Il nazismo e la guerra vista dalla parte delle donne, l’incredibile storia di Rosa Sauer e le sue compagne assaggiatrici per Hitler, Rosella Postorino nel suo bellissimo libro ” Le assaggiatrici”, ci racconta la sua storia, rifacendosi alla vicenda realmente accaduta di Margot Wolk
Abbiamo parlato con l’autrice che ci ha raccontato il suo ” Le assaggiatrici” , in questa bellissima intervista
Le assaggiatrici la recensione
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Le Assaggiatrici un libro importante che guarda al nazismo questa volta dalla parte delle donne tedesche. E’ ispirato alla storia di Margot Wolk, che solo all’età di novant’anni ha fatto sapere al mondo di essere stata un’assaggiatrice di Hitler. Come è venuta a conoscenza della storia di Margot e da dove è nata l’idea di raccontarne la storia attraverso un romanzo?
Nell’autunno del 2014, leggendo il giornale, mi è caduto lo sguardo su un trafiletto che parlava di Margot Wölk, una signora berlinese di 96 anni che da giovane era stata un’assaggiatrice di Hitler. Non sapevo che il cibo destinato a Hitler fosse quotidianamente assaggiato da un gruppo di ragazze per accertarsi che non fosse avvelenato. A colpirmi è stato il fatto che Frau Wölk raccontasse la mensa forzata come un incubo, sì, ma senza poter evitare di ricordare anche quanto fossero prelibate le pietanze destinate alla tavola del Führer. Potersi sfamare mentre gli altri morivano di fame era un privilegio, ma quelle donne rischiavano la pelle ogni giorno. Ecco, come tutti i protagonisti dei miei romanzi, Frau Wölk era una vittima e una colpevole nello stesso tempo, solo che lei era vera, in carne e ossa, e io volevo, dovevo incontrarla. Purtroppo non ho fatto in tempo: quando l’ho trovata, è morta. Ma la sua storia aveva lavorato dentro di me, non potevo ignorare quel richiamo. L’unica arma che avevo a disposizione per scoprire perché quella vicenda mi riguardasse – questo io sentivo – era l’invenzione narrativa: raccontare la storia di una donna ispirata a Margot Wölk, che però non era lei. Una donna comune, senza scelta, tradita dalla Storia, che avrei potuto essere io se fossi nata in un’altra epoca. Per questo le ho dato il mio nome: Rosa.
La guerra dalla parte delle donne tedesche dopo tanti libri che raccontano solo vicende sugli ebrei. C’è stato un grande Lavoro di ricerca oppure Rosa Sauer è un personaggio di fantasia?
C’è stato un grande lavoro di ricerca, anche se Rosa Sauer è un personaggio di fantasia. Le due cose non si escludono. Avevo bisogno di documentarmi per ricostruire l’ambientazione storica in modo credibile – soprattutto per provare a capire i “sentimenti” dell’epoca, come si vive in guerra, come si trasformano la precarietà e la paura quotidiana in abitudine, come si accettano compromessi per sopravvivere – sebbene il mio interesse fosse sovrastorico: le domande che il romanzo pone valgono per ogni epoca e riguardano la fragilità umana, anzi la fragilità dell’esistenza in sé.
I suoi personaggi sono donne molto diverse tra loro , ma con in comune una voglia di sopravvivere alla guerra, la paura, l’accostamento tra cibo e possibilità di morire avvelenate, senso di colpa per essere, in un periodo dove la popolazione moriva di fame delle privilegiate , ma poi pian piano quasi si abituano e considerano la loro attività poco più di un lavoro. Lei pensa che alla fine l’essere umano si abitua a tutto?
Anche a giocare con la morte tre volte al giorno?
Gli esseri umani si abituano a tutto, altrimenti soccombono, cioè impazziscono o si uccidono. Alcuni, in effetti, lo fanno. Ma la maggioranza delle persone trova un modo per andare avanti. Il prezzo da pagare, però, è perdere un po’ della propria dignità, o della propria innocenza. Il prezzo da pagare sono le tracce che il dolore, il trauma, la perdita, la sopraffazione, la violenza, l’oscenità stessa della Storia lasciano in noi. “La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani”, dice Rosa, la mia protagonista, “ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana”.
Nel suo romanzo fa capolino una storia tra Rosa Sauer ed il comandante Zigler nonostante Rosa né la sua famiglia siano mai stati nazisti. Secondo lei in momenti difficili della vita, cosa spinge una donna ad intessere una relazione segreta con colui che rappresenta il potere che la sta soggiogando?
Potrei dire, da un lato, che colludere con il potere oppressivo è, da parte dell’oppresso, un modo per tutelarsi, per accedere a una qualche forma di privilegio dentro una condizione estrema, di coercizione. Ma credo che qui la questione sia ben più complessa. Rosa crede di aderire al desiderio di Ziegler come a una convocazione, crede che la propria sia una forma di accondiscendenza al suo potere, ma accondiscende come una che non ha più nulla da perdere: lo fa quasi seguendo un impulso suicida, di sicuro autolesionista. Invece, proprio in quel rapporto, lei ricomincia a vivere. Perché prima di Ziegler era sola, e il suo corpo non veniva guardato da nessuno, non riceveva il conforto di nessun contatto intimo, era ridotto alla sua mera funzione digestiva. Desiderare Ziegler, invece, diventa una paradossale rivendicazione di esistenza, una forma di ribellione, una pretesa di singolarità all’interno di uno schema deumanizzante. Tuttavia, è anche il modo in cui la colpa accidentale di Rosa si trasforma in una scelta. È il modo in cui lei tradisce: chiunque.
Scrivere è andare oltre sé stessi, e regalare pezzi di sé al pubblico. Cosa è per lei la scrittura? E Cosa ha cambiato nella sua vita?
Un bisogno, molto banalmente. Progettare un romanzo, viverci dentro per anni, è l’unica maniera in cui – almeno per ora – so stare al mondo. La scrittura non cambia niente, se la pratichi da sempre, come è capitato a me. Forse mi sta chiedendo non se scrivere, ma pubblicare ha cambiato qualcosa. Sì, mi ha fatto considerare la scrittura un lavoro, e quindi mi ha costretta ad affrontarla con tutta la responsabilità che un lavoro implica, e anche con l’ansia dell’esposizione di sé che l’essere pubblici, appunto, prevede. Inoltre, c’è il rapporto con i lettori, che è molto interessante. La parte più bella, però, resta scrivere: far esistere anche per altri – trasformandolo in narrazione – qualcosa che abita la tua testa.
Dopo anni di predominio quasi assoluto di scrittura al maschile, ultimamente ci sono pregevoli lavori scritti da donne e soprattutto amati dal pubblico. Secondo lei come mai è cambiata la percezione del pubblico? Si ha più bisogno della sensibilità femminile?
Una ricerca uscita da poco dice che nel 2017 solo il 38% di ciò che è stato pubblicato in Italia era firmato da donne, ma che comunque le autrici sono cresciute di 9 punti dal 2005 a oggi. Quindi il dato è buono, se visto diacronicamente. Al di là della certezza che i lettori di romanzi sono in prevalenza donne, credo o voglio credere che il recente successo di alcune autrici sia legato al fatto che finalmente non vengono lette solo dalle donne – le quali peraltro leggono molto di più degli uomini, almeno i romanzi – ma anche dai maschi. E io spero che questo indichi non che ci sia più bisogno una “sensibilità femminile”, ma che sempre di più i lettori cercano buoni libri senza preoccuparsi del sesso di chi li scritti.
Ogni autore è sempre un accanito lettore. Lei cosa legge e cosa apprezza del panorama letterario contemporaneo? C’è qualche autore o autrice che in qualche modo ha formato il suo essere scrittrice?
Tra i viventi? Munro, Strout, Ernaux, per rimanere in tema autrici. Amo António Lobo Antunes. La scrittrice che più ha formato il mio essere scrittrice è di sicuro Marguerite Duras, che ho conosciuto a quindici anni, e della quale non a caso qualche anno fa ho tradotto Moderato Cantabile e Testi segreti (nonostante edizioni, 2013 e 2015).
La ringrazio di essere stata con noi.