marisa a risolvere la situazione: strinse forte il braccio della collega per bloccarne le ire, e parlò con voce dolce.
«Caro ingegnere, le basta sapere che siamo in grado di dirle che lei ha una verruca al mignolo del piede sinistro che la fa soffrire terribilmente, e che il suo amico geometra ha una lombalgia?»
Il suo sorriso poteva fermare un treno in corsa, e riuscì quasi a fermare il cuore del povero geometra, il quale prese a sudare abbondantemente e lasciò cadere il prezioso teodolite, che pure gli sarebbe servito per ritrovare l’orientamento dopo essersi perso negli occhi grigi di Marisa.
I due malcapitati si guardarono stupiti, e arrossendo chiesero scusa borbottando frasi inintelligibili per aver espresso dei dubbi, così in pochi minuti si formalizzò il contratto: l’autostrada avrebbe pagato per la visita dei cani espropriati, per il trasporto e il ricovero degli animali per il numero dei giorni necessario.
«Appuntamento tra sette giorni, arrivederci e complimenti alle dottoresse!»
Appena usciti i due compari, il dottor Gardenia lanciò un’occhiata interrogativa alle due ragazze.
«Ma… come?»
«Hahaha… siamo arrivate a piedi mentre la macchina dell’ingegnere si fermava nel parcheggio: lui si è tolto la scarpa, e si vedeva sotto il calzino la protuberanza che gli dava dolore, mentre l’altro si è stiracchiato la schiena massaggiandosi le reni!»
La settimana dopo, la scena nelle sperdute campagne di Torre del Greco a ridosso dell’autostrada comprendeva nell’ordine: due macchine dei vigili urbani con otto agenti, un camion dei vigili del fuoco, una grossa ruspa gialla per l’abbattimento, un camion di una ditta di traslochi con sei robusti operai, tre auto della società autostrade con molti addetti in divisa ed in borghese, una gazzella dei carabinieri, una volante della polizia con due agenti e l’immancabile ispettore innamorato, il quale aveva saputo della presenza della bella Alessandra, che non lo degnava di uno sguardo, e conversava amabilmente con Marisa a bordo
del vecchio furgone della clinica, mentre il poliziotto innamorato si struggeva in silenzio e girava intorno al mezzo facendo finta di controllarne la regolarità.
Il dottor Gardenia presidiava l’ambulatorio.
Le operazioni di sgombero si svolsero nel modo che era prevedibile: prima urla e strepiti degli sfrattandi, e poi rassegnazione. Prima di mezzogiorno tutti gli adempimenti erano stati eseguiti, le ordinanze consegnate, cosicché le ruspe entrarono in azione mentre la casa veniva svuotata e i cani identificati, visitati e condotti man mano al ricovero che sorgeva non lontano da lì.
Tutto sembrava tranquillo, fino al momento in cui scoppiò improvvisamente un putiferio: l’ultimo esemplare canino da portare via si rivelò essere nervoso e ferocissimo. Il proprietario stesso lo aveva dichiarato come di razza “pastore maramaldo”, anche se in verità si trattava di un enorme pastore abruzzese bianco come la neve, me scontroso ed intrattabile come una vipera. La belva vista la confusione, si rifiutava di uscire dal suo box e ringhiando tentava di mordere chiunque gli si avvicinava, compreso il suo padrone. Dato che in quegli anni i cellulari erano ancora nella mente degli ingegneri della Motorola, la polizia chiamò la centrale con la radio di bordo spiegando il problema, e la centrale avvertì il veterinario titolare dello studio, con preghiera di intervenire al più presto.
Il dottor Gardenia da parte sua però, non ricordava più di cosa trattasse il corso da domatore che aveva seguito all’università, e si aggirava dubbioso nello studio cercando un’ispirazione, quando lo sguardo gli cadde su un quadretto appeso al muro della sala visite.
Quares! Ma certo.
Il quadro rappresentava uno stupendo esemplare di doberman che lui aveva in cura, e che aveva appena vinto il campionato del mondo di bellezza. Quares aveva delle doti soprannaturali: quando il suo padrone gli parlava in un orecchio, lui annuiva ed eseguiva perfettamente qualunque ordine gli fosse impartito.
Detto fatto, Quares fu arruolato.
Cane, padrone e veterinario si fiondarono al cantiere. Una volta sul posto il padrone spiegò la situazione al doberman sussurrandogli dolcemente e accarezzandolo.
Quares osservò la situazione agitando il suo mozzicone di coda, poi si lanciò attraverso il cortile della casa da sgomberare e in men che non si dica convinse con ringhi modulati e brevi latrati, senza colpo ferire, il maramaldo che pesava almeno il doppio di lui a capitolare e consegnarsi docilmente alle forze dell’ordine con la coda tra le gambe, fra gli applausi dei presenti.
La casa venne abbattuta, e da allora risulta molto più facile raggiungere il tribunale di Torre Annunziata con l’autostrada, percorrendo una comoda rampa di uscita.
Lucio Sandon