Se mi guardo da dentro, Ilenia Zedda

Se mi guardo da dentro, Ilenia Zedda. Salani editore

“La felicità sta nel gusto e non nelle cose; si è felici perché si ha ciò che ci piace, e non perché si ha ciò che gli altri trovano piacevole.”

François De La Rochefoucauld

La vita. Un vero miracolo. Un’opportunità per tutti di crescere, evolvere, dare il meglio di sé. A volte anche il peggio. Spesso ciò dipende dalle esperienze personali, da quanto segnano, graffiano, ledono. E così anche Nina, come tanti individui, agisce e reagisce agli eventi che le capitano, trincerandosi dietro un muro di gomma che, spera, possa attutire tutti i colpi che, inevitabilmente, la stessa esistenza le infliggerà senza sconti.

Nina ha solo sedici anni quando cade dalla sua bici. Corre serena, pensando ad Alessandro, il ragazzo che le piace, e al loro primo bacio che presto arriverà. Ma in un attimo, tutti i piani si ribaltano: il manubrio le si conficca dentro la coscia e lei ha appena il tempo di prendere il cellulare e avvisare i suoi dell’incidente. Poi il buio.

“I medici hanno detto ai miei che ero viva per miracolo. L’intervento era durato tredici ore e avevano salvato l’arteria femorale, tentando di suturare a caldo i lembi lacerati.”

Papà professore e mamma giornalista, vive una condizione di eterno conflitto all’interno delle mura domestiche. Soprattutto con la mamma.

“Mamma era un mondo di luci, di aperitivi, di abbracci, di baci, di lingue straniere e di telefoni. Mamma non era mia madre e non voglio avere vicino a me nessuno delle sue fotografie. Volevo solo che lei si fermasse, buttasse il cellulare e le sigarette e mi guardasse. E anche che mi dicesse che mi amava e nessun altro suo amico o cliente contava più di me. Ci ho sperato fino al quinto anno di liceo. Ci ho sperato ancora più forte dopo il grumo. Poi ho mollato la presa e sono andata a braccia aperte a prendermi le viscere deboli e dolcissime di mio padre.”

Divisa tra città e paese, il suo modo di vivere e di agire è determinato proprio da questa circostanza. Ma i genitori, presi dalla loro vita, non si accorgono fino in fondo di ciò che realmente accade alla loro figlia, fuori e dentro di sé…

Il paese rappresentava il cosmo in un pacchetto, lì potevo fare le mie esperienze in una dimensione protetta. Potevo vivere felice correndo per i campi e con la bici, la maledettissima bici. Il maledettissimo paese (…). Lì dentro ero costruita di mattoni che non erano miei e pian piano sia papà che mamma se ne sono accorti. Ma non hanno fatto niente per cercare di allontanarmi da quel posto. Sono stati egoisti fin quando non ho detto loro che al paese non sarei più tornata. Che non saremmo mai stati più noi tre, là (…). Poi papà mi ha detto di non pensare a quello che è successo sulla strada di San Pietro, di non pensare che al paese ho avuto l’inconveniente. Di ricordarmi le cose belle, le avventure con lui e la nonna (…). Lui sapeva bene che quelli potevano essere considerati momenti di spensieratezza, e lo erano, però non sapeva le altre cose che avevo fatto anni dopo quelle scampagnate. In paese avevo dato il primo bacio, per esempio. E lo avevo dato a una persona già fidanzata con un’altra. Nascosti non solo perché lei non ci doveva assolutamente scoprire, ma perché lui si vergognava di baciare Nina dell’incidente. Se fosse capitato qualche anno prima non avrebbe esitato a confessare di avermi conquistata. E mentre mi baciava io sapevo benissimo tutto questo. Sapevo che eravamo nascosti nel buio del campo da calcetto perché gli piacevo ma era troppo imbarazzante ammetterlo. Mi sentivo uno schifo (…). Sentivo le mie tempie pulsare. Non ero dentro il mio corpo. Non sapevo minimamente cosa ci facessi in quel posto ma, per educazione, mi sono prestata. Mi sono detta che potevo essere un esperimento di me stessa. Avevo diciassette anni, il grumo aveva appena compiuto un anno. Ho dato il mio primo bacio a occhi aperti, fissando un campo da calcio vuoto. Le sue labbra carnose si facevano spazio tra le mie, la sua lingua sapeva di liquirizia. Ha deciso lui quando era ora di smetterla, si è girato a prendere una sigaretta dal pacchetto e io ne ho approfittato per prendere un fazzoletto dalla borsa a tracolla e pulirmi la bocca. Ho tirato fuori l’mp3 dalla tasca esterna, ho controllato se il telefono era ancora nei jeans e gli ho toccato una spalla. Lui ha fatto solo un cenno del capo. Io mi sono messa le cuffiette e ho cliccato play. Ho girato i tacchi e sono andata via a passo svelto. Non ci siamo più visti, l’ho evitato in ogni luogo. E anche lui mi ha sempre evitato, per fortuna. Non mi ricordo nemmeno più come si chiama.”

Per Nina tutto deve avere un ordine, una disposizione ben precisa, una linea da seguire senza mai oltrepassarla. E dopo la caduta dalla bicicletta questa peculiarità si accentua notevolmente. Ne fa il mantra della sua vita e, seguendo questo schema, si laurea e diventa ricercatrice nella sezione universitaria di Patologia Clinica. Durante una conferenza stampa, incontra un giornalista. L’uomo che sconvolgerà le sue idee, Marte Antonio Murgia.

“E allora mi perdo nei luoghi di Cagliari che non ho mai esplorato, e la mia mappa si amplia e si sforma e non è più perfetta. Per la prima volta nella mia vita l’ordine non mi importa. Preferisco di gran lunga lo scalpitio dei miei organi interni, l’affanno e la paralisi degli arti quando cammino per le vie fino a ora nemiche. Non so bene come si chiama fisiologicamente questo processo. Forse c’entrano i feromoni, i legami chimici, i bagordi affettuosi del cervello. Dovrei fare una ricerca più approfondita, ma sono arrivata a una conclusione: mi sono innamorata per la prima volta. Io che pensavo che l’amore fosse un conto sulla calcolatrice. Io che di innamorarmi non avevo alcuna intenzione.”

Quell’incontro casuale stravolge completamente la vita di Nina. Non riesce a non pensare a lui, a non pensare a se stessa anche al di fuori del proprio corpo. E i parallelismi con quest’organismo e con tutti gli elementi di cui è composto, comprese le sue funzioni, diventano una costante.

“Muoversi in uno spazio, compiere un’azione, correre, parlare, respirare, sollevare un braccio: nervi e muscoli ci ascoltano e ci rendono vivi. Ogni fibra di ogni muscolo è dotata di un solo motoneurone, una cellula nervosa che gli trasmette l’ordine di contrarsi o rilassarsi. Il cervello comanda, il corpo esegue, come se gli impulsi corressero dentro una rete elettrica. La giunzione che consente questa trasmissione è detta placca motrice: la più piccola unità funzionale del muscolo (…). È così che, la maggior parte delle volte, mi sento: sei diventato come il potenziale d’azione di una placca motrice che dona fulmineamente l’energia alla cellula e poi gliela toglie, seguendo un flusso meccanico. Dai e rimuovi la vitalità necessaria ad accendermi, a spegnermi. A rendermi me stessa.”

La scoperta di queste emozioni, la voglia di provare queste nuove, meravigliose sensazioni, genera in Nina piacere ma anche timore. E come sempre, cerca di riportare tutto nelle caselle della logica…

La paura è un meccanismo salvavita che ci portiamo addosso dal regno animale. Ci protegge annunciando il pericolo e fornendo la giusta energia per uscirne: rimanere paralizzati, combattere, scappare. Il cervello capisce immediatamente quale potrebbe essere un evento pericoloso non solo per il nostro fisico, ma anche per la nostra psiche. Attiva il sistema nervoso autonomo e, quindi, l’adrenalina (…). Ho paura di sfiorarti. Ho paura che tu possa accorgerti di quello che succede dentro di me. Che tu possa essere la mia felicità semplice.”

Il batticuore, le mani che sudano, la smania di sapere dove sta Marte, con chi e cosa sta facendo, infondono in Nina un tormento piacevole. Magari è questa la felicità…

“5-HT, questa è la formula della felicità. Se pensi che quando siamo soddisfatti sia tutto merito delle cose che ci accadono e il corpo le assecondi, ti sbagli. È il corpo a comandare. 5-idrossiptamina è il nome esteso della formula della serotonina, il neurotrasmettitore che deriva dal triptofano che e il nostro cervello sintetizza per darci la contentezza.”

Ma quanto può durare la felicità? Meno di quanto Nina si sarebbe aspettata, di quanto lei stessa avrebbe potuto calcolare. Un banale incidente fa emergere un’amara verità: Marte scopre di avere un osteosarcoma del femore, che sta intaccando anche i tessuti molli più vicini. La situazione è critica, e Nina ne è pienamente consapevole. Sa di essere disarmata di fronte a tutto questo; l’unica cosa che può fare è fermare le emozioni su carta.

“Sono assuefatta, piena delle poche fusioni che i nostri corpi hanno vissuto, fuori da tutto quello che si cataloga. E mi vergogno anche di continuare a scrivere una storia che non esiste. Non mi tocchi, non mi rispondi, lasci poche tracce, e appena percettibili, che mi fanno aggrappare alle cose che mi ricordo di te. Poi appari, mi chiedi come sto, vieni a fare colazione nel mio monolocale, mi incontri alle feste, ai festival, nei negozi di sportine di tela. Sono le poche volte in cui mi sento viva, in cui posso continuare a vedere tutto e niente tramite il microscopio, in cui torna la mia routine e sono felice e soddisfatta. Perché ti allontani? Perché non mi dai la possibilità di vivere quello che ti resta?”

Il travaglio interiore di Nina è fortissimo. Si ritrova a fare i conti con tutto ciò in cui aveva sempre creduto, e con l’inaspettato: dirompente, adrenalinico, fuori da ogni schema.

Forse non dovrei dirlo, non dovrei confessare quanto mi hai reso debole e poco egocentrica. Con te avrei potuto fare di tutto, trovavo un coraggio mai vissuto e una sensibilità che sembrava potesse non sopirsi mai. Cos’è quello che è successo tra noi? (…). Non provo pena, solo un dolce consumare (…). Il dolore interno che inizia a mostrarsi e io l’ho visto per la prima volta. Non ho potuto fare altro che amarti. La lontananza e la vicinanza che ci spoglia mi fa sentire viva (…). C’è un elenco infinito, ancora, di cose che tu mi hai dato e per cui dovrei ringraziarti. Continuerò a scriverle in questo quaderno, sperando possano trovare finalmente un posto dove stare senza animare la mia testa (…). Il giorno in cui ho capito che uno qualunque sarebbe stato quello buono per andartene, mi sono ficcata nell’imperfetto, distesa sulla luce più fitta dove tutto, persino le gemme più durature, muoiono di sete (…). Tutto si compie nel chiarore della certezza. Questa luce che non mi fa aprire gli occhi. Questo schermo che si illumina vorticosamente. Ho ritrovato tutto: le tue foto, le mie ossa. Il tuo sorriso, i miei lividi. Si vede tutto. Sono uscita dal microscopio.”

Con una scrittura forte e delicata allo stesso tempo, l’autrice prende per mano il lettore e lo conduce in una dimensione di vita dove gli schemi, i programmi e i piani si frantumano irrimediabilmente di fronte al soffio delle emozioni. Non esistono barriere in grado di proteggerci a oltranza, non esistono corazze resistenti all’arrivo di un sentimento così sfacciatamente esplosivo come può essere l’amore. Giunge così, senza preavvisi e senza indugi, rompendo tutti gli argini posti per non soffrire.

Forse si, siamo fatti di ciò che riusciamo a provare, di ciò che possiamo sentire e non c’è logica, non esistono formule né imposizioni mentali che possano esimerci dall’essere coinvolti nel vortice dei sentimenti reali, autentici, irrefrenabili. Il dolore, la sofferenza, il dispiacere possono controbilanciare la gioia dell’amore. Ma questo e solo questo è ciò che ci rende felici, appagati, vivi.

Tra queste pagine mi sono emozionata, e tra le righe ho potuto trovare diversi stralci di me stessa.

Un romanzo straordinario, che tocca le corde dell’anima, di cui consiglio vivamente la lettura.

È possibile prendere quel caos di emozioni che si accende dentro di noi quando incontriamo qualcuno, metterlo sotto una lente di ingrandimento e analizzarlo come se fosse un puro fenomeno biologico? O dobbiamo accettare che sia qualcosa di illogico, un mistero indecifrabile? Nina ha sedici anni quando cade in bicicletta. Non una caduta qualunque, di quelle che si risolvono con qualche graffio e un bello spavento. Rovinando a terra, il manubrio si è conficcato nella sua coscia, proprio nel punto in cui passa l’arteria femorale. È viva per miracolo, dicono i medici, e per il resto della vita dovrà ascoltare il proprio corpo, prestando attenzione anche al più piccolo sintomo. Nina inizia così a osservare non soltanto se stessa, ma il mondo intero, in maniera diversa, mettendo qualunque cosa tra i vetrini di un personalissimo microscopio. Vent’anni dopo, forte di un dottorato in Patologia Clinica, è ormai convinta che tutto possa essere spiegato in termini scientifici, compresa la felicità: che altro è, infatti, se non un alto livello di serotonina? Poi, un giorno, conosce un giornalista: si chiama Marte e proprio da un altro pianeta sembra venuto per far scoppiare la bolla in cui lei si è ostinatamente rifugiata.
Con una scrittura che vibra di una delicatezza rara, Ilenia Zedda ha scritto uno di quei rari romanzi che riescono a trovare nuove parole per raccontare non soltanto l’amore ma anche la paura che abbiamo di buttarci nella vita, di affidarci alle braccia degli altri.

«Per la prima volta nella mia vita l’ordine non mi importa. Preferisco di gran lunga lo scalpitio dei miei organi interni, l’affanno e la paralisi degli arti quando cammino per le vie di Cagliari fino a ora nemiche. Non so bene come si chiami fisiologicamente questo processo. Forse c’entrano i feromoni, i legami chimici, i bagordi affettuosi del cervello. Dovrei fare una ricerca più approfondita, ma sono arrivata a una conclusione: mi sono innamorata per la prima volta. Io che pensavo che l’amore fosse un conto sulla calcolatrice. Io che di innamorarmi non avevo
alcuna intenzione».
Ilenia Zedda

«Una straordinaria abilità nel raccontare il coraggio di essere
se stessi». DONNA MODERNA

«Dalla scuola di Baricco, arriva la nuova voce della narrativa
italiana». UNIONE SARDA

Ilenia Zedda è nata in provincia di Sassari nel 1990 e lavora come copywriter. Ha frequentato la Scuola Holden. Vive tra Cagliari e Milano. Ha esordito nel 2020 con il romanzo Nàccheras.

Autore: Ilenia Zedda
Editore: Salani
Collana: Le stanze
Anno edizione: 2024
In commercio dal: 3 settembre 2024
Pagine: 176 p., Brossura
EAN: 9788831022156

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Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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