Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947)
Meditate che questo è stato
È tutta in queste poche e potenti parole l’essenza di questa poesia. Meditate non ricordate, spegnete il mondo che vi gira intorno, e meditate sul perché l’uomo ha dimenticato il suo essere uomo, meditate perché non accada mai piú. Tenete sempre accesa la fiamma della vostra umanità, guardate negli occhi chi vi passa avanti, e l’uomo è uomo non è una nazione né una religione è solo uomo.
Meditiamo è non dimentichiamo mai e raccontiamolo alle nuove generazioni, raccontiamolo quando ci passa accanto un gesto di potente insofferenza verso lo straniero e chi ci passa accanto, solo perché diverso. Da questi sentimenti ed atteggiamenti tutto cominciò.Stiamo attenti, cerchiamo di essere sentinelle dell’umanità. Cerchiamo di rimanere sempre uomini, affinché non si debba mai più dire
“Se questo è un uomo”.
Primo Michele Levi nacque a Torino nel 1919 da una famiglia di origini ebraiche. Dopo un’infanzia difficile a causa di numerose incomprensioni con il padre, Levi frequentò sia le superiori che l’università a Torino, iscrivendosi al corso di laurea in Chimica. Fu proprio durante i suoi anni universitari che in Italia entrarono in vigore le leggi razziali del 1938, che introducevano gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani che il regime fascista considerava “di razza ebraica”, leggi che provocarono non pochi disagi alla sua vita universitaria. Nonostante ciò, riuscì a laurearsi con pieni voti nel 1941, ma a causa delle discriminazioni sempre più aspre fu difficile per lui trovare un impiego nel settore, così nel 1942 si trasferì a Milano, dove iniziò a lavorare presso una fabbrica svizzera di medicinali e contemporaneamente iniziò la sua carriera letteraria e soprattutto politica, iscrivendosi al Partito d’Azione clandestino, di natura antifascista, e successivamente unendosi al nucleo partigiano operante in Val d’Aosta (la cui esperienza è sempre stata raccontata con molta reticenza).
Per questa sua appartenenza, venne arrestato nel dicembre del ’43 dalla milizia fascista e trasferito dapprima nel campo di Fossoli e poi nel febbraio del 1944 fu deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, dove rimase fino al 27 gennaio del 1945. Fu uno dei 20 sopravvissuti dei 650 ebrei deportati con lui.
L’esperienza nel campo di concentramento lo sconvolse sia fisicamente che psichicamente e lo portò a voler mettere nero su bianco l’incubo vissuto da lui e da milioni di altre persone, attraverso memorabili testi come “Se questo è un uomo”, “La tregua” e “I sommersi e i salvati”. Una scrittura terapeutica che però non bastò a fargli dimenticare gli orrori della guerra.
L’11 aprile 1982, Primo Levi morì cadendo dalla tromba delle scale della sua casa di Torino: molti sospettarono che si trattasse di suicidio anche se l’ipotesi non è mai stata confermata.