Sant’Agata, Patrona della città di Catania è la terza manifestazione cattolica più importante del mondo dopo le celebrazioni in onore del Redentore che si tengono a Cuzco e a Siviglia. La festività in onore di Sant’Agata, il cui nome significa “la buona”, si tiene ogni anno dal 03 al 05 febbraio, data in cui ricade la morte di Agata, avvenuta nel 251, quando aveva solo 16 anni, dopo essere stata sottoposta ad indicibili torture tra le quali il taglio delle mammelle. Non a caso infatti è la Santa Protettrice del seno. Agata, cresciuta in una famiglia cristiana, all’età di 15 anni volle fare voto di verginità, avvenuto con l’imposizione di un velo ad opera del vescovo durante una cerimonia detta “velatio”. Quinziano, proconsole della città di Catania, si innamorò perdutamente di Agata e provò in ogni modo a farle cambiare idea, e dopo averla fatta rapire la affidò alla “custodia” di una prostituta di nome Afrodisia , affinché, attraverso i suoi “insegnamenti”, riuscisse a corromperla moralmente. Ogni tentativo si rivelò vano e Quinziano, avvalendosi dell’editto di persecuzione contro i cristiani emanato da Decio, Imperatore Romano , avviò un processo contro la ragazza tentando di piegarla con la forza al suo volere. Ma nulla fece desistere Agata dalle sua decisione tanto da essere torturata barbaramente fino al taglio delle mammelle. Agonizzante venne rinchiusa in una cella dove durante la notte le apparve San Pietro che le medicò e le sanò le ferite. Trascorsi quattro giorni venne portata in pubblica piazza per essere bruciata viva. Mentre Quinziano si accingeva a compiere tale atrocità, vi fu un fortissimo terremoto che, interpretato come un segno divino, lo fece desistere dal proseguire la sua vendetta. Agata morì durante la notte; era il 05 febbraio del 251. Quinziano però non soddisfatto di come erano andate le cose, decise di appropriarsi di tutti i beni appartenenti ad Agata, ma anche questa volta vi fu un segno divino, poiché mentre attraversava il fiume Simeto i suoi stessi cavalli gli si rivoltarono contro, prendendolo a calci e a morsi fino a farlo rovinare in acqua dove morì annegato. Questo alimentò una delle leggende attribuite a Sant’Agata quella appunto del fiume Simeto.
Si narra infatti che nella notte tra il quattro e il cinque febbraio, ovvero la notte del martirio, si sentano il nitrito del cavallo e le urla disperate di Quinziano che invoca il nome di Agata.
Altra leggenda è quella delle sette porte. Nel 1890, avvenne il furto delle reliquie e del tesoro di Sant’Agata, custodito all’interno del Duomo senza alcuna particolare protezione. Recuperata parzialmente la refurtiva , si pensò bene di proteggere il tesoro con dei cancelli robusti e invalicabili che diedero vita al detto popolare ” Doppu cà a S. Aita a rrubbaru ci ficiru i potti di ferru” (Dopo che Sant’Agata è stata derubata hanno fatto le porte in ferro). Inoltre all’interno della navata di destra del Duomo , vi è una ringhiera alta e pesante che blocca l’accesso all’altare di Sant’Agata. Ma sembra ve ne siano altre cinque che impediscono l’arrivo alla nicchia della Santa detta “la camaredda” (la stanzetta) della Santa.
Ulteriore leggenda è quella legata alla violenta eruzione dell’Etna del 01 febbraio del 252. Agata rea morta da appena un anno quando l’intera provincia di Catania rischiò di essere distrutta dalla furia del vulcano. La popolazione fece ricorso al velo che copriva il sepolcro di Agata usandolo come scudo protettivo contro la lava che avanzava minacciosa. Il velo da bianco divenne rosso bloccando di fatto l’eruzione proprio il 05 febbraio, nel 01° anniversario del martirio.
Tante sono le storie e le leggende che ruotano intorno alla vita e al martirio di Sant’Agata, così come sui miracoli e sul suo legame con Federico II, re di Sicilia. Nel 1232, Federico II decise di distruggere la città di Catania. Gli abitanti si ribellarono e chiesero al re di esaudire un ultimo desiderio prima di condurli a morte certa, ovvero, permettere loro di assistere alla celebrazione della messa in onore del 981° anniversario del martirio di Sant’Agata. Il re accettò e, aperto il messale vi trovò una scritta, l’acronimo “NOPAQUIE”, che fu subito tradotto da un monaco benedettino in “Noli Offendere Patriam Agathae Quia Ultrix Iniuriarum Est” ( Non ti rischiare di offendere la patria di Agata perché lei rivendica le ingiustizie). Federico II a quel punto, non poté fare altro che battere la ritirata facendo costruire il Castello Ursino, dove fece apporre sulla facciata l’aquila sveva mentre sgozza l’agnello catanese. L’acronimo NOPAQUIE è ben visibile sul portale sinistro della Cattedrale. Federico II inoltre, ripristinò l’Elefante (u liotru) quale simbolo di riconoscimento sugli stendardi etnei, opponendosi anche ai normanni che volevano come simbolo della città San Giorgio. Il Castello Ursino, sede del Parlamento Siciliano durante i Vespri, è oggi sede del Museo Civico della città di Catania.
Curiosità: Fra le innumerevoli pietre preziose e gli oggetti d’oro che rivestono il simulacro di Sant’Agata, troviamo la corona poggiata sul capo della Santa che consta di ben 1370 gr. di oro e pietre preziose, donata da Riccardo Cuor di Leone durante una delle sue crociate in Sicilia.
Teresa Anania