“Ciò che è sacro nell’arte è la bellezza” (S. Weil)
È stato possibile ammirare dal 28 settembre u.s. al 06 ottobre c.a., presso il “Monte di Pietà” della città di Messina, la rassegna artistica “Terra, Ecologia dell’Infinito” che ha unito i lavori di due artisti locali Patrizia Previti e Sebastiano Tamà. Pittrice a tutto tondo la prima, medico di famiglia e uomo dagli inesauribili interessi il secondo, con le loro rispettive esposizioni personali, “ Bellezze al Bagno Help” e “Viaggi nei luoghi dell’Infinito”.
Comune denominatore di entrambi gli artisti, l’infinito e le sue mille sfaccettature, pur se con visioni diametralmente diverse.
Un infinito sociale, rivolto a scuotere la coscienza di chi osserva le pennellate di colore di Patrizia Previti. Ogni tela, ogni sfumatura, con i suoi disegni quasi lineari e dalle forme geometriche, urlano la sofferenza della fauna e della flora marina, soffocate da un inquinamento sempre più imponente e consistente, dove il materiale plastico sta pian piano colonizzando e fagocitando fondali meravigliosi, estinguendo forme di vita che le generazioni future non avranno la possibilità di conoscere direttamente, se non attraverso lo studio e i racconti tramandati.
L’impatto visivo di ogni rappresentazione è forte e provocatorio, ogni tela è rivestita da fogli di cellophane quasi a voler rendere tattile quell’urlo soffocato e sofferente di ogni essere vivente raffigurato.
I mari sono affetti da una grave patologia che ha nell’uomo il solo colpevole; l’essere umano, colui che dovrebbe preservarne la bellezza e la salute ma che fa di tutto per distruggerne l’essenza fin negli abissi inesplorati. L’uomo, chiamato a vivere sulla Terra, a custodirla, tutelarla e a tramandarne la bellezza e la sua unicità, altro non fa che sterminare e annientare un patrimonio naturale che appartiene a ognuno di noi e non solo…
Le grida d’aiuto come quelli rappresentati nelle opere “SOS” e “Help Me”, che ricordano rispettivamente la “Testa di Medusa” del Caravaggio e “L’Urlo” di Edvard Munch, sono voci udite ancora superficialmente se non addirittura ignorate in toto.
Ma è ancora possibile riparare gli ingenti danni procurati fino a questo momento? Forse non completamente, pur se un minimo di speranza è ciò che mantiene ancora in vita l’auspicio di salvezza. Occorrerebbe comprendere che il decadimento ambientale non è altro che la conseguenza logica del declino morale, etico e spirituale dell’umanità intera. Un risveglio massivo della coscienza collettiva, unito a un senso del dovere nei confronti dei posteri, a una maggiore sensibilità e a un ritrovato rispetto dell’ambiente in generale, può ancora alimentare la scintilla di una prospettiva ottimistica. Speranza che la nostra artista ripone sulla tela “Bellezze al bagno” dove raggruppa l’intera fauna marina; qui, la plastica che riveste il dipinto, è lacerata in molti punti quasi a volerla far respirare per ritornare a vivere.
Completano l’esposizione pittorica di Patrizia Previti, le opere dedicate al suo amato Beagle scomparso dopo quattordici anni di vita insieme, e le tele astratte come percorso personale un po’ tortuoso ma sicuramente ricco di preziosi insegnamenti di cui fare tesoro.
Nel complesso, i colori utilizzati sono quelli della natura, il verde, il giallo, il blu e l’azzurro, ma troviamo anche pennellate di rosso a indicare rabbia, aggressività e sangue; tanto quanto il nero della tristezza, dell’infelicità e della morte. Colori forti che raggiungono esattamente l’obiettivo preposto.
Un infinito intimistico e più personale quello di Sebastiano Tamà che esplora, proprio alla stregua di un viaggio lungo e a volte tortuoso, i meandri nascosti della mente, quelli in grado di riportare l’uomo in quei luoghi primordiali capaci di emergere dall’Io più nascosto, solo quando si è raggiunta quella consapevolezza recondita che attendeva di essere trovata.
Le sue sono pennellate catartiche, allo stesso tempo meditative e impulsive, capaci di suscitare forti emozioni in chi le osserva. Un viaggio multidimensionale di esperienze vissute e voli pindarici tra fantasia, desiderio e immaginazione. Riflessioni sulla vita dalla nascita alla morte con uno sguardo perso verso quell’aura di eternità cui tutti anelano. Colori accesi, caldi, come quelli che rievocano i tramonti africani.
A dominare i dipinti di Sebastiano, la natura e i suoi elementi, l’acqua, culla e rifugio uterino di ogni nascituro, l’acqua di un mare che viene presentato in tutte le sue accezioni; come luogo di “partenza” e mai di arrivo né di approdo conclusivo; metafora di una esistenza che si lascia trasportare, dondolare, curare, dal suo movimento ora calmo, ora tumultuoso e, così come l’animo umano, in grado di connettersi al tutto universale, a quell’infinito cui solo l’amore in senso lato può anelare e condurre.
Il fuoco, simbolo di rinascita, di rinnovamento, qui evocato da vulcani in eruzione, legato indissolubilmente da un ramificato cordone ombelicale alla Terra, genitrice indiscussa di ogni essere vivente. Fuoco, le cui fiamme distruttrici producono ceneri dalle quali far risorgere fulgide e splendenti, al pari di un’araba fenice, la vita e la speranza di un approdo sicuro verso rive in grado di accogliere l’animo impaziente di un naufrago in cerca della sua meta.
La terra con le sue montagne, come simbolo di coraggio, come bisogno di mettersi alla prova, con la determinazione di voler superare tutti gli ostacoli per raggiungere la vetta, quasi a sentirsi più vicini all’infinità del cielo e ricongiungersi al divino; i deserti con le loro forti valenze simboliche di silenzio, di connessione con sé stessi e la propria anima, luogo di espiazione ove tentare, a volte, di sfuggire alle proprie verità nascondendosi dietro le pieghe e i cordoni di sabbia delle dune desertiche, inconsapevoli che possano far emergere tutti quei vissuti che si credevano ormai vinti e superati ma, in realtà, latenti al punto tale da essere costretti a guardarli in faccia, ancora una volta, prima di raggiungere uno stato di metamorfosi profonda e necessaria.
L’aria che si “respira” osservando i suoi cieli, presenti in quasi ogni opera, ricchi di colore e di speranza che davvero si possa attraversare la “Porta dell’Infinito” per raggiungere un luogo pregno di amore universale fin dalla “Genesi”, al pari quasi di un cordone ombelicale pervaso da una fitta trama di tessuti colmi di quell’amore incondizionato che una futura mamma nutre verso il bambino che porta in grembo; un luogo dove nonostante la ciclicità e lo scorrere inesorabile del tempo, possa diventare tangibile la sensazione di infinito ove far vibrare l’anima, finalmente libera dalle costrizioni e dalla brutture che la vita mai smette di presentarci.
Per entrambi, una splendida esposizione artistica da far conoscere ripresentandola più volte e in più luoghi.
Un viaggio che arricchisce chi lo propone e chi lo affronta, in un vicendevole e infinito scambio emozionale.
Teresa Anania