Sabato rosso: gli omicidi terribili della storia
“Per quanto sorprendente possa apparire a chi non ha osservato né sperimentato la complessità umana (…), l’assassino, nella maggior parte dei casi, si sente innocente quando uccide. Ogni criminale assolve sé stesso prima della sentenza. Si considera, se non nel suo diritto, almeno giustificato dalle circostanze.”
Albert Camus
Il male presenta sempre un origine, un punto da cui parte e a cui non fa ritorno, e spalanca un baratro come le fauci di una fiera affamata, e come tale brama un appagamento perverso, meschino, incomprensibile e talvolta inenarrabile. Non di rado la crudeltà veste abiti distinti, ispira fiducia, trasmette serenità. Ma poi si rivela per ciò che realmente è: brutale, violenta, crudele.
Come tante, purtroppo, anche questa è una storia di dolore, di tristezza, di efferatezza inimmaginabile, compiute da un uomo che, a un certo punto, di umano perde tutto, ai danni di sei vittime, sei giovani vite, quelle accertate, a cui è stato strappato per sempre il futuro…
Parliamo di Robert Berdella, passato alle cronache come il “Macellaio di Kansas City”, uno dei più spietati serial killer statunitensi.
Ma cerchiamo di capire i fatti.
Robert nasce il 31 gennaio 1949 a Cuyahoga Falls in Ohio e fin dai primi anni della sua infanzia si mostra come un bambino molto solitario, con grandi difficoltà nel relazionarsi con i suoi coetanei. Il suo rendimento scolastico è discreto, ma comunque gli insegnanti lo considerano un allievo problematico, sia per il suo atteggiamento distaccato, sia perché non di rado è oggetto di atti di bullismo. Tra le mura domestiche le cose non vanno poi meglio: il padre abusa psicologicamente di Robert e non esita a picchiarlo con una cintura di cuoio. Bob, anche così chiamato, ama profondamente il genitore che a sua volta, gratifica e si dedica maggiormente all’altro figlio, Daniel, più piccolo di sette anni, innescando nel primogenito una grande frustrazione. Raggiunta la pubertà, Robert si rende conto di essere omosessuale e inizialmente custodisce la sua condizione come un segreto indicibile, arrivando a vergognarsene e a nascondere le proprie inclinazioni per molti anni. Per lui, però, i seri problemi prendono vita nel 1965, anno in cui avvengono una serie di episodi infausti che lo portano a stravolgere la sua intera esistenza: mentre sta lavorando come assistente cuoco in un ristorante, viene violentato da un suo collega. Poco dopo l’amato padre muore improvvisamente per un arresto cardiaco all’età soli trentanove anni e la madre, poco dopo, allaccia una relazione con un altro uomo che sposerà di lì a poco. Per il ragazzo è davvero troppo… È in questo periodo che Berdella guarda un film che lo sconvolge e lo affascina al tempo stesso: “The Collector” (Il Collezionista), che narra la vicenda di un uomo che rapisce una ragazza e la tiene prigioniera in una cantina. Dopo alcune settimane, la giovane muore, nonostante i vani tentativi di mantenerla in vita da parte dell’aguzzino. Nel 1967 Robert si trasferisce a Kansas City per frequentare la Kansas City Art Institute, con l’ispirazione di diventare professore. Nel 1969, però, si ritira volontariamente dall’università e poco tempo dopo apre un negozio di manufatti antichi all’interno di un centro commerciale. Nulla lascia presagire che Robert Berdella diventerà da lì a qualche anno un terribile predatore che rapirà, stuprerà, torturerà e ucciderà numerosi giovani ragazzi, diventando un vero mostro.
È il 5 luglio 1984 quando Bob decide di trasformare in realtà le visioni che tanto lo hanno impressionato guardando il film “The Collector”, e lo fa con il diciannovenne Jerry Howell. Con una scusa, lo fa entrare in casa sua dove, dopo averlo drogato, lo immobilizza al letto. Berdella lo droga, lo tortura e lo violenta ripetutamente. Nel frattempo scatta numerose foto per immortalare l’accaduto e prende accuratamente nota su un diario quanto ha fatto e cosa ha provato. Dopo circa 28 ore dall’inizio delle torture, Jerry muore per asfissia. Adesso Bob deve sbarazzarsi del cadavere: lo porta in cantina, lo appende per i piedi a una trave, posiziona sotto il corpo un pentolone da cucina e pratica diverse incisioni, in modo che possa dissanguarsi del tutto per poi smembrarlo con più facilità. Il giorno dopo trasferisce i vari pezzi in sacchi della spazzatura destinati a finire in una discarica.
Passa quasi un anno, quando il 10 aprile 1985, un ex inquilino di Berdella, il ventitreenne Robert Sheldon, bussa alla sua porta chiedendogli asilo per un breve periodo. Un’occasione che gli si presenta su un piatto d’argento: ovviamente accetta e, come fatto con la sua prima vittima, lo droga con dosi massicce di sedativi e lo tiene prigioniero nella camera da letto per tre giorni, durante i quali il ragazzo è crudelmente torturato in vari modi. Cinque giorni dopo, Bob decide di eliminare la sua preda soffocandola con un sacchetto di plastica in testa. Successivamente, dissanguerà il cadavere nella vasca da bagno, lo smembrerà e metterà i poveri resti in vari sacchi della spazzatura. Questa volta, però, decide di tenersi la testa che seppellirà nel suo giardino. Il tutto è puntualmente annotato nel suo macabro diario. Nel corso di quell’anno altri due sventurati subiranno la stessa atroce sorte: drogati, violentati, torturati e brutalmente uccisi. Si sbarazzerà dei corpi seguendo il solito rituale, che successivamente passerà alle cronache come la “tecnica Berdella” e questo sarà il motivo per cui sarà soprannominato il “Macellaio di Kansas City”.
A questo punto l’assassino decide di cambiare strategia: stabilisce di uccidere una sola vittima all’anno, prolungando però il “periodo di gioco” con ognuna di esse per molto tempo. Non sarà più questione di ore o di pochi giorni, ma di settimane.
Il 17 giugno 1986 Robert invita a casa sua un conoscente, Todd Stoops. Il ragazzo non avrebbe mai potuto immaginare che quello sarebbe stato l’inizio del suo calvario. Come di consueto, Berdella lo droga e lo lega al letto. Da quel momento per Todd cominciano indicibili violenze e torture che lo porteranno alla morte il primo luglio 1986.
Il 5 giugno 1987 è la volta di Larry Pearson. Il modus operandi resta invariato. Dopo sei settimane di prigionia, in un atto estremo di disperazione, Larry morde profondamente il suo aguzzino e Bob non può fare altro se non eliminarlo: lo colpisce in testa con un ramo di albero e poi lo strangola mentre è ancora svenuto. Si libera di Pearson con la solita modalità, ma anche di lui decide di tenere la testa, che seppellisce nel giardino di casa in sostituzione di quella di Robert Sheldon. Il teschio di quest’ultimo finisce in bella mostra nella camera da letto dell’assassino.
Passano altri sette mesi, e il 29 marzo 1988 Berdella rimorchia il ventiduenne Chris Bryson, non immaginando che il ragazzo sarebbe stato la sua ultima vittima. Anche per il giovane il metodo è il medesimo: viene stordito con un colpo alla nuca, poi drogato, sedato e infine immobilizzato nel letto. Per Bryson cominciano giorni di torture e agonie inenarrabili. Ma accade il miracolo: dopo quattro giorni di violenze inaudite, Larry riesce a liberarsi dalle corde e si lancia dal secondo piano dell’abitazione, trascinandosi in strada con indosso solo un collare per cani. Soccorso, racconta tutto alle autorità che arrestano Bob con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di Chris Bryson. La fine del Macellaio Kansas City è decretata.
La polizia perquisisce la casa, e scopre un vero e proprio museo degli orrori: all’interno c’è un motosega ancora sporco di pelle, sangue e peli pubici, un contenitore di metallo che contiene siringhe, flaconi di diverse sostanze, tamponi e collirio, una sbarra di ferro, corde di varia lunghezza e cinture di pelle. Non solo: c’è un teschio dentro un armadio e una testa parzialmente decomposta, sotterrata in giardino, diverse vertebre umane e altre innumerevoli prove che confermano come in quell’abitazione si siano consumati molti omicidi. Le prove schiaccianti, però, sono rappresentate dalle 334 Polaroid che ritraggono uomini mentre vengono torturati e sodomizzati, oltre al suo diario, nel quale l’assassino annota scrupolosamente le sue crudeltà nei minimi dettagli.
Dopo vari processi in cui si è spesso dichiarato innocente, tra il 13 e il 15 dicembre 1988 Robert decide di confessare tutti i suoi crimini per evitare la pena di morte. Durante le confessioni, dichiara che il film “The Collector” è stato alla base delle sue fantasie omicide. Secondo i rapporti dei medici, Bob soffriva di un disturbo depressivo della personalità e di una forma acuta di sadismo sessuale che lo aveva reso un individuo capace di trarre un’eccitazione sessuale estrema dall’umiliazione, dal dolore e dalle torture a cui aveva sottoposto le sue vittime.
Berdella è condannato all’ergastolo per ogni omicidio da lui commesso, ma solo quattro anni dopo la condanna, l’8 ottobre 1992, muore a causa di un arresto cardiaco all’età di 43 anni. Non ha mai espresso alcun pentimento per le sue azioni aberranti, ritenendo le sue prede dei “giocattoli sessuali”, null’altro…
Nonostante le sue confessioni e le innumerevoli prove rinvenute nel suo appartamento, molti sono i dubbi circa il reale numero di vittime. Secondo molti, Robert avrebbe ucciso molte più persone delle sei per le quali è stato condannato. Infatti, le Polaroid rinvenute nella sua abitazione, ritraevano almeno una ventina di ragazzi. Pare che lo stesso killer si sia vantato della cosa con altri detenuti. Le indagini lacunose e frettolose degli investigatori hanno lasciato molti punti oscuri sulla vicenda…
Non possiamo non porci dei quesiti: se fosse stato amato di più, quel bambino sarebbe comunque divenuto l’assassino che è stato una volta adulto? Quei giovani innocenti avrebbero potuto vivere quella vita che invece gli è stata brutalmente strappata? Quale sarebbe stato il loro futuro? Nessuno potrà mai rispondere, non possiamo fare altro se non abbracciare idealmente i familiari di quei giovani innocenti che, con molta probabilità, non potranno mai trovare pace e rassegnazione…